Aranciate e bibite di fantasia: cosa è cambiato?

15 Novembre 2012
Da tempo ci stiamo occupando delle manovre ruotanti attorno alla legislazione che regola l’impiego di frutta nella fabbricazione delle cosiddette “bevande analcoliche”, manovre caratterizzate da un ossimorico grido di guerra (tanto intrinsecamente falso, quanto di pronta presa sul mondo dell’informazione): “NO alle aranciate senza arance!”.
Non ci dilunghiamo sulle passate “campagne” (chi se le fosse perse, può recuperare con questo articolo ed i precedenti)
Oggi ci interessa parlare del tanto atteso “decreto Balduzzi” (Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più’ alto livello di tutela della salute) e, per la precisione, di alcuni commi dell’articolo 8 (Norme in materia di sicurezza alimentare e di bevande).
Detti commi (16 e 16-bis) prevedono la modifica di due testi legislativi piuttosto datati: i dettagli delle variazioni apportate (vedi tabella allegata) , sono così sintetizzabili: la quantità di succo di frutta da impiegare è aumentata dal 12 al 20 %.
Ma vediamo meglio.
Il DPR 719/58 regolamenta le bibite analcoliche gassate e non gassate (quelle vendute con il nome di uno o più frutta a succoo recanti denominazioni che a tali frutta si richiamino), cioè, tanto per capirci, aranciate, limonate, oran…, lemon,… & C.
Qui c’è poco da aggiungere a quanto già detto: lo “sviluppo del Paese” e la “tutela della salute degli italiani” (poi, magari, vedremo chi sono, in realtà, coloro che si vuole tutelare…) impone che “Le bibite di cui al presente articolo debbono avere, per ogni 100 cc., un contenuto di succo naturale non inferiore al 20 %”.
(Ecco perché, lasciatecelo ripetere per l’ennesima volta, LE ARANCIATE SENZA ARANCE NON ESISTONO NE’ SONO MAI ESISTITE).
Punto.
Molto più interessante l’altra modifica, quella relativa alla legge 286/61, che si occupa delle bevande analcoliche vendute con denominazioni di fantasia (quindi, come qualunque persona dotata di un minimo di comprendonio capisce facilmente, NON DELLE ARANCIATE).
Come risulta dai nostri precedenti articoli, per due volte, all’interno delle leggi Comunitarie, si tentò di abrogare l’articolo 1 di tale legge, in quanto esso risulta in contrasto con le disposizioni comunitarie in materia di additivi e coloranti e costituisce una ingiustificata discriminazione per i produttori nazionali rispetto agli operatori degli altri Paesi [protezionismo alla rovescia]; un freno alla competitività delle imprese italiane, nonché confusione degli organi di vigilanza e conseguenti difficoltà ed oneri sulle imprese.
Il problema risiedeva nel fatto che i produttori italiani, se volevano usare coloranti, dovevano obbligatoriamente aggiungere il 12 % di succo (cosa non richiesta dalla normativa europea). Il timore di chi si opponeva a tale abrogazione era che, cancellando l’articolo, si sarebbero potute fabbricare le fantomatiche aranciate senza arance.
Fatto sta che entrambi i tentativi andarono falliti.
Chissà come mai: forse sull’onda dello sdegno popolare sagacemente (Col)diretto? Ognuno giudichi chi ci guadagnava e chi ci perdeva.
La modifica apportata dal decreto è, in questo senso, geniale.
Come si nota, nell’articolato (oltre all’ovvio aumento della quantità di succo) scompare ogni accenno ai coloranti: il problema con la relativa legislazione comunitaria (almeno quello) è risolto.
Beh, certo, il “protezionismo alla rovescia” quello no, anzi è peggiorato, ma pazienza.
Tutti contenti? Non proprio.
Trovare gli entusiasti non è difficile. Citiamo (non a caso):
Duecento milioni di chili di arance all’anno in più’ saranno ‘bevute’ dai 23 milioni di italiani che consumano bibite gassate grazie all’aumento del 20% del contenuto minimo di frutta previsto dalla nuova norma. E’ quanto afferma la Coldiretti nel commentare il provvedimento contenuto nel decreto Sanita’…
Ma c’è anche chi la pensa in modo diverso.
Le imprese che operano in Italia, rappresentate da ASSOBIBE e MINERACQUA, sono allibite ed indignate che un provvedimento, inutile sotto il profilo sanitario e dannoso per le conseguenze sull’economia e sull’occupazione, sia stato assunto senza tener conto delle esigenze più volte rappresentate. Di fatto una ennesima tassa occulta con, inoltre, serie limitazioni alla produzione, alla competitività, alla crescita, e che favorisce fenomeni di importazione da altri Paesi non assoggettati a tali vincoli.
Non c’è nulla di sanitariamente rilevante nella disposizione approvata, anzi c’è, ed è la possibilità che per alcune bevande si debba aggiungere dello zucchero per compensare l’aumento del 67% del succo stesso (dal 12 al 20%) e ciò in stridente contraddizione con l’attenzione al bilancio calorico, così come inevitabile l’aumento di conservanti (indispensabili se si aumenta la quantità di succo di frutta), dei costi alla produzione ed al consumatore finale.
Con queste previsioni si mettono a rischio 3.000 posti di lavoro. Se l’Unione Europea non intervenisse non è difficile pensare che la produzione – in taluni casi – potrebbe essere spostata in altri Paesi europei e realizzata, come oggi avviene, con una percentuale di succo del 5%. Le piccole e medie imprese non avrebbero invece scelta se non dismettere le produzioni.
I prezzi aumenteranno e cambierà il gusto dei prodotti: siamo sicuri che i 23 milioni, malgrado ciò, si precipiteranno all’acquisto?
In ogni caso, dovranno aspettare un po’.
Ecco, infatti, cosa si legge in coda al citato articolo 8:
Le disposizioni di cui ai commi 16 e 16-bis si applicano a decorrere dal nono mese [agosto 2013]successivo alla data di entrata in vigore [11.11.2012] della legge di conversione del presente decreto, previo perfezionamento, con esito positivo, della procedura di notifica di cui alla direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 giugno 1998.
Cosa vuol dire?
Il commento dell’avvocato Pisanello:
Si tratta di un intervento che, mancando una armonizzazione comunitaria sul tema delle denominazioni di vendita delle bibite analcoliche (diversamente dai vini o le bevande spiritose), è tecnicamente possibile e astrattamente non vietato dal diritto comunitario. In quanto, però, le nuove disposizioni sulle denominazioni delle bevande analcoliche costituiscono “norma tecnica”, questa disposizione può essere applicata solo una volta perfezionatasi, con esito positivo, la procedura di notifica di cui alla direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 giugno 1998 così come lo stesso art. 8, comma 16-ter, riconosce.
A tutto il 13 novembre, non risulta che tale notifica sia stata inoltrata.
A questo punto ci torna in mente ciò che qualcuno disse a proposito di un’altra legge: Quel che conta, appare con tutta evidenza, è il risultato politico. Quel che si vuol enfatizzare é …l’accoglimento delle richieste autarchiche del mondo agricolo…
Per certuni, quindi, comunque vada, l’obbiettivo è già raggiunto: nell’agosto del 2013 le elezioni saranno finite.
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Dott. Alfredo Clerici
Tecnologo Alimentare
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