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OMELIA DEL CARDINALE POLETTO, S. MESSA DI APERTURA DELL’OSTENSIONE DELLA SANTA SINDONE

OMELIA DEL CARDINALE POLETTO, S. MESSA DI APERTURA DELL’OSTENSIONE DELLA SANTA SINDONE

By Redazione

Cardinale Poletto:
Premessa
“Carissimi tutti,
siamo finalmente arrivati al momento tanto atteso nel quale i nostri occhi stupiti e commossi  possono fermarsi a fissare impressa sulla santa Sindone, esposta qui davanti a noi, l’immagine
silenziosa ma fortemente eloquente di un uomo crocifisso, che presenta in modo impressionante tutti i segni caratteristici delle violenze subite dal corpo di Gesù durante la sua Passione,
così come sono descritte dai Vangeli. La coronazione di spine, i numerosi colpi di flagello, le ferite dei chiodi nelle mani e nei piedi e il petto squarciato dal colpo di lancia di un
soldato sono tutti elementi legati alla Passione del Signore e riconoscibili nell’immagine che sta qui davanti a noi visibile su questo sacro Lino e sono per noi – come disse nel 1998 il
Venerabile Papa Giovanni Paolo II – “provocazione all’intelligenza perché il fascino misterioso esercitato dalla Sindone spinge a formulare domande sul rapporto tra il sacro Lino e la
vicenda storica di Gesù”.

La Parola di Dio
Stiamo celebrando l’Eucaristia e non possiamo prescindere dal compito di fermarci a riflettere sul messaggio che la liturgia della seconda Domenica di Pasqua ci offre attraverso la Parola di Dio
ed in particolare nella pagina del Vangelo. Giovanni ci narra che, mentre i discepoli stavano chiusi nel cenacolo per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e
disse: «Pace a voi». Detto questo mostrò loro le mani e il fianco.
E i discepoli gioirono al vedere il Signore. In questa celebrazione eucaristica Gesù si rende ancora una volta presente in mezzo a noi nel sacramento e la sua, pur essendo una presenza
nascosta nei segni del pane e del vino consacrati, è una vera presenza reale in quanto Egli è ormai risorto e vive per sempre. Il suo corpo risorto porta però ancora i segni
della sua passione e morte e Gesù li fa vedere ai discepoli per convincerli della sua vera identità di Messia, Figlio di Dio, morto in croce, ma ora vittorioso sulla morte e sul
peccato.
Questo suo apparire provoca nei discepoli una gioia grande perché finalmente possono constatare che le notizie ricevute dalle donne che, andate al sepolcro, avevano sentito dagli Angeli
l’invito a “non cercare tra i morti colui che è vivo” (Cf Lc 24, 5) corrispondono a verità. Anche il dubbioso Tommaso, che lancia la sfida dicendo che crederà soltanto quando
potrà toccare con le sua mani le ferite dei chiodi e del costato, riceverà un segno di benevolenza da Gesù che ritorna per raccogliere questa sfida. Ma Tommaso non tocca, si
ferma davanti al mistero e proclama la sua fede nel Risorto dicendo: «Signore mio e Dio mio!».

La Sindone “specchio del Vangelo”
Ci può essere una analogia tra quanto vissuto dai discepoli secondo questo testo di Giovanni e quello che proviamo noi davanti alla Sindone?
Qual è il fascino che questo sacro Lenzuolo suscita nella moltitudine di persone che verranno a Torino per vederlo, contemplarlo in meditazione orante e silenziosa?
Noi sappiamo che la nostra fede non si fonda sulla Sindone, bensì sui Vangeli e sull’annuncio che i testimoni, gli Apostoli, ci hanno dato della verità della risurrezione di
Gesù da morte perché sono stati con Lui e hanno mangiato e bevuto con Lui dopo che era uscito vivo dal sepolcro.
Non trattandosi di materia di fede la Chiesa non ha competenza specifica nel pronunciarsi sull’autenticità o meno della Sindone.
Compete agli scienziati e storici seri, non ai prevenuti, valutare e risolvere tale questione, cioè dire con certezza se la Sindone corrisponde o no al vero lenzuolo che ha avvolto il
corpo di Gesù durante la sua breve sepoltura. A noi basta per ora affermare che quanti finora l’hanno studiata a lungo e con criteri scientifici oggettivi non sono ancora riusciti a
spiegare come si sia formata quell’immagine, che certamente non è un manufatto, per cui permangono fondate, con alto grado di probabilità, le ragioni in favore della sua
autenticità.

La nostra fede in Gesù, che patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto e soprattutto risuscitò dai morti secondo le Scritture e quindi è il vero
ed unico nostro Salvatore, non ha bisogno della Sindone bensì del Vangelo, ma la Sindone, ed è qui il suo fascino misterioso, è un grande aiuto alla fede e alla preghiera dei
credenti perché ci invita a meditare commossi e stupiti sulla Passione del Signore, di cui essa ci presenta i segni visibili, ed il nostro animo è rapito dal pensiero di come e a
quale prezzo il Signore Gesù ci ha amati fino a morire per noi.

Passio Christi, Passio hominis

Le parole “Passio Christi, Passio hominis” che ho scelto come motto di questa Ostensione ci invitano a mettere in relazione la passione così carica di sofferenza del Signore Gesù
con le tante passioni, croci e sofferenze che nel corso della storia ed in particolare anche oggi segnano la vita dell’umanità e scoprire come la passione del Signore illumina di luce
nuova le numerose e spesso inspiegabili croci che gravano sulle spalle di tante persone.
Fissare lo sguardo sull’immagine sindonica significa cogliere il profondo mistero di una sofferenza scelta, accettata e offerta per amore da parte del Signore Gesù.
Ma nello stesso tempo la Sindone ci ricorda che Gesù ha preso su di sé ogni sofferenza umana, ogni nostra sofferenza.
Ricordo ancora le parole di Giovanni Paolo II pronunciate qui nel ’98: “L’impronta del corpo martoriato del Crocifisso, testimoniando la tremenda capacità dell’uomo di procurare dolore e
morte si suoi simili, si pone come l’icona della sofferenza dell’innocente di tutti i tempi: delle innumerevoli tragedie che hanno segnato la storia passata e dei drammi che continuano a
consumarsi nel mondo. Davanti alla Sindone, come non pensare ai milioni di uomini che muoiono di fame, agli orrori perpetrati nelle tante guerre che insanguinano le Nazioni, allo sfruttamento
brutale di donne e bambini, ai milioni di esseri umani che vivono di stenti e di umiliazioni ai margini delle metropoli, specialmente nei Paesi in via di sviluppo? Come non ricordare con
smarrimento e pietà quanti non possono godere degli elementari diritti civili, le vittime della tortura e del terrorismo, gli schiavi di organizzazioni criminali?”.
Ora anche noi ci domandiamo: come non pensare qui davanti a questa immagine della sofferenza di Cristo alle grandi tribolazioni di molte famiglie povere, dei senza lavoro, alle croci quotidiane
dei malati e dei moribondi, di quanti faticano a vivere dignitosamente, e alle tante sofferenze nascoste vissute nel silenzio tra lacrime e disperazione?
Soltanto la luce che promana da Gesù sofferente e risorto riesce ad arricchire di significato redentivo, molto spesso misterioso ma sempre efficace, tutte le nostre sofferenze, se vissute
e offerte con amore e con la certezza che nulla di quanto nel nostro vissuto quotidiano ci accosta alla croce di Cristo è privo di senso o va perduto.

Conclusione

San Giovanni nel suo Vangelo ci ricorda che «Vicino alla croce di Gesù stava Maria sua Madre» (Gv 19, 25). Anche qui, vicino a questa immagine sindonica, intensa e struggente,
che ci parla dello strazio inenarrabile del Signore Gesù, è lecito pensare alla presenza di Maria che è qui per ricordare ai pellegrini che passano in silenziosa preghiera
che la passione di Gesù rimane il vero balsamo di consolazione per ogni nostra sofferenza perché con la sua risurrezione il Signore ci ha dimostrato che il dolore finisce e la morte
passa, mentre la vita e la gloria che Egli ci offre sono doni definitivi che ora viviamo nella speranza, ma che un giorno si riveleranno come una realtà di gioia senza fine quando
«saremo sempre con il Signore» (1 Ts 4, 17).
Il frutto spirituale che chiedo al Signore per quanti si avvicineranno in preghiera a questa santa Immagine sindonica è di percepire con certezza di fede il dono di grazia che Dio ci offre
attraverso la passione di Gesù, così come leggiamo nella Prima Lettera di Pietro: «Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme: egli
non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca; insultato, non rispondeva con insulti, maltrattato, non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia.
Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia;  dalle sue piaghe siete stati
guariti» (1 Pt 2, 21-24).

Severino Card. Poletto
Arcivescovo di Torino

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Redazione Newsfood.com

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