Fondazione Fs italiane, un capitolo di dieci anni per una bella storia italiana

10 Marzo 2023
Festeggiati nel Museo Ferroviario di Pietrarsa i primi dieci anni della Fondazione Fs italiane
Testo e foto/Maurizio Ceccaioni
Sono passati i primi dieci anni da quando nel mondo delle Ferrovie Italiane si gettarono le basi di un sogno: quello di dar vita alla Fondazione Ferrovie dello Stato italiano e far rivivere i momenti più emozionanti non solo della rinascita del nostro Paese dal dopoguerra, ma ricordare al mondo che in questo campo non siamo stati mai gli ultimi arrivati. Era il 6 marzo 2013 e in piazza della Croce Rossa 1, sede della Direzione Generale delle Ferrovie dello Stato, vennero firmati dai Soci Fondatori (FS Italiane, Trenitalia e Rfi) sia l’atto costitutivo che lo statuto della Fondazione. A guardare indietro, posso anche immaginare come qualcuno possa aver visto di traverso questa iniziativa e magari pensare, se non a un flop, a scarsi risultati. E anche allo stupore e i dubbi espressi quando l’allora amministratore delegato Mauro Moretti, che ne fu anche il primo presidente, propose di affidare a una manciata di giovani speranze questo incarico. Sognatori li definì qualcuno, ma talvolta anche i sogni si realizzano.
L’otto marzo è stata la Festa della Donna, ma quest’anno ha coinciso anche con i festeggiamenti per il decennale di questa Fondazione, partita con un obiettivo sicuro: «Conservare i tesori della memoria, rigenerare idee, conservare l’identità e preparare il futuro». Ma i risultati conseguiti fino ad oggi, allora non li avrebbe immaginati neanche l’attuale direttore generale della Fondazione Luigi Cantamessa, estensore della prefazione del volume storico stampato per l’evento: ‘Una bella storia italiana’, fatta di passione e dedizione al lavoro, scritta a più mani con l’inchiostro e il sudore da un’intera comunità di ferrovieri.

In questo non si tratta né di pura filantropia, né di un investimento sociale strategico, ma di una fondazione senza scopo di lucro che, come riportato nello Statuto, è nata con il compito di «Preservare, valorizzare e consegnare integro anche a vantaggio delle generazioni future, un patrimonio di storia e di tecnica, simbolo del progresso e strumento di rafforzamento dell’unità degli italiani».
Forse non se ne saranno accorti tutti, ma nessuno può più negare l’evidenza. Perché grazie al sostanziale contributo dei soci fondatori che hanno messo a disposizione risorse e una grande varietà di strumenti, quel sogno realizzato finora sono archivi storici, biblioteche, Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa e quello di Trieste Campo Marzio. Per chi ha seguito un po’ la storia, sono stati anni molto impegnativi, durante i quali sono stati individuati e recuperati oltre 400 mezzi dismessi e abbandonati in vari scali, che oggi formano il parco dei “rotabili storici”. Di questi, circa 200 vanno a comporre quel parco di treni storici che percorrono la penisola creando valore aggiunto e una nuova vocazione turistica per il Paese, transitando anche su quelle linee ferroviarie un tempo definite “rami secchi”, riutilizzate dopo l’attuazione del progetto Binari senza tempo.

In treno storico dalla Stazione Ostiense a Pietrarsa
Le celebrazioni per il decennale della Fondazione FS sono cominciate di prima mattina alla Stazione Ostiense di Roma. Inaugurata il 28 ottobre del 1940, è stata più importante stazione ferroviaria della Capitale fino all’apertura della nuova Stazione Termini (1955), per divenire poi il terzo scalo di Roma per numero di passeggeri dopo la nuova stazione Tiburtina.
Ha una struttura razionalista progettata e realizzata dall’ing./arch. Roberto Narducci, con la facciata in travertino e il lungo porticato a pilastri impreziosito da un grande bassorilievo sulla destra. La Sala Presidenziale – già Sala reale – di trova a destra dell’entrata e ha accolto gli invitati per il Decennale. Bella ancora oggi coi soffitti altissimi secondo lo stile del tempo e i grossi lucernari Art Déco, sulle pareti laterali ricoperte di marmi pregiati campeggiano due enormi banner. Richiamano a quella “Storia italiana” realizzata grazie alle Ferrovie dello Stato, ma prima ancora con la realizzazione della prima tratta ferroviaria d’Italia da Napoli al Granatello di Portici, voluta da Ferdinando II di Borbone e inaugurata 3 ottobre 1839. Marmi anche sui pavimenti, arricchiti con mosaici in stile romano con tessere bianche e nere e più avanti la grande statua in marmo di Carrara della ‘Dea Roma’ di fronte alla quale c’è un pregiato arazzo.

Tutti a bordo, si parte!
In attesa al primo binario c’è il nostro treno storico, ma non è uno un qualsiasi perché si tratta dell’Etr 252 detto “Arlecchino”, fratello minore del più conosciuto Etr 300 “Settebello”: due treni lussuosi, che furono tra i simboli della rinascita italiana dal dopoguerra e anche i primi treni ad alta velocità in circolazione sulla nostra rete. L’Etr 252 fu messo in circolazione per la prima volta il 23 luglio 1960 tra Bologna e Venezia. Questo è l’ultimo dei 4 prodotti alla Breda di Sesto San Giovanni (Mi) negli anni 60 del 900 e dopo un lungo e fedele restauro, è stato ammodernato con i confort e i sistemi di sicurezza attuali, compreso il bar di bordo nella terza delle quattro carrozze di prima classe. Ha un totale di 170 posti a sedere e, chiamandosi “Arlecchino”, le carrozze sono contraddistinte per colore: la prima è la blu seguita dalla marrone, rossa e infine verde. Tirato a lucido, pare ci stia simpaticamente guardando con quel muso strano e un design che vede il macchinista in alto e sotto di lui i salottini vetrati in testa e coda, dai quali la velocità la tocchi con mano guardando lo scorrere delle traversine.

La chiusura manuale delle porte e il fischio del capostazione alle 8,45 annunciano la partenza. In testa la carrozza verde, dove erano stati fatti accomodare gli invitati di prestigio come Mara Vernier (madrina dell’evento), la ministra del Turismo Daniela Santanché, il sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi, quello alle Infrastrutture e ai Trasporti Tullio Ferrante, oltre a una rappresentanza del Gruppo Fs, tra cui ovviamente il presidente della Fondazione Fs Italiane, Mons. Liberio Andreatta, il direttore generale Luigi Cantamessa e Luca Torchia, direttore della comunicazione del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane.
Mentre si percorreva ad oltre 140 km/h la tratta ordinaria per Napoli, dal finestrino scorrevano le campagne verdi punteggiate dal bianco dei greggi di pecore e si superavano resti di acquedotti e località ormai dimenticate con l’Alta velocità. Per adeguare l’atmosfera al mezzo, durante il viaggio gli altoparlanti di bordo irradiavano musica anni 60: una sorta di radio nostalgia frammezzata dalle parole di un commentatore che dava brevi cenni sulla giornata.

L’arrivo a Pietrarsa-San Giorgio a Cremano
Dopo un viaggio di meno di tre ore, l’arrivo a destinazione; e ad accogliere i passeggeri sul tappeto rosso lungo la banchina, il direttore del Museo Nazionale Ferroviario Italiano di Pietrarsa, Oreste Orvitti. Il museo si trova in una zona industriale di 36mila mq a ridosso del mare nel Golfo di Napoli. Qui a Pietrarsa nacque negli anni 40 del XIX secolo il Reale Opificio Borbonico, la prima vera fabbrica metalmeccanica d’Italia, poi divenuta Officina Grandi Riparazioni Locomotive. E qui si produsse, tra le altre, anche la prima vaporiera completamente italiana. Riaperto a marzo 2017 dopo importanti lavori di ristrutturazione, nel 2019 ha ospitato oltre 200mila visitatori e nel 2020 l’area esterna è entrata a far parte della prestigiosa rete dei Grandi Giardini d’Italia.

La parte principale delle celebrazioni si è svolta nel Centro Congressi, dentro il grande salone delle locomotive e ben presto gli ospiti, anche arrivati da Napoli, in breve tempo hanno occupato le circa 800 sedie dorate in velluto rosso predisposte. Ad aprire gli interventi, Mons. Andreatta che, prima di tirare le somme su questi dieci anni, ha letto una lettera di saluti fatta pervenire dall’AD Ferrovie dello Stato, Luigi Ferraris. Tra gli intervenuti, l’ambasciatore Aldo Amati, consigliere del ministro per lo Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti, l’assessore alla Semplificazione amministrativa e al Turismo della Regione Campania Felice Casucci, il sottosegretario Vittorio Sgarbi, il sottosegretario Tullio Ferrante e il ministro Daniela Santanché, che tra l’altro, in riferimento al viaggio in treno, ha fatto un “elogio alla lentezza”, «Perché dal treno si ha il tempo di guardare fuori del finestrino e riappropriarci delle nostre inclinazioni di esseri umani». Per ultimo il sindaco di Portici Vincenzo Cuomo, d’accordo con la proposta della Santanché di realizzare delle rotte marittime da Ischia e Positano per portare velocemente qui i turisti.

Dal canto suo Mara Venier, prima di intervistare il DG della Fondazione, ha ricordato aneddoti della sua giovinezza e il suo rapporto d’affetto con i treni, essendo figlia di ferroviere, anche se in pensione. Perché come diceva un mio cugino ex macchinista, «Ferrovieri si rimane fino alla morte». E lo sa bene Luigi Cantamessa che, intervistato dalla Venier, confessa il suo «Amore istintivo, quasi carnale per il treno», perché per lui «Le ferrovie sono uno Stato nello Stato e rappresentano l’italianità». Una passione nata da quando era un bambino e gli regalarono un vero berretto da capostazione, continuata dopo l’entrata in azienda per concorso pubblico (già, allora funzionava così nello Stato) come giovane ingegnere, che per prima cosa chiese una divisa da lavoro e poi frequentò un corso per conduttori di treni a vapore.
Comunità, passione, dedizione, lavoro
Sono queste le parole che più rappresentano non solo idealmente la comunità dei ferrovieri, quella descritta anche nelle oltre 300 pagine del volume Una bella storia italiana, tra cui il lavoro fatto durante questa avventura cominciata nel 2013 grazie a dieci persone con meno di 35 anni.

«Oggi – dice Cantamessa – si stanno raccogliendo i frutti del lavoro fatto su un patrimonio lasciato per troppo tempo nel dimenticatoio e spero che tutto questo un giorno vada nelle mani di qualcuno che lo ami come lo abbiamo amato noi». Poi, guardando e indicando verso la sua sinistra, ricorda con affetto: «Se io sono qui devo tutto a Mauro Moretti che mi diede questa occasione».
Nel pomeriggio c’è stato poi il taglio del nastro per l’apertura della mostra fotografica, la visita accompagnata dalla musica di due giovani cultori della chitarra e mandolino, il canto in coro di “Azzurro” di Celentano. In attesa dell’Arlecchino per il ritorno, dalla banchina lo sguardo cade su una scritta rossa sul muro di lato al binario 1: «Il 3 ottobre 1839 iniziò il viaggio dell’invenzione più rivoluzionaria dell’era moderna, IL TRENO». Poi, di nuovo verso Roma.

Il ritorno sui binari dei treni con i sedili di legno
Le carrozze coi sedili di legno e cappelliere in esercizio fino al 1988 erano chiamate Centoporte, in riferimento alle numerose aperture presenti nel convoglio, dove una sola carrozza ne poteva contare fino a dieci. Oggi sono utilizzate nei treni storici trainati da locomotori elettrici o diesel, rimessi sui binari grazie ai progetti di riqualificazione portati avanti dalla Fondazione F con il supporto dei Soci Fondatori, con l’obiettivo di realizzare un turismo lento, sostenibile e di prossimità attraversano tutta l’Italia. Treni storici che raccontano una storia italiana fatta di orgoglio e sacrifici, dedizione e passione. Quella di un Paese che si è rialzato dopo le distruzioni della II Guerra mondiale, anche grazie al Treno e alla radio, che hanno messo in comunicazione persone e dialetti, unificando la lingua italiana e una nazione.
