FREE REAL TIME DAILY NEWS

Alimenti “scaduti”: troppa confusione!

Alimenti “scaduti”: troppa confusione!

By Redazione

L’interesse che i nostri lettori continuano a dimostrare al problema dei “prodotti scaduti” ci induce ad approfondire quanto già accennato in altri articoli (vedi Note Finali).

Il decr.to leg.vo 109/92 (testo base sull’etichettatura dei prodotti alimentari) dedica all’argomento due articoli distinti:

Art. 10 – Termine minimo di conservazione (TMC)

“1. Il termine minimo di conservazione è la data fino alla quale il prodotto alimentare conserva le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione; esso va indicato con la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro” quando la data contiene l’indicazione del giorno o con la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro la fine” negli altri casi, seguita dalla data oppure dalla indicazione del punto della confezione in cui essa figura….”.

Art. 10 bis – Data di scadenza

“1. Sui prodotti preconfezionati rapidamente deperibili dal punto di vista microbiologico e che possono costituire, dopo breve tempo, un pericolo per la salute
umana, il termine minimo di conservazione è sostituito dalla data di scadenza; essa deve essere preceduta dalla dicitura “da consumarsi entro” seguita dalla data stessa o dalla menzione del punto della confezione in cui figura.”

Esistono, quindi, due categorie di prodotti: quelli “rapidamente deperibili” (per i quali è corretto impiegare il termine “scaduto”) e gli altri. Questi ultimi non possono “scadere” in quanto il TMC non costituisce un “limite invalicabile”, ma unicamente “la data fino alla quale il prodotto alimentare conserva le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione”.

Ciò è talmente vero che, mentre la legge proibisce esplicitamente e categoricamente “la vendita dei prodotti che riportano la data di scadenza a partire dal giorno successivo a quello indicato sulla confezione”, nulla dice (né potrebbe farlo) in merito agli altri.

Appare perciò chiaro che parlare genericamente di “prodotti scaduti” può essere fonte di grande confusione, specie per il consumatore.

Vale, a questo punto, la pena di approfondire il concetto di TMC, che caratterizza la stragrande maggioranza dei prodotti alimentari.

Vediamo innanzitutto come nasce questa indicazione.

Una delle domande che il produttore si pone, nel momento in cui decide di porre in commercio un determinato alimento, è la seguente: “Per quanto tempo il mio prodotto potrà essere consumato, prima di perdere le sue caratteristiche?” La vita di un alimento, infatti, è legata a svariati fattori (composizione, tipologia dei materiali di confezionamento, ecc.), tutti gestiti dal fabbricante il quale, dopo opportune verifiche, stabilisce, appunto il TMC.

Con questa indicazione, il produttore comunica al consumatore il seguente messaggio: “Caro consumatore, io ti assicuro che, sino alla data indicata, tu potrai trovare il mio prodotto nelle migliori condizioni.”.

E poi? Cosa succede al prodotto a partire dal giorno successivo? Qualcuno può ragionevolmente immaginare che, nel giro di 24 ore si possa passare dall’ottimo al pessimo? Certo no.

In realtà, il prodotto comincerà a modificarsi, perdendo via via le sua caratteristiche peculiari (a seconda dei casi: croccantezza, friabilità, morbidezza, fragranza,
sapore, profumo, colore, ecc.).

Solo dopo un certo tempo (funzione sia della tipologia del prodotto, sia della presenza di “cause esterne”) il prodotto potrà divenire fonte di pericolo per la salute del consumatore.

Le “cause esterne” cui abbiamo accennato sono molteplici: tra queste troviamo, ad esempio, (e ce ne siamo occupati nel nostro precedente articolo) le “cattive condizioni di conservazione”.

Quanto abbiamo cercato di descrivere è ben illustrato dal seguente brano, tratto da una sentenza della Cassazione (vedi Note Finali):

“…il termine minimo di conservazione è la data fino alla quale il prodotto conserva le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione. Di conseguenza, poiché la perdita delle proprietà specifiche (fragranza, morbidezza, consistenza, odore, sapore, sapidità, retrogusto, ecc….) si risolve nel semplice impoverimento delle caratteristiche che rendono il prodotto appetibile e particolarmente gradito al consumatore, ma non significa degenerazione del prodotto stesso nei sensi richiesti dalla legge n. 283 per la configurabilità delle contravvenzioni di cui alle lettere “a-c-d-” dell’art. 5, se ne deve inferire che il superamento di detta data, non incidendo sull’igiene e sulla commestibilità dell’alimento, resta di per sé indifferente per il diritto penale e non autorizza l’equiparazione di cui si tratta.
Naturalmente nulla toglie che non solo dopo (in rapporto al tempo trascorso) ma anche prima di detta data, per inadeguatezza delle condizioni di conservazione o per altra causa, l’alimento possa aver subito alterazioni o degradazioni; si tratta però di eventi che, per aver rilevanza penale, devono essere dimostrati in concreto con i normali mezzi di prova: prime – fra tutti – le analisi chimiche e microbiologiche.”.

Riassumendo:
– prodotti caratterizzati dalla menzione “da consumarsi entro il…”: a partire dal giorno successivo a quello indicato, possono essere correttamente
definiti “scaduti” e la loro vendita è proibita;

– prodotti caratterizzati dalle menzioni “da consumarsi preferibilmente entro…” o “da consumarsi preferibilmente entro la fine…”: il semplice superamento della data indicata non costituisce, di per sé, indice di reato né presenza di prodotto non commestibile o addirittura pericoloso: la situazione deve essere valutata caso per caso (e, comunque, non è corretto parlare di prodotto scaduto!).

Note finali:

Vendita di alimenti scaduti e cattivo stato di conservazione

Perché sugli scaffali del supermercato ci sono prodotti scaduti?

Striscia la Notizia, cioè: frittata di cipolle e caffè

Prodotti scaduti: Sentenza che tratta l’argomento in maniera più dettagliata n. 15 del 27 settembre 1995

Dott. Alfredo Clerici
Tecnologo Alimentare

Newsfood.com

VISITA LO SHOP ONLINE DI NEWSFOOD