Gli Etruschi, ma chi erano costoro?

11 Dicembre 2020
Etruschi, alla scoperta di un popolo a cui dobbiamo molto
Testo e foto: Maurizio Ceccaioni
Si parla spesso, con fiction e docufilm dello splendore dell’Antica Roma e gli intrighi di palazzo che portarono alla fine dell’Impero. Poco si sa invece dei predecessori d’oltre Tevere: i Rasenna o Rasna, cioè gli Etruschi. Una civiltà tutt’oggi avvolta nel mistero, difficile da comprendere se non entrando nel Museo Archeologico Nazionale di Tarquinia, per vedere opere come i “Cavalli alati”, pregevole tavola di terracotta (a cavallo tra V e IV sec. a.C ); o nel Museo Nazionale Etrusco di Valle Giulia, a Roma. Oppure visitando la Necropoli della Banditaccia a Cerveteri o la Necropoli di Monterozzi a Tarquinia. Necropoli, le città dei morti, con tombe ricostruite come fossero case scavate nel tufo, con stanze squadrate e letti dove adagiare i defunti. Spesso saccheggiate dai tombaroli, che con una lunga asta in ferro detta “spillo”, sondano il terreno a notte fonda, per individuare le tombe ancora intatte per rubarne i contenuti e venderli. Come accadde per il Cratere di Euphronios (510 a.C.), trafugato da una tomba della necropoli di Greppe Sant’Angelo a Cerveteri che, dopo un passaggio in Svizzera, fu acquistato dal Metropolitan Museum di New York. Ritornato in Italia nel 2008 dopo un lungo contenzioso, è diventato il simbolo della lotta al contrabbando di reperti storici, di cui forse non sono del tutto all’oscuro tante e prestigiose case d’asta e gallerie.

Da tante popolazioni, le Dodecapoli della nazione etrusca
Anche se si sa poco della loro provenienza, moderni studi genetici hanno stabilito che questa antica popolazione italica s’è sviluppata dove ha vissuto dal XI al I secolo a.C., cioè nel Lazio settentrionale e centrale fino a oltre Tevere a ridosso di Roma, Toscana e Umbria occidentale. Con diramazioni in Campania, Emilia–Romagna, Lombardia, Veneto meridionale e Liguria. Tuttavia, il fulcro centrale può essere individuato nella provincia di Viterbo: la Tuscia. Un’ insieme di genti diverse, che dall’VIII secolo a.C. sono diventate la nazione etrusca, composta da città-stato governate un Luchmon (Lucumone), re e sommo sacerdote che aveva poteri assoluti.
Pur essendo una popolazione dedita al commercio, quindi aperta al mondo, le loro città erano costruite su alture e difese da mura. Costituendosi in una federazione con dodici città-stato, erano diventati un popolo, con lingua propria e usanze. Le città della dodecapoli dovevano essere probabilmente: Aritim (Arezzo), Caere (Cerveteri), Clevsin (Chiusi), Volsinii (Orvieto), Pupluna (Populonia), Russel (Roselle), Tarchna (Tarquinia), Veio, Vetluna (Vetulonia), Perusia (Perugia), Velathri (Volterra) e Velch (Vulci).
Altri centri importanti furono Tuscania, la “città dei sarcofagi etruschi” esposti sui muri attorno a piazza Basile, sotto cui si trova la celeberrima Fontana delle sei cannelle di età Etrusco – Romana, e la più antica delle città. Tuscania aveva anche un fiorente commercio marittimo in tutto il Mediterraneo, attraverso il porto di Regas, presso Montalto di Castro. Anche Curtun (Cortona), nell’attuale Valdichiana, fu un’importante lucumonia etrusca, i cui fasti si possono ritrovare nelle tombe principesche dell’Area Archeologica del Sodo e Tomba di Camuccia con i corredi rinvenuti, esposti presso il Maec, Museo dell’Accademia Etrusca e Città di Cortona. Poi c’erano anche Vipsl (Fiesole), Pisa, Gonfienti, presso Prato e Caletra, in Maremma.
I Lucumoni, capi, sacerdoti, maghi
A capo della Federazione Etrusca c’era lo Zilath mechl Rasnal (pretore del popolo Etrusco) che era la massima autorità e veniva eletto dai lucumoni della dodecapoli etrusca. Si riunivano in assemblea nella primavera di ogni anno presso il Fanum Voltumnae, un santuario dedicato a Voltumna, dio degli abissi e dei vulcani. Luogo sacro rimasto sconosciuto, è conteso tra chi lo vuole a Tarquinia, centro della Federazione Etrusca, chi a Orvieto dove, dagli scavi a Campo della Fiera fatti dell’Università di Perugia, è stato ritrovato nel 2014 un tempio di 12 per 18 metri. Questa località è un’area pianeggiante sotto il colle tufaceo su cui sorge Orvieto e da sempre fu sede di fiere e mercati. Come quelle che si svolgevano durante l’incontro annuale del Fanum Voltumnae, tra discussioni di politica, affari economici, feste religiose e giochi atletici.

Le case degli Etruschi, ricostruite attraverso le tombe
Gli Etruschi hanno lasciato ampie tracce del mondo dell’aldilà, un po’ meno rimane delle abitazioni: dai primi villaggi di capanne circolari e poi rettangolari a più ambienti, alle case in muratura. Ne abbiamo testimonianze, grazie ai ritrovamenti nelle necropoli, riprodotte come urne cinerarie in ceramica e metallo. Una in bronzo a forma di capanna circolare, si trova nel Museo Nazionale Etrusco di Valle Giulia a Roma. Fu trovata nella necropoli dell’antica Falerii Veteres, città costruita su una collina scoscesa e distrutta dai Romani, forse sul sito dell’attuale Civita Castellana. Qualcosa di più strutturato si è trovato nell’antica Kàinua, chiamata Misa perché insiste sul pianoro di Misano, in quella che fu l’Etruria padana, poca distante dal fiume Reno. La località è presso Marzabotto, in Emilia-Romagna, Comune che riporta all’orrendo eccidio compiuto dai nazifascisti durante la Seconda Guerra Mondiale.
Fondata nel V secolo a.C., la struttura urbanistica dell’area archeologica, presenta la planimetria con quattro principali assi ortogonali (plateiai in greco). Uno orientato in direzione nord-sud; tre in direzione est-ovest. Dalle strutture di fondazione si evidenzia un’acropoli, case-bottega di tipo atrium tuscanicum, due necropoli, aree sacre, un acquedotto, un sistema fognario, una fornace e la fonderia.
Gli edifici, di forma rettangolare a piano unico, erano costruiti su un basamento in pietre regolari, costruiti con mattoni crudi intermezzati da assi di legno e pietruzze. Il tetto tipico poteva essere spiovente ma anche a terrazza. All’interno si presume che le pareti fossero affrescate con motivi e scene come quelle presenti in molte necropoli, specie nelle tombe scavate nella roccia a Cerveteri.
Religione e magia nel mondo dell’aldilà
Gli Etruschi, come Greci e Romani erano politeisti e avevano numerosi templi dedicati alle divinità, tra cui le principali, Tinia, Uni e Menrva, formarono un potente triumvirato divino. Tinia (o Tin) corrisponde a Zeus greco o Giove romano. Per alcuni viene identificato con Voltumna (o Veltha) e protettore di Volsinii (Orvieto). Uni, moglie di Tinia e madre di Hercle (l’Ercole latino), era la dea principale del Pantheon etrusco. Menrva (o Menerva, poi diventata la romana Minerva), nata dalla testa di Tinia, era la dea della guerra, arte, scuola e commercio.
Nella mitologia etrusca c’erano anche i demoni che s’incontravano dopo la morte. Tra questi Charun (il Caronte greco), demone alato che trasportava le anime nell’aldilà. Ma pure Tuchulcha, altro demone dell’oltretomba, con becco, orecchie d’asino, ali e serpenti sulla testa: è raffigurato nella Tomba dell’Orco a Tarquinia. Sempre nel mondo degli Inferi c’era Vanth, una divinità femminile alata a seno scoperto, che aveva in mano il destino delle persone.
Nella vita etrusca la religione era fondamentale e la casta sacerdotale aveva un grande potere. I lucumoni, come massimi sacerdoti, avevano un rapporto diretto con l’aldilà ed erano esperti di riti magici. I principali riti religiosi, come quelli d’iniziazione all’Alta magia, si svolgevano nel sottosuolo. Luogo predestinato, le Grotte lucumoniche scavate nel tufo, materiale di origine vulcanica di cui la civiltà etrusca ha fatto enorme uso, proprio per le zone in cui si è principalmente sviluppata. Secondo gli Etruschi, la vita di ogni persona aveva un percorso predestinato fin dalla nascita per volere degli dèi e attraverso l’arte divinatoria, si potevano leggere i segni del loro destino. Di questo si occupavano particolari sacerdoti.
C’erano gli Àuguri, che come nell’ornitomanzia greca, in base all’osservazione del volo e il comportamento degli uccelli o l’interpretazione dei fulmini, traevano conseguenze sulle volontà degli dèi. Gli Aruspici invece prevedevano il futuro esaminando le viscere di animali sacrificati come fegato (epatoscopia) e intestino (estispicio).

Il potere di Roma e l’integrazione etrusca
Nonostante taluni li ritengano erroneamente un popolo mite, dedito al commercio, arte, meditazione e magia, gli Etruschi si fecero valere militarmente per espandere il loro dominio commerciale nelle aree del Mediterraneo, fino allo scontro definitivo con Roma. Fini artisti ceramici (buccheri, crateri, anfore) e abili produttori di oggetti, attrezzi, utensili ed armi in bronzo e ferro (anche grazie alle miniere dell’Isola d’Elba), gli Etruschi li commerciavano assieme al vino e l’olio nei loro traffici marittimi e terrestri tra Oriente e Occidente. In cambio importavano ceramiche greche, stagno, oro, avorio, tessuti pregiati, pece, resine e cera; legnami, uova di struzzo, piante esotiche, pellami e tessuti, incenso e mirra (per le cerimonie religiose), oggetti in metalli preziosi, anfore con prodotti alimentari conservati, schiavi.
Per gli scambi commerciali si usavano anche gli emporion come quello di Pyrgi o Genova, gestito da una colonia etrusca. Ma principalmente quello di Gravisca (oggi Porto Clementino, presso Tarquinia), che oltre come centro per i commerci, fu anche un santuario con funzioni religiose.
Li troviamo dominatori dei mari in alleanza coi Cartaginesi nella battaglia di Alalia (IV sec. a.C), lo scontro navale davanti a Sardegna e Corsica. Battaglia tra circa 60 navi dei Focei d’occidente (profughi greci stabilitesi sulla costa nordest della Corsica) e le 120 Etrusche e Fenicie. Oppure da soli, nella battaglia navale di Cuma (474 a.C.), contro i siracusani, che segnò la fine delle loro mire espansionistiche sul mare. Le loro gesta sono riportate anche nell’Eneide, quando Virgilio cita una flotta etrusca di trenta navi partita da Caere (Cerveteri), guidata dal mitologico eroe troiano Enea.
Con la crescita di Roma, cominciarono i primi scontri, che sfociarono nelle Guerre romano-etrusche (750 a.C. – 264 a.C.), Dopo numerose battaglie di cui si ricorda quella di Fidenae (oggi Fidene, quartiere del III Municipio di Roma) nel 437 a.C., che vide vincitore l’esercito romano, e la presa di Veio nel 396 a.C., i Romani, ne uscirono vincitori e, a fine I secolo a.C., gli Etruschi si erano ormai integrati con gli usi e costumi di Roma, in gran parte derivati da loro. Sotto Augusto l’Etruria diventò la VII regione italiana. Di queste guerre si ricordano in particolare due nomi: Porsenna e Orazio Coclite. Il primo, lucumone di Chiusi, alla guida degli Etruschi. Il secondo, mitico eroe romano, nel 508 a.C. fermò da solo la loro avanzata cercando di attraversare il Tevere, mentre i compagni tagliavano le funi che sorreggevano il primordiale ponte Sublicio, impedendo così la presa di Roma.
Il vino degli etruschi
L’uso di bevande provenienti dalla fermentazione della frutta, si perde nella notte dei tempi e, in questo, di certo non ne hanno fatto a meno Greci, Etruschi e Romani. Ma ben prima di loro, la Bibbia ci ricorda che anche Noè non si tirava indietro dal bere quello che poi per i Romani era Il nettare di Bacco. Il vino fu una bevanda usata da loro anche durante i riti religiosi, specie funerari; e sembra che pure la ricorrenza dei Vinalia, festività romana in onore di Giove e Venere provenisse da loro. Nei Vinalia si dava il via per bere il vino dell’anno precedente, ma solo dopo averlo offerto nella cerimonia per primo a Giove. Solo poi poteva essere distribuito alla popolazione.

Una cosa è certa: il vino metteva d’accordo tutti. Non era propriamente come quello prodotto ai giorni nostri, tuttavia il vino etrusco veniva molto apprezzato nel Mediterraneo ed era un prezioso prodotto di scambio. Tanto che per gestire il crescente commercio vinicolo e altre mercanzie con le regioni galliche del sud e iberiche, nacque un fiorente mercato delle anfore da trasporto vinarie. La principale produzione fu tra Cerveteri, Vulci e Pisa e le navi da trasporto partivano principalmente dai porti di Pyrgi (Cerveteri) e Regisvilla (Vulci).
Precursori nella coltivazione della vite e della vinificazione, gli Etruschi furono anche in questo maestri dei Romani, ma sui metodi usati, si sa che facevano più o meno quello che si usava fare oltre un secolo fa nelle campagne nostre. L’uva veniva pigiata con i piedi e mani nei pigiatoi detti palmenti, composti da due vasche con diverse altezze che venivano coperte con tettoie e scavati nel tufo presso le vigne. Il mosto che si depositava, si faceva poi passare per un canale a quella inferiore, prima di essere messo in contenitori di terracotta impermeabilizzati internamente. In primavera, una volta fermentato e decantato, si travasava nelle anfore da trasporto.
Ai più poveri si lasciava il “vinello”, fatto con le vinacce lasciate a fermentare in acqua e poi filtrate. C’erano anche diversi modi per adeguare il sapore, l’acidità e la gradazione del vino, a seconda dei gusti, aggiungendo acqua, miele o spezie.
Tra le divinità più importanti per la religione etrusca vi era Fufluns, il dio del vino. Ebbe inizialmente patria a Vulci ed era l’equivalente del greco Dioniso e del romano Bacco. Il vino era anche il protagonista principale dei banchetti Etruschi, consumati tra danze, ebrezza, canti e giochi. Dando seguito alla prassi Etrusca, il vino fu poi usato principalmente tra i ceti aristocratici Romani dal IV secolo a.C., specie durante i culti dionisiaci, ma in generale serviva per alleviare le fatiche della vita quotidiana per le classi più povere. Però si doveva stare attenti, perché In vino veritas e, se abusato, il vino mette a nudo i pensieri più reconditi delle persone e poi sono dolori: ieri come oggi.
Vedi anche:
Vino Etrusco Metodo Mondini:
Video 1 di 4 – Video 2 di 4 – Video 3 di 4 – Video 4 di 4
Testo e foto di
Maurizio Ceccaioni
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