Prodotti artigianali: prudenza e buon senso

14 Febbraio 2007
I nostri lettori avranno ormai compreso che i temi relativi alla presentazione ed alla pubblicità dei prodotti alimentari ci interessano in modo particolare. Vogliamo oggi occuparci,
seppur brevemente, dell’uso, ormai inflazionato e quindi tendenzialmente privo di efficacia (ma tant’é), di termini che, in qualche modo, richiamano l’artigianalità dei prodotti
(della nonna, del contadino, della fattoria, di una volta, ecc) “come se si trattasse di una garanzia di qualità organolettica, nutritiva o sanitaria superiore”.
Abbiamo tratto questa citazione da una Circolare del Ministero delle Attività Produttive (Circ. MI.A.P.10.11.03 n. 168) che ha dedicato un interessante brano proprio all’argomento di cui
ci stiamo occupando:
“F) Prodotti artigianali.
Nella commercializzazione di taluni prodotti artigianali, quali le paste alimentari di cui al D.P.R. n. 187/2001, talvolta viene fatto con una certa enfasi
riferimento alla produzione artigianale, come se si trattasse di una garanzia di qualità organolettica, nutritiva o sanitaria
superiore.
L’uso di diciture quali lavorato a mano e simili è ingannevole quando soltanto alcune fasi secondarie e collaterali della produzione sono effettuate a
mano.
Nel comparto delle paste alimentari, ad esempio, le diciture lavorato a mano e simili potranno essere apposte unicamente qualora le fasi di impasto,
trafilatura, taglio ed essiccazione della pasta siano state effettuate in tutto o per la maggior parte a mano e non anche quando la manualità abbia riguardato unicamente fasi secondarie
come lo svuotamento dei sacchi di semola, il riempimento delle tramogge, il dosaggio degli ingredienti o il confezionamento.
E’ vero che l’uso di diciture concernenti le caratteristiche del metodo di produzione costituisce una garanzia fornita al consumatore sul metodo, ma non si
traduce, di regola, anche in un aumento della qualità del prodotto finito in termini di caratteristiche ingredientistiche, nutrizionali, chimico-fisiche, organolettiche ed
igienico-sanitarie.
Delle metodologie artigianali viene fornito un elenco, non esaustivo ma di rilievo, nella pronuncia n. 8884 del 9 novembre 2000 dell’Autorità garante
della concorrenza e del mercato, che si può così riassumere: la presenza di una struttura organizzativa tipicamente artigianale e/o familiare è caratterizzata dal basso
numero di addetti e soprattutto dall’incidenza dell’apporto umano e personale nella produzione. Questo aspetto concerne, ovviamente ed unicamente, le
caratteristiche dell’azienda. Pertanto non può in alcun modo essere utilizzato per presentare i prodotti come superiori nella qualità. L’azienda artigianale non può
cioè trasformare la sua qualifica giuridica in un elemento di qualità dei prodotti finiti.
In tale contesto non si può non tener conto anche di quanto previsto dal decreto legislativo n. 74/1992 che, anche se di portata generale, vieta ogni
forma di pubblicità subliminale e subordina l’uso dei termini garantito e garanzia e simili, quali selezionato e scelto, alla precisazione in etichetta del contenuto e delle
modalità della garanzia offerta”.
Quindi:
– per poter essere definite “artigianali”, le attività produttive devono rispondere a caratteristiche ben definite e, comunque,
– il fatto che un prodotto si possa definire artgianale “non si traduce, di regola, anche in un aumento della qualità del prodotto finito in termini di caratteristiche ingredientistiche,
nutrizionali, chimico-fisiche, organolettiche ed igienico-sanitarie” ;
Non possiamo che condividere le parole della circolare, quindi, ancora una volta, che voi siate produttori e/o soltanto consumatori, prudenza e buon senso.
P.S.
Per chi volesse approfondire, riportiamo:
– il testo del provvedimento 8884 (che si conclude con un’assoluzione) e
quello del provvedimento 6047 (che si conclude con una condanna);
– il testo del D.to Leg.vo 74/92.