Il cervello dei razzisti è insensibile al dolore degli “altri”

28 Maggio 2010
Il cervello dei razzisti funziona in maniera particolare: chi ha pregiudizi non prova nessuna empatia per il dolore percepito da individui dei gruppi etnici disprezzati.
E’ la tesi di una ricerca dell’Università di Bologna e dell’Università La Sapienza di Roma, dell’Ircss Fondazione Santa Lucia e del Cnrs francese di Lione. La ricerca è
stata diretta dal dottor Alessio Avenanti, psicologo, e dal professor Salvatore Maria Aglioti e da Angela Sirigu e sarà pubblicata a giugno su “Current Biology”.
La squadra del dottor Avenanti ha selezionato 40 volontari, universitari sia italiani caucasici che neri africani, tutti residenti in Italia. Inizialmente, tali soggetti sono stati sottoposti
ad un indagine standard sui pregiudizi razziali inconsci, per portare alla luce il livello di xenofobia.
Successivamente, le cavie hanno osservato immagini di mani umane (con la pelle di diverso colore) in cui venivano conficcati aghi. Nel mentre, gli studiosi praticavano loro timolazione
magnetica transcranica, una tecnica che consente di registrare l’attivazione dei circuiti neuronali associati a diversi movimenti del corpo, sensazioni tattili e dolorose, allo scopo di
intercettare i correlati nervosi dell’empatia.
I dati hanno evidenziato come, in generale, di fronte ad immagini dolorose (di qualunque colore) si attivano i circuiti del cervello collegati alla percezione del dolore, come se il soggetto
soffrisse direttamente e fisicamente.
Tale risposta non si verificava se l’osservatore aveva pregi: e tanto più la il razzismo era presente, tanto minore era la risposta empatica alle immagini.
Come spiega il professor Avenanti, “La ricerca dimostra che la scarsa empatia, cioè la capacità di condividere e comprendere i sentimenti e le emozioni altrui, nei confronti di
persone di diverso gruppo etnico è correlata al pregiudizio razziale inconscio dell’osservatore”.
Per evitare distorsioni e rendere il lavoro più completo, gli esperti hanno inserito un elemento “di disturbo”: la mano viola.
A tutti i volontari, oltre agli arti standard, è stata mostrata l’immagine di una mano colorata di viola: per i bianchi era stata usata la mano di un nero, e viceversa.
Gli scienziati hanno così notato come tutti i volontari mostrassero un atteggiamento empatico, condividendo il dolore.
Ciò significa, ipotizzano i ricercatori, che non è tanto il diverso in quanto tale a dare fastidio, ma il significato culturale che si associa alla diversità. Spiega
Avenanti: “La mano viola dimostra l’esistenza di una reattività naturale da parte del cervello degli esseri umani anche verso ciò che più è estraneo, rivelando
un’innata apertura nei confronti del diverso”.
Allora, conclude il capo-ricercatore, “Questa ricerca, può avere molteplici applicazioni, ma soprattutto suggerisce l’importanza e la necessità di educare all’empatia”
Matteo Clerici
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