PAC E RESILIENZA CLIMATICA AMBIENTALE GEOAMPELOGRAFICA – Nuovi impianti viticoli e cambio climatico,

PAC E RESILIENZA CLIMATICA AMBIENTALE GEOAMPELOGRAFICA – NUOVI IMPIANTI VIGNE E VIGNETI
5 marzo 2021
PAC 2023-2027. Due anni di regolamento transitorio. Cinque anni con revisione di spese. Viticoltura al centro di una revisione e ammodernamento.
Quanto la viticoltura può essere resiliente, sostenibile in un ambito ampio climatico ambientale.
Innanzitutto la disponibilità dei fondi per la Pac 2021-2027 si attesta su 386,7 miliardi di euro a prezzi correnti. In effetti a prezzi costanti l’importo messo a bilancio dal Consiglio d’Europa è di 343,9 miliardi per i 27 paesi UE. Quindi al netto della inflazione il budget disponibile, spalmato nel settenato, è inferiore di 38,9 miliardi effettivi rispetto al settenato precedente e questo inciderà sia sui fondi (maggioritari) destinati al pilastro 1 dei pagamenti diretti e le misure di mercato rispetto al pilastro 2 indirizzato allo sviluppo rurale.
Rispetto al bilancio generale dell’UE i fondi per la Pac scendono del 3,4% complessivamente, quindi la Pac incide sul bilancio UE totale per il 31,9%, meno di un terzo per la prima volta in 60 anni di politica agraria comunitaria. Una agricoltura che fa un passo indietro rispetto ad altre voci comunitarie.
Solo come conoscenza, il funzionamento burocratico politico e amministrativo della UE in 7 anni costa 73,1 miliardi di euro. La partita della ricerca, innovazione, infrastrutture strategiche e progetti internazionali ha un budget di 143,3 miliardi; 1.099,6 miliardi per lo sviluppo e coesione regionale, la ripresa e resilienza; 373,8 mld totali per ambiente pesca Pac clima ambiente; 22,6 miliardi per rafforzamento e gestione frontiere fortemente voluto dall’Italia.
Più altre voci. Quindi – a grandi linee – per il mondo agricolo e ambientale e climatico e sostenibilità e coesione territoriale esiste una disponibilità di fondi molto interessante, a disposizione di tutti i Paesi, soprattutto dell’Italia che deve saper “andare a pendere”. Questo è il primo grande obiettivo di riforma nazionale: abbiamo progetti, uffici, regioni in grado di non perdere un euro?
Nuovi impianti viticoli e cambio climatico, presidi sanitari e geo-ampelografia
Non è ancora stato deciso nulla, tutti i tavoli sono aperti, dalla commissione parlamentare alle proposte dei singoli paesi, dal Commissario europeo a tutti i soggetti privati coinvolti nel settore soprattutto viticolo. Un primo tema al centro delle discussioni e delle diverse posizioni è quello della “impiantistica” dei vigneti: quanto sarà grande, come sarà, dove, in che veste e con quali dotazioni tecniche il vigneto Europa?
L’idea in essere e già discussa in anni passati confermerebbe una volontà della Commissione Europea di mantenere fino al 2045 un blocco all’1% massimo annuo di nuove superfici vitate. Da una parte Spagna e Francia sono totalmente contrarie a innalzare il limite annuo esistente di nuovi impianti viticoli destinati alle denominazioni di origine, come espresso dalla Federazione Europea delle Denominazioni dei vini.
Infatti, il vigneto spagnolo negli ultimi 10 anni ha segnato una discreta riduzione, mentre la Francia oramai dal 2014 è stabile come superficie destinata alle sue Aoc. Un negoziato che si preannuncia difficile in quanto, l’Italia primo paese produttore di vino, vedrebbe invece di buon occhio e auspicio, a partire dall’annata 2031, un innalzamento delle autorizzazioni del 2%, in riferimento soprattutto al potenziale di crescita della superfici vitate nazionali.
Una blindatura ancora per 25 anni all’1% si scontra con una voglia di liberalizzazione di molti produttori viticoli che vorrebbero incrementare le superfici aziendali, ma soprattutto per gli imprenditori italiani per cogliere l’occasione di un rinnovamento tecnico varietale e di impiantistica di molte vigne docg-doc-igt.
La voce comune fra esperti e fra economisti della vite e del vino è che un regime di autorizzazioni di lungo periodo basso e limitato all’1% annuo (6800 ettari su 680.000 esistenti) è una garanzia alla gestione dei mercati nazionali e mondiali.
Certo è che una maggiore attenzione e approfondimento sulle necessità del singolo paese, ben vagliate motivate gestite controllate, sarebbe opportuno al di là della richiesta incondizionata di liberalizzazione. Non sono mai stato un difensore di quote e di regimi stabiliti a priori per certi prodotti agricoli se questo modello favoriva un paese rispetto ad un altro o consolidava una leadeship.
Ma qualche riflessione sul cambio climatico, sulla importanza del suolo agroambientale, sugli aspetti fitosanitari e di difesa dell’ambiente anche attraverso scelte ampelografiche oltre che geografiche, va fatto prima possibile. Per questo che la nuova Pac può essere un mezzo di adeguamento calmierante e di autorizzazioni esclusive nel momento che l’impiantistica della vigna rientri dentro un contesto tecnico-certificativo di più ampio valore anche non vitivinicolo. Quindi il modello docg-doc-igt se incrementato occasionalmente anche per fini più alti rispetto alla sola produzione può essere utile e va preso in considerazione.
Penso a certe vigne di 25-30 anni di vita stressate a causa dei cambi climatici che potrebbero trovare nuova location vocata, più altitudine, terreni e aree interne difficili, nuove varietà, più greening e applicazione del green deal, oltre così a sfruttare diritti già in portafoglio e fra una DO a una altra. L’Italia ha già diverse centinaia di ettari a disposizione.
La Pac inserita nel New Generation UE e nel Grren Deal area svantaggiate
Per questo che sono convinto, come molti colleghi economisti agroalimentari, che nella situazione transitoria della Pac 2021-2022 in previsione del quinquennato successivo, si debba cogliere l’occasione del dramma pandemico e della forte disponibilità di fondi europei (pac, recovery, ricerca, coesione..) per vedere la “viticoltura europea” come la prima matrice e prima fonte di un nuovo ragionamento trasversale, non lineare. I diritti di impianto in portafoglio, nuove autorizzazione anche superiori all‘1% devono rientrare almeno in una programmazione e pianificazione inter-regionale (se non nazionale) fra tutte le DO-IG del vino esistenti più di carattere ambientale-climatico-territoriale-ampelografico che di natura di convenenza economica e imprenditoriale.
Non propongo una gestione bulgara o statalista, ma sarebbe un altro tassello nazionale se si cogliesse l’occasione economica unica offerta da Pac e altri strumenti UE per vedere la “Vigna Italia” partecipe di un piano resiliente, sostenibile, sussidiario in quelle aree interne vocate per impiantare “Vigne New Generation Green” come lavoro e nuove imprese. Limitare o non limitare vigneti DO è una questione secondaria, come sarebbe controproducente definire un regime fisso e rigido in un momento in cui il cambio generazionale, l’accesso ai giovani viticoltori, nuove imprese viticole in aree svantaggiate possono dare un contributo notevole anche a un nuovo modello di uso e gestione dei fitosanitari naturali in ambienti dove arginare l’abbandono, ricreare occupazione, fondare nuove imprese, riportare famiglie diventa una garanzia sociale e collettiva.
Giampietro Comolli
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Giampietro Comolli
Giampietro Comolli
Economista Agronomo Enologo Giornalista
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