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Pecorino sardo fatto in Romania? Il falso Made in Italy è anche in Ecuador

Pecorino sardo fatto in Romania? Il falso Made in Italy è anche in Ecuador

By Redazione

“…nomi di fantasia come quelli della società Lactitalia, la quale esporta in Usa e in Europa e produce in Romania formaggi di pecora venduti con marchi che richiamano al Made in Italy
come Toscanella, Dolce Vita e Pecorino. Una società di proprietà della Simest, controllata dal Ministero dello Sviluppo Economico, e dei Fratelli Pinna attraverso la Roinvest con
sede a Sassari, con amministratori tra gli altri come Andrea Pinna che è vicepresidente del Consorzio di Tutela del Pecorino Romano e Pierluigi Pinna che è consigliere
dell’organismo di controllo dei formaggi pecorino Roma, Sardo e Fiore Sardo Dop che dovrebbero promuovere il vero pecorino e combattere la concorrenza sleale e le contraffazioni.

……è fatta all’estero con i soldi pubblici, a danno dei produttori italiani e dell’immagine del vero Made in Italy sui mercati internazionali.
La società romena Lactitalia, posseduta al 29,5 per cento dalla Simest, controllata dal Ministero dello Sviluppo economico, e per il 70,5 per cento dalla Roinvest con sede a Sassari fa
capo alla famiglia Pinna.”(fonte Coldiretti)

In piena bufera “pecorino sardo prodotto in Romania, non entriamo in merito alla correttezza dell’operazione Lactitalia: sicuramente la Finanziaria ha fatto le cose in regola con le leggi e le
normative ma crediamo che ci sia un limite etico e morale che debba essere rispettato.

Ci scrive Andrea Barbieri, dall’Ecuador:
-“mi trovo a Quito in Ecuador: ho fatto una ricerca per sapere dove poter denunciare mistificazioni di prodotti: ho cecato su internet ed ho trovato Newsfood.com.
Non ho trovato altro. A me piace andare nei supermercati a vedere quello che vendono e qui a Quito esistono prodotti con la scritta: prosciutto italiano – mortadella italiana – salame italiano
che non hanno nè la forma, nè il colore, nè tanto meno il contenuto di ciò che dichiarano.

Sembrano tutti dei triturati di non so cosa con verdure (si vedono puntini verdi) e la ragazza del supermercato che li stava promozionando mi ha chiesto di acquistarli: io le ho fatto notare
che non hanno nulla di simile a quelli originali e che mai li avrei comprati essendo l’etichetta incompleta e falsa. Per me poteva essere anche un trito di carne di topo e cane o gatto; lei mi ha
guardato indispettita, mi sono scusato ma ho detto: sono italiano e non mangio ciò che non conosco.

E’ per questo che visito i supermercati ed i mercati ortofrutticoli: per vedere ciò che non conosco e saperlo riconoscere .  

Ad Andrea risponde Angelo Acino:
Abbiamo recentemente trattato della problematica dei falsi made in Italy nel campo alimentare.
In quell’articolo mi riferivo perlopiù a quanto accade in ambito comunitario e su come cercare di difendersi.
Ora il campo si allarga.
Anche i cosiddetti Paesi Terzi non sono certamente esenti da tale fenomeno.
Prendo spunto dalla segnalazione di un nostro connazionale in Ecuador, che ci chiede a chi eventualmente rivolgersi in tali Paesi per segnalare questo tipo di scorrettezze. Ora, io non ho
specifica competenza per tale Paese, ma mi sentirei tuttavia di indicare che, per individuare a quale ente od Autorità sia demandato il controllo dell’etichettatura dei prodotti
alimentari, sia necessario rivolgersi alla locale Camera di Commercio.
Da lì, se non sono loro stessi, dovrebbero saper indicare a chi rivolgersi.

Andando per analogia, qui da noi il controllo dell’etichettatura è passato per enti diversi. Un tempo era appannaggio esclusivo del cosiddetto Servizio Repressione Frodi, facente capo
all’ex Ministero Agricoltura e Foreste, ora MIPAAF, poi degli uffici UPICA nelle varie Camere di Commercio.
Ora, se nulla è cambiato nel frattempo, delle Regioni. Tuttavia qui abbiamo la singolare particolarità che a poter sollevare le infrazioni sull’etichettatura sono in tanti. Dal
vigile urbano al finanziere, dai NAS ai funzionari del MIPAAF ecc…..

Tornando all’Ecuador, forse anche il Consolato potrebbe, se pure non rientrante nei suoi compiti, farsi portavoce del problema presso gli uffici competenti. Il made in Italy del resto va pur
difeso in qualche modo.
Altro canale normalmente agguerrito ed efficace sono le associazioni di consumatori, particolarmente temute dai produttori.

Non dimentichiamo poi che la scritta “prodotto italiano”, come segnala il nostro amico, qualora non veritiera configura un vero e proprio reato perseguibile dietro denuncia del consumatore
raggirato.
Resta da vedere caso mai se qualcuno sia motivato a perseguire tale strada, ma questa è una valutazione di opportunità che solo il singolo può fare.
Faccio presente poi che chi si avventurasse in tali Paesi avendo in mente le nostrane regole obbligatorie di etichettatura, sarà bene che prima si informi su quale sia il regime
colà vigente, poiché certamente le regole sono diverse e spesso ben meno pregnanti delle nostre. In molti Paesi vige una sorta di “laissez faire” ed in tale ottica la fantasia
può spaziare in ambiti a noi del tutto sconosciuti e proibiti.
Prima quindi di lanciarsi quale paladino della corretta etichettatura, consiglio caldamente il parere di un esperto locale.
Normalmente, individuato l’ente preposto al controllo, si saprà se si può procedere o meno.
Mi sentirei infine però di auspicare una maggiore collaborazione su questi temi, che comportano comunque un italico danno di immagine, tra il nostro Governo e i Paesi Terzi,
affinché si arrivi un giorno ad una armonizzazione non solo comunitaria, ma mondiale, delle regole di etichettatura.

14 settembre
2010                                                       
 
Angelo Acino

Newsfood.com

(Foto pubblicata su autorizzazione di Coldiretti: pecorino romeno prodotto da Lactitalia di cui è proprietario lo Stato Italiano/Finanziaria Simest) 

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