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Giurisprudenza: Cozze con escherichia coli e Tonno taroccato
21 Luglio 2017
By Giuseppe
Milano, 21 luglio 2017
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Tra le sentenze del mese di luglio pubblicate dalla Cassazione paiono interessanti due pronunce aventi ad oggetto materiale ittico.
Con la sentenza 34168/2017 la Cassazione ha dichiarato la penale responsabilità di F.R. in ordine al reato di cui all’art. 5, lettera c), della legge n. 283 del 1962, in quanto, nella qualità di legale rappresentante di una cooperativa alimentare deteneva per la distribuzione al consumo kg 540 di cozze, risultate contaminate da Escherichia coli in misura superiore al limite consentito dalla legge.
Osserva il Collegio che una volta superati, in un prodotto destinato alla alimentazione, i limiti di tollerabilità in ordine ad un componente avente una indubbia valenza patogena, e tale è certamente la escherichia coli essendo per un verso indicatore della avvenuta contaminazione fecale del prodotto ove tale batterio è presente ed essendo,
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per altro verso, esso stesso elemento eziologicamente attivo per la insorgenza di diversi disturbi, anche potenzialmente assai gravi, per l’organismo umano la integrazione del reato, ricorrendone gli altri presupposti, è non suscettibile di ulteriori discussioni, trattandosi di un cosiddetto reato formale, il quale si realizza, attesa la sua natura di presidio avanzato a tutela di beni primari quali, come nel caso la salute dei consumatori dei prodotti alimentari, sulla base della mera ricorrenza degli aspetti morfologici della condotta descritta dalla norma e della sussistenza dell’elemento psicologico proprio della singola fattispecie penale, senza la necessità del verificarsi di una effettiva lesione, naturalisticamente sensibile, del bene interesse tutelato essendo sufficiente la sua semplice messa in pericolo attesa la finalità di tali figure di reato volte a prevenire la commissione di più gravi illeciti.
Altrettanto interessante la sentenza 34188/2017 relativa alla contestazione di una frode in commercio a carico di un soggetto che aveva alterato la provenienza di scatolame di tonno spacciandolo per sardo. Nel cao di specie, i giudici hanno correttamente ricordato la cornice di riferimento che caratterizza l’interpretazione giurisprudenziale della fattispecie delineata dall’art . 515 cod. pen.; disposizione che, sotto la rubrica “frode nell’esercizio del commercio”, punisce colui il quale “nell’esercizio di un’attività commerciale, o vero di uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mo ile per un’altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o qu ntità diversa da quella dichiarata o pattuita”.
Tale fattispecie è posta a tutela della correttezza e del leale esercizio del commercio a fronte di condotte le quali si sostanzino nella messa in commercio di beni che presentino caratteristiche merceologiche diverse da quelle indicate nel marchio o nell’etichettatura. In questa prospettiva, l’art. 2 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109 (recante “Attuazione delle direttive n. 89/395/CEE e n. 89/396/CEE concernenti l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari”), stabilisce che l’etichettatura dei prodotti alimentari e le relative modalità di realizzazione debbano “assicurare la corretta e trasparente informazione del consumatore in modo da non indurlo in errore.
Nella specie nè la materia prima né il processo di trasformazione cui la merce veniva sottoposta, avevano alcun collegamento con quella area economica e geograficamente identificabile costituita dalle tonnare di Sardegna, presenti soltanto in tre ben individuate località (Isola Piana, Portoscuso e Porto Paglia). La Corte ha inoltre evidenziato carenze argomentative del tutto scevre da profili di veridicità rispetto ai parametri indicati (origine,provenienza ed entità della merce), ai fini della individuazione dell’offerta commerciale e quanto effettivamente presente nelle confezioni di tonno messe in vendita sotto l’etichetta Tonnare della Sardegna.
Ne è derivato che queste contenessero un prodotto certamente diverso da quello dalla stessa evocato, considerato che il pesce veniva catturato in alto mare (e non, appunto, in una tonnara) e che il luogo della trasformazione, si trovava a Cagliari.
Fabio Squillaci è avvocato, specializzato in Professioni Legali ed allievo del Corso Galli in Napoli. Ha svolto con profitto lo stage ex art. 73 D.L. 69/2013 affiancando un giudice penale presso il Tribunale di Cosenza. Da sempre amante delle interazioni tra il diritto e le altre scienze, ha collaborato in diverse attività di ricerca. In qualità di cultore della materia collabora con i docenti per lo svolgimento di attività seminariali e di esercitazione, nonché per lo svolgimento degli esami di profitto. Autore di varie pubblicazioni su Persona e danno, diritto.it, Camminodiritto e Salvis Juribus, Newsfood.com; ha di recente pubblicato la monografia “Il diritto storto”.
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