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La cottura della pasta secca: Le ragioni scientifiche della tradizione

La cottura della pasta secca: Le ragioni scientifiche della tradizione

By Redazione

Negli ultimi tempi molti chef hanno portato alla ribalta la ricerca sui metodi di cottura della pasta secca, tanto che questo è stato uno degli argomenti più trattati nell’ultima
edizione di Identità Golose: dalla cosiddetta cottura passiva di Elio Sironi alla reidratazione di Peter Brunel o alla pasta “risottata” di Moreno Cedroni.

In questo momento di grande fermento sui metodi di trattamento del prodotto italiano più utilizzato e conosciuto, l’affermazione di Gennaro Esposito, secondo cui “ci sono forti
fondamentali da rispettare e la pasta lascia poco margine all’esplorazione”, sembra quasi reazionaria. Ma quella dello chef della Torre del Saracino è tutt’altro che una presa di
posizione priva di fondamento.

La tradizione della cottura della pasta in abbondante acqua bollente, infatti, deriva essenzialmente dalle caratteristiche chimico-fisiche del prodotto.

Elemento essenziale della pasta è il glutine, quella rete proteica che si forma quando si unisce alla semola di grano duro l’acqua e che permette al composto di legarsi in un impasto.
Una semola di qualità – ossia dall’alto tenore proteico – darà vita a una fitta rete glutinica che riuscirà a trattenere al suo interno l’amido della pasta e tutti gli
elementi nutritivi. Affinché questi elementi nutritivi non si modifichino, andando a mettere in discussione la digeribilità della pasta, è importante che l’essiccazione
avvenga a bassa temperatura. Alcuni studi hanno infatti dimostrato che, se la pasta viene essiccata ad alte temperature, la sua struttura in termini di solubilità proteica e
proprietà termiche dell’amido si modifica sensibilmente, diminuendo la digeribilità dell’amido. Una pasta artigianale avrà quindi dei valori nutrizionali migliori rispetto
a un prodotto industriale.

Questi però sono solo i principi da cui partire. Una grande importanza riveste anche la cottura.

La cottura della pasta è un processo meccanico basato sull’osmosi. Perché si cuocia è infatti necessario che l’acqua penetri nell’amido facendolo aumentare di volume.
L’alta temperatura raggiunta col bollore e l’abbondanza di acqua facilitano questo processo, che deve avvenire nella maniera più omogenea possibile. La bollitura fa sì che la
pasta si muova continuamente e, di conseguenza, sia colpita in ogni suo punto dall’acqua, mentre l’alta temperatura consente all’acqua di penetrare fino al centro della pasta, rendendo omogenea
la cottura. Una pasta al dente è una pasta cotta uniformemente, che offre una resistenza tenace ed elastica. Spesso invece la si confonde con una pasta cruda al centro.

Con i nuovi metodi di cottura, come quello di Elio Sironi, accade che la pasta invece si cuocia fin troppo all’esterno ma resti cruda all’interno.

Una pasta davvero cotta al dente sarà molto più digeribile di una cotta in maniera alternativa, perché la rete di glutine sarà stata in grado di trattenere al
proprio interno l’amido, rendendolo così assimilabile in maniera graduale ed evitando di conseguenza picchi glicemici nella fase di digestione. La tradizione, quindi, ha un fondamento
scientifico che non va dimenticato.

Molto importante, se si vuole migliorare ulteriormente la pasta e adattarla alle esigenze della ristorazione, è invece il rapporto fra pastifici e chef, come suggerisce anche Gennaro
Esposito. La sinergia fra chi lavora in cucina e chi produce la materia prima è piuttosto rara, ma se attuata correttamente permette di creare prodotti che si adattano al meglio ai
piatti da realizzare.

Mafaldina Dei Campi
Redazione Newsfood.com+WebTV

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