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UnPoxExPo: le “bollicine” a tavola già oltre 2000 anni fa con Seneca, Cesare e Plinio

UnPoxExPo: le “bollicine” a tavola già oltre 2000 anni fa con Seneca, Cesare e Plinio

By Redazione

Piacenza, 22 agosto 2013

BOLLICINE: UNPOXEXPO 2015  PRESENTA LA STORIA DEI VINI EFFERVESCENTI NELLA DIETA ITALIANA DA SECOLI

Duemilacinquecento anni fa nasceva la spumantiera, il suo uso e la tradizione di bere vino fresco per la salubrità e sanità del corpo umano. Fu un insieme di dotte esperienze
culturali e di capacità tecniche che posero le basi all’uso di recipienti refrigerati e al consumo di bevande fresche, diventata poi tipica tradizione irrinunciabile per le popolazioni
mediterranee e italiane in modo particolare.

Il tutto nacque fra la Grecia e la Magna Grecia. Il poeta greco Simonide, vissuto a cavallo del V°-IV° secolo a.C., scrisse un epigramma al fine di consigliare e dimostrare ai commensali
che era opportuno non bere più a tavola vino caldo, ma fresco, perché rinfrescante.

Il primo sommelier della storia, se possiamo chiamare così Simonide, era a casa di un amico a cena, sulle coste di Itala, parte della Magna Grecia e chiese a un mescitore di procurarsi
subito della neve, esortando Giove dall’Olimpo a farne copioso dono alla terra, perché solo così si poteva iniziare la cena, con bevande fredde e non calde. Simonide elogia le
caratteristiche della neve perché sa mantenere “viva” la qualità e la fragranza delle bevande e dei cibi, oltre al fatto che durante le estati caldi porti refrigerio per dare
leggiadria alla tavola.

Un secondo grande esperto di vini e temperatura di consumo, di potere alimentare e nutrizionale nella storia, fu Ateneo, che professava la professione di medico nel I° secolo d. C. a Attalia
nel Peloponneso, il quale “ricettava” di bere bevande calde d’inverno e fresca d’estate e autunno per migliore digestione e regolazione della temperatura del corpo umano.

Gli stessi Seneca, Cesare e Plinio, nei loro scritti e lettere fanno spesso riferimento alla necessità, soprattutto nelle opulenti e prolungate cene romane, per calmare gli eccessi e per
andare incontro alle esigenze dei commensali abituati a mangiare alimenti stracotti, di iniziare la cena sempre con un calice di vino fresco, molto fresco.

“Nacque così – confida Giampietro Comolli che sta scrivendo la prima guida turistica per EXPO2015 – la tecnica architettonica, nei palazzi e ville nobiliari, come per esempio a Pompei, a
Amalfi ma anche a Spina e a Mutina, antichi castrum romani costruiti nella vicinanza del Delta del Po, di ricavare delle stanze o cantine sottoterra, sotto il piano della villa, e delle gallerie
strette con ai lati delle nicchie rivestite di ceramica o metallo in cui era pressata ghiaccio e neve raccolti d’inverno nei laghi e fiumi. Ghiacciaie e frigoriferi, come di sa, non erano ancora
stati inventati. La nicchia veniva “tappata” con strati di foglie, rami e paglia impastata a terra. Quindi i coppieri romani versavano il vino e blocchi di neve così pressati, di volta in
volta, in colini di pregio in oro e argento (colium nivarium) per separare le impurità lentamente, intanto il mosto-vino denso filtrava e diventava fresco e leggero. Plinio il Vecchio,
nell’esaltare l’importanza della bevanda fresca a tavola, ricorda che fu l’imperatore Nerone a inventare la bollitura dell’acqua prima di farlo diventare ghiaccio da stivare nelle nicchie,
perché in questo modo l’acqua perdeva gran parte dei sali calcarei e quindi ghiacciava prima e scongelava più lentamente in modo di raffreddare il vino annacquandolo meno. Nel Medio
Evo la eccezionalità della ghiacciatura diventa usanza mettendo la fiasca di vino in una bacinella di ferro o in mastelli di legno lastricati in rame o metalli preziosi con acqua fredda
del pozzo, o pezzi di ghiaccio e più recentemente anche sale bianco marino.

Fra la fine del XVII° secolo e il XVIII°, prima della creazione delle ghiacciaie, i pozzi d’acqua stessi, profondi, bui e stretti, lastricato di sasso diventavano il luogo ideale per
conservare le bottiglie di vino. I mastelli in legno, calati nel pozzo con dentro le bottiglie, erano rivestiti di paglia, così pure le bottiglie o fiaschi che venivano portati in tavola
erano avvolti da impasto di paglia e argilla dura, come un sacchetto, in modo che trattenesse il fresco più a lungo possibile.

Nel XVIII° secolo i mastelli divengono un ornamento sontuoso della tavola, in oro, in argento, in vermeil, ma più sovente in porcellana, in metallo argentato o in rame, grazie anche a
grandi artisti e agli uomini di arte e mestieri. A Venezia come a Dijone, a Torino come a Reims, quadri riprendono spesso la presenza dei ” mastelli” sulle tavole imbandite di case nobiliari con
dentro bottiglie, soprattutto, riconoscibili dal tappo a fungo, come bottiglie di spumanti.

Testo coperto da copyright,
pubblicato su espressa autorizzazione
di Giampietro Comolli
Redazione Newsfood.com

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