Diabete: due terapie per viver meglio

26 Settembre 2009
Far vivere bene un malato di diabete; sopratutto, liberarlo dalla necessità d’iniettarsi l’insulina.
Questo è l’obiettivo di una ricerca italiana, che inizierà ufficialmente nel 2010 al Dri (Diabetes research institute) dell’Ospedale San Raffaele di Milano.
Tal studio ha le sue radici in ricerche precedenti, che sottolineavano come il diabete di tipo I è legato ad un sistema immunitario malfunzionante che danneggia le cellule del pancreas
produttrici d’insulina.
Così per ripararle, nel corpo del paziente vengono immesse cellule simili ricavate dal fegato di un donatore deceduto. Il limite di tale procedura è pero la quantità di
“materiale richiesto”: servono infatti almeno 3 fegati per malato, con tutti i limiti di reperimento di organi e di mobilitazione dei medici necessari.
A questo punto, ecco l’idea innovativa del Dri: usare il midollo al posto del fegato.
Spiega il dottor Luca Guidotti: “Per fare questo trapianto di cellule nel midollo c’è già la tecnologia e vogliamo iniettare le cellule nella cresta iliaca (la parte superiore del
bacino). Con questa procedura speriamo di poter cambiare la storia del diabete. Inizieremo con 3-4 pazienti che non possono subire il trapianto di cellule nel fegato perché ad esempio
hanno una patologia che lo impedisce. E già dopo un anno dal trattamento si potrà capire se il nuovo trattamento funziona meglio”.
Oltre allo studio sul trapianto di midollo, il San Raffaele ha in piedi una seconda ricerca anti diabete.
I medici deputati ad essa cercano di rallentare i sintomi della malattia, sempre “truccando” il sistema immunitario. A tal scopo, gli esperti vogliono estrarre una parte di esso farla replicare
in laboratorio e di re-iniettarla per impedire che il pancreas venga aggredito, e smetta così di produrre insulina.
Sull’argomento, spiega il dottor Guidotti: “Quando arrivano i primi sintomi del diabete l’80% del pancreas è già stato distrutto. Se si potesse intervenire prima, e individuare i
malati il prima possibile ad esempio con screening genetici, potremmo trattare il loro sistema immunitario per ritardare il più possibile l’esordio della malattia”.
Matteo Clerici