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Migrazioni e territorio: Intervento del Presidente della Provincia Valerio Bettoni

By Redazione

 

Conoscere è il primo elemento per integrare. E tutte le politiche che la Provincia assume nei confronti degli immigrati sono orientate a favorire l’accoglienza nel rispetto
dei principi, dei valori e delle regole di chi accoglie. Per questo l’impegno dell’Osservatorio Politiche Sociali con le sue ricerche e la sua rete interistituzionale
costituisce un valido strumento di sostegno alle funzioni programmatorie della Provincia, che deve saper conciliare la crescita dell’economia con gli aspetti di socialità
che definiscono lo sviluppo sostenibile.

Se vogliamo sgomberare la questione da insostenibili pregiudizi di chiusura e a volte di xenofobia, dobbiamo allora assumere come primo dato che l’economia bergamasca così
come oggi va evolvendo, ha bisogno di manodopera straniera. Ci piaccia o no, ci sono mestieri e lavori che la nostra gente non vuole più fare e che d’altra parte qualcuno
deve svolgere.

La prevalente vocazione manifatturiera che connota il nostro territorio sulla dimensione delle piccole e medie imprese, modello che tiene e che amplia il suo fabbisogno occupazionale,
è il primo volano nel suo successo su questa attrazione di chi è proprio in cerca di lavoro.

Il tasso di disoccupazione inferiore al 3 per cento è al di sotto del tasso fisiologico e nascono ogni giorno nuove imprese e nuove attività, al cui soddisfacimento
occupazionale spesso non basta più la manodopera locale.

Cresce fortemente anche il bisogno di servizi alla persona per l’invecchiamento della popolazione non compensato da un tasso di natalità italiano, adeguatamente
proporzionato. Per l’assistenza ai nostri anziani o per le per gli aiuti domiciliari di varia natura si va sempre più estendendo il ricorso alla figura della badante di
origine straniera.

Abbiamo dunque bisogno di immigrati nelle fabbriche, nei campi, nelle nostre case. Non possiamo pretendere che avendo bisogno di loro di giorno e nelle normali attività, tanto da
inserirli nelle nostre abitazioni e nelle nostre aziende, questi poi spariscano dal contesto sociale appena finite le prestazioni.

Abbiamo il dovere di inserirli adeguatamente anche nella comunità in cui si trovano ad operare, avendola scelta per un bisogno ma anche per qui trovare un futuro per sé e
per la propria famiglia.

Così come spieghiamo loro le regole per operare in azienda e nelle nostre famiglie, dobbiamo saper assieme costruire le regole per sviluppare la convivenza in una società
che evolve se sa trovare la giusta integrazione.

È dunque fondamentale conoscere i fabbisogni occupazionali e di servizi che possono riguardare i lavoratori stranieri, anche per poter governare – e non subire – i
flussi di ingresso, spesso autoalimentati in maniera sfuggente e non funzionale a una più facile integrazione.

Una controllata e guidata eterogeneità delle comunità straniere sul nostro territorio costituisce un elemento di più facile approccio a un’integrazione
equilibrata, presupposto per rompere la cultura del ghetto di forti comunità autoorganizzate in contrapposizione.

Dal governo del bisogno dell’emergenza dobbiamo saper passare ad una visione che colga e valorizzi le componenti di positività di queste presenze in una prospettiva di
allargamento degli orizzonti culturali, nel segno del dialogo.

Questo intreccio interetnico, interculturale e intereligioso, che è auspicabile si manifesti sul piano locale per meglio vivere assieme, alimenta anche quell’aspirazione
alla comprensione, alla cooperazione e alla concordia che costruiscono la pace nel mondo.

È credibile e reale questa tensione perché l’abbiamo prima vissuta sulla nostra pelle e poi sappiamo anche che l’abbiamo realizzata in tutti i continenti,
nelle diverse epoche storiche, in cui i migranti erano i bergamaschi. Siamo stati popolo delle valigie, degli scarponi e dei sogni che si sono realizzati, a prezzo di sacrifici non
indifferenti e a volte anche generazionali: siamo riusciti a guadagnarci stima e apprezzamento, fornendo il nostro contributo al progresso e al benessere di quelle comunità che
ci accolsero. Siamo stati rispettosi della legalità altrui, quando eravamo ospiti: parimenti chiediamo l’osservanza della nostra cultura e della nostra Costituzione –
che è Carta di apertura e solidarietà – oggi che ad ospitare siamo noi.

Vorrei ricordare infine il buon andamento del progetto PARI-REI per il reimpiego dei lavoratori immigrati.

Il Progetto Rei promuove la ricollocazione lavorativa degli immigrati regolarmente soggiornanti in Italia che hanno perduto il lavoro o hanno un contratto di soggiorno in scadenza e
presentano, quindi, il bisogno di servizi mirati per rientrare (o evitare di uscire) dal mercato del lavoro. Il progetto si è posto l’obiettivo di contribuire a rafforzare
e integrare la rete degli attori locali competenti in materia di immigrazione e di reimpiego lavorativo, da un lato, favorendo la stabilità e l’integrazione degli immigrati
presenti nel nostro territorio e, dall’altro lato, alimentando lo sviluppo delle imprese locali anche attraverso una maggiore conoscenza delle caratteristiche e delle
specificità dell’offerta di lavoro immigrata. In questa attività sono già stati ricollocati 110 lavoratori immigrati.

I dati qui esposti e le ricerche sulle diverse comunità straniere presenti a Bergamo possono consentire alle istituzioni di operare più efficacemente ma soprattutto
chiamano il vasto mondo del volontariato e degli operatori del no-profit ad arricchire la propria competenza e ricevere nuovi stimoli per una efficace politica dell’accoglienza e
dell’integrazione.

 

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