Perchè anche la Gola è un Peccato Capitale? Meglio abolirlo!

23 Giugno 2013
Sabato 22 giugno 2013, ALMA, Scuola internazionale di Cucina Italiana
Una grande festa si è svolta, nei cortili e nei giardini della piccola Versailles di Colorno, per i 2000 allievi che ogni anno frequentano la prestigiosa scuola.
I ragazzi della mia generazione sognavano di diventare Pelè, Sivori, Mazzola… oggi gli idoli si chiamano Carlo Cracco, Massimo Bottura… Gualtiero Marchesi.
Sono stati premiati Cino Tortorella, già Mago Zurlì ma soprattutto uno dei primi grandi enogastronomi (nel ’59 creò la prima trasmissione di cucina “Cuochi fatui”;
è stato premiato il grande regista de “L’albero degli zoccoli” Ermanno Olmi; mattatore sul palco con Gualtiero Marchesi ha ricevuto un premio anche Philippe Daverio, personaggio di Cultura
e di Arte, come pochi.
Cino Tortorella ha parlato del Peccato Capitale della Gola che vorrebbe eliminare sostituendolo con la tristezza.
In realtà proprio Tortorella, che per quattordici anni ha tenuto una rubrica di varie pagine su Grand Gourmet, ha individuato un altro Peccato, lo Spreco Capitale di Bollicine:
festeggiare le vittorie in Formula Uno stappando Champagne e spruzzarlo sulla folla. Non sarebbe meglio usare della gazzosa? Ed anche buttare il riso sugli sposi, serve solo a nutrire i
piccioni…
Giuseppe Danielli
Direttore e Fondatore
Newsfood.com
Perché anche la Gola?
Di: Cino Tortorella, Davide Rampello, Gualtiero Marchesi
Perché fra i vizi capitali che la morale cattolica condanna c’è la Gola?
Niente da obiettare sulla Lussuria che spesso degenera nell’abiezione, nella violenza, nella prevaricazione sui più deboli; d’accordo sull’Ira che provoca guerre e delitti; sulla Superbia,
l’Invidia, l’Avarizia che uccide la solidarietà e la generosità; qualche perplessità sull’Accidia che è generata dalla noia, dallo scoraggiamento, dalla solitudine, ma
è difficile che provochi danni se non a se stessi…
Ma perché considerare peccato – e addirittura capitale – la Gola?
Che male si fa a gustare con piacere i doni che la Natura elargisce con generosità? E che un grande chef trasforma in deliziosi manicaretti?
Perché mettere sullo stesso piano un delitto provocato dall’Invidia e dalla Superbia e il godimento di un cibo mangiato in allegria con amici e magari seguito da canti e danze e invenzioni
poetiche?
Ebbene sì: da ottocento anni questo è un peccato fra i più perversi, fra quelli che senza un duro e sofferto pentimento portano diritti all’inferno.
Immagino che molti, anche se fedeli praticanti, non ci avranno mai pensato, ma quando vanno a confessarsi, oltre a denunciare i “desideri di donne d’altri”, le “false
testimonianze”, gli “atti impuri” dovrebbero aggiungere il peccato di aver mangiato con avidità: purcidduzzi, chianchianelle, malloreddus, moeche, tortellini, trofie al pesto… e il
confessore dovrebbe obbligarli a farsi perdonare recitando decine di pateravegloria con la promessa di non farlo più.
E tutto questo, da ottocento anni, perché prima si potevano tranquillamente mangiare i cibi più prelibati senza correre il rischio di finire per questo all’inferno.
I Vizi Capitali, infatti, fino al XIII secolo, erano sette, ma non c’era la Gola; al suo posto c’era la Tristezza, il peccato di chi non apprezza le bellezze della Natura, i doni che Dio ha dato
all’umanità per renderla felice e serena.
Fu Giovanni Cassiano, un monaco vissuto nel V secolo, il primo che propose di eliminare la Tristezza e sostituirla con la Gola, il desiderio dei piaceri della tavola.
All’inizio nessuno prese in considerazione la sua proposta fino alla salita al soglio pontificio di papa Gregorio I che la codificò, ma fu poi Tommaso D’Aquino che nel 1200 introdusse
ufficialmente la Gola nel catechismo insieme agli altri sei Vizi Capitali.
Nei secoli che seguirono molti vescovi, cardinali e papi sono stati colti dal dubbio se la Gola fosse da considerare un “peccato” e per giunta “capitale”; nessuno è però mai
intervenuto a correggere la decisione di Tommaso, forse anche per rispetto, dal momento che era stato fatto santo.
Eppure sulle tavole ricevute da Mosè sul Sinai non c’è un comandamento che proibisca di desiderare un buon “annulieddu a lu furnu” o delle gustose “pittule” e “popizze”.
Eppure fra i miracoli più importanti compiuti da Gesù e descritti nei Vangeli ce ne sono due che riguardano proprio il cibo: la moltiplicazione dei pani e dei pesci e la
trasformazione dell’acqua in vino alle nozze di amici a Cana, un piccolo paese della Galilea.
Così lo racconta il Vangelo: Quando Maria si accorse che era finito il vino e gli ospiti erano a
disagio, si rivolse al figlio e gli sussurrò preoccupata: “Che cosa si può fare per aiutarli?” sapendo (per esperienza?) come è triste una festa senza del buon vino.
E Gesù non rispose:
“Che importa? Bevano acqua” oppure “Meglio, così non si ubriacano” o anche “Tutta salute! L’alcool fa male”.
Quanto pagherebbe la triste genia degli astemi perché il racconto del Vangelo continuasse così. E invece il figlio di Dio si fece portare dell’acqua di fonte e la trasformò
in prezioso vino.
E quando Gesù sa che sta per concludersi la sua vita terrena, la sera della vigilia della sua “Via Crucis”, non si ritira a meditare in solitudine, ma con i suoi discepoli partecipa a una
cena che immaginiamo allietata da gustosi cibi e innaffiata da un buon vino, lo stesso che certo ritroveremo in Paradiso come ci assicura il Vangelo secondo Giovanni: “…e preso il calice,
reso grazie, diede loro; e ne bevvero tutti.
E disse loro: “questo è il sangue mio effuso per molti. In verità vi dico che non berrò del succo della vite fino a quel dì che ne berrò di nuovo nel regno di
Dio”.
Ricordiamo anche che nei due millenni di cristianesimo molte creazioni gastronomiche sono legate alla religione: le Zeppole di san Giuseppe, il Gattò di santa Chiara, gli Occhi di santa
Lucia, il Torcolo di san Costanzo, la Torta Paradiso, la Torta Pasqualina, i Capelli d’angelo, senza dimenticare gli “strangulaprievuti”, il “cappello del prete” e il “boccone del prete”,
naturalmente innaffiati da Vin Santo e Lacrima Christi.
Perché dunque mettere fra i peccati così orrendi, da essere definiti capitali, anche quello della Gola che, secondo Dante, ci porterebbe nel terzo girone dell’Inferno controllato da
Cerbero “fiera crudele e diversa” che latra con tre teste sui peccatori sommersi dalla fanghiglia provocata da una pioggia “etterna, maledetta, fredda e greve” composta da grossa grandine
mischiata ad acqua nera e neve?
Tutto questo solo per aver apprezzato in vita le “orecchiette alle cime di rapa”, la “pasta con le sarde”, i “tajarin ricoperti dai tartufi di Alba”.
Quanto sopra premesso abbiamo perciò deciso in occasione del premio Almaviva conferito il giorno 22 giugno nella Reggia di Colorno (PR) di iniziare una campagna indirizzata alle
Autorità religiose perché la Gola sia cancellata dai Vizi Capitali.
Non è una proposta blasfema; si tratta soltanto di tornare a prima del XIII secolo e
sostituire la Gola che ha sempre dato gioia, ha invitato all’amore, alla poesia, all’arte, con la Tristezza, il peccato di chi non apprezza le bellezze del Creato.
Dalla Reggia di Colorno, Cino Tortorella, Davide Rampello e Gualtiero Marchesi si rivolgono a coloro che condividono questa iniziativa e li invitano a firmare questo appello.
Contemporaneamente si impegnano a iniziare una raccolta di fondi da destinare ai
bambini che in troppe parti del mondo soffrono la fame e alle loro famiglie che se
sapessero che quello della Gola è considerato un Vizio o un Peccato…
Cino Tortorella,
Davide Rampello,
Gualtiero Marchesi
per Newsfood.com