Fiori: produzione “made in Italy” in picchiata, imprese in grave crisi

8 Giugno 2010
Durante il convegno della Cia a Sanremo affrontati i pesanti problemi del settore floricolo. Particolarmente grave la situazione delle rose, la cui produzione si è dimezzata e i costi
aumentati del 30 per cento. Ribadita l’esigenza di nuove regole per il mercato globale. Gli oneri in crescita e le attuali norme Ue rendono sempre meno competitive le aziende italiane ed europee.
Il 70 per cento dei fiori importati in Europa proviene da Kenya, Colombia, Israele e Ecuador. Far scattare la clausola di salvaguardia in modo da ripristinare i normali dazi.
Per i fiori “made in Italy” è crisi. Alle difficoltà che sempre più si riscontrano nella competizione internazionale si sono aggiunti i pesanti problemi dei costi di
gestione, a cominciare da quelli del gasolio, il cui “bonus” per le serre è stato soppresso dal novembre dello scorso anno. Una situazione complessa che rischia di mettere fuori mercato
tante imprese che non riescono a fronteggiare i molti ostacoli che condizionano in modo opprimente la loro attività produttiva. Il risultato è allarmante: negli ultimi cinque anni
la produzione di fiori recisi nel nostro Paese è diminuita di oltre un quarto (meno 26 per cento) e con essa c’è stata la perdita di più di mille ettari (soprattutto
strutture serricole). Particolarmente grave è lo scenario per le rose, la cui produzione si è dimezzata e i costi aumentati del 30 per cento. Serve, quindi, una nuova strategia che
permette alle aziende italiane di tornare a crescere e a competere adeguatamente. E’ quanto scaturito dal convegno promosso dalla Cia-Confederazione italiana agricoltori oggi a Sanremo dove,
appunto, si è affrontato il tema “Floricoltura: regole nuove per il mercato globale”.
Dai lavori – presieduti dal presidente della Cia Liguria Ivano Moscamora e introdotti dalla coordinatrice nazionale del Gruppo d’interesse economico (Gie) florovivaismo della Cia Mariangela
Cattaneo e che ha visto la partecipazione di rappresentanti delle istituzioni europee e nazionali, fra cui il presidente della Commissione Agricoltura del Parlamento europeo Paolo De Castro –
è emersa chiara l’esigenza di interventi mirati per superare le grandi difficoltà che le nostre imprese di fiori recisi hanno per restare sul mercato. Un mercato – è stato
evidenziato – sempre più libero e aperto, senza alcuna regola se non quella del rapporto fra domanda e offerta. Difficoltà che vengono riscontrate anche da altri paesi Ue, dove le
aziende floricole continuano a manifestare un trend sempre più al ribasso.
Una situazione estremamente critica che, unita a politiche comunitarie che si pongono l’obiettivo di portare sviluppo dei Paesi terzi, ha generato una crisi evidente nella competizione che –
è stato rilevato durante il convegno della Cia – i produttori europei non sono più in grado di sopportare. I dati, del resto, parlano da soli: oltre all’Italia, anche in Olanda,
negli ultimi anni, si è avuta una perdita superiore ai mille ettari coltivati a fiori recisi; stesso discorso per la Spagna dove si è avuta una flessione di superficie di oltre il
12 per cento e per la Francia con una diminuzione di circa 700 ettari.
Lo scenario in Italia è, tuttavia, ancora più preoccupante. E’ vero che il settore nel suo complesso ha mantenuto le stesse superfici (circa 36.000 ettari), perché c’è
stata una riconversione nei confronti del vivaio o delle piante in vaso, ma ciò non toglie che senza interventi tempestivi le produzioni di fiori recisi sono destinate a sparire sia nel
nostro Paese che in tutta Europa, facendoci così diventare -è stato rimarcato nel corso del convegno di Sanremo- dei semplici importatori.
Sarebbe un tracollo drammatico per le tante imprese che in Italia per il solo “reciso”, senza, cioè, la produzione di fronde, coltivano su 2751 ettari, divisi soprattutto fra
Liguria, Toscana, Lazio, Campania, Puglia, Sicilia e Calabria.
La perdita di competitività deriva dal fatto che – è stato rimarcato nel convegno della Cia – le produzioni effettuate nei paesi in via di sviluppo godono di condizioni climatiche
più favorevoli, un basso costo della mano d’opera (15 volte inferiore) e dei terreni e aiuti economici sia locali che della Comunità europea che incentiva queste produzioni. Questo
ha aumentato notevolmente le quote di mercato acquisite dalla merce d’importazione. Circa il 70 per cento dei fiori importati in Europa proviene, infatti, da quattro paesi: Kenya, Colombia,
Israele, Ecuador.
Il nocciolo della questione è, però, che la competizione in atto in questo comparto non è fra paesi ricchi e paesi poveri, ma fra piccole e medie imprese che operano in
Europa e grandi imprese, sempre europee, che hanno de-localizzato le loro produzioni. Queste – è stato affermato nel convegno Cia – entrano nell’Ue in esenzione di dazio e senza alcun
controllo fitosanitario. L’aumento di tali importazioni risulta in costante aumento, facendo nascere un problema di eccessiva quantità di offerta su un territorio dove, a causa della
crisi economica, si è registrato un calo dei consumi. Naturalmente ne deriva un deprezzamento che velocizza ancora di più la crisi del comparto.
Pur consapevole della complessità del problema, la Cia ha avanzato alcune proposte per evitare la scomparsa delle produzioni di fiore reciso in Europa e nel nostro Paese. Occorre subito
una revisione delle politiche comunitarie, perché le attuali non hanno prodotto sviluppo, ma soltanto un moderno colonialismo e, per giunta, hanno indebolito l’economia interna europea.
Regole che, pertanto, devono avere l’equilibrio di portare sviluppo senza uccidere il settore nei paesi d’origine. Per tale ragione sarà necessario regolare i flussi delle merci sui
mercati e sospendere gli incentivi a chi de-localizza, in quanto ha già sufficienti vantaggi. La Cia chiede, poi, di far scattare la clausola di salvaguardia in modo da ripristinare i
normali dazi e per ultimo far sì che anche il settore del fiore reciso possa accedere ad un sistema di aiuti.
Nel corso del convegno di Sanremo non poteva non essere affrontato l’impellente problema dell'”accise zero” per il gasolio agricolo utilizzato per il riscaldamento delle serre. L’eliminazione del
“bonus” ha già provocato pesanti contraccolpi per i produttori e in particolare per quelli di fiori recisi. Si tratta di una situazione inaccettabile che essa si abbatte su un settore
già fortemente segnato da una crisi strutturale che ha portato molti serricoltori a cessare l’attività. Da qui la necessità di un intervento tempestivo per ripristinare
un’indispensabile agevolazione. Altrimenti, c’è il pericolo che -ha avvertito la Cia- molti imprenditori agricoli non si approvvigioneranno di carburante preferendo cessare
l’attività, con gravi ripercussioni sul tessuto economico e sociale di tante realtà del nostro territorio.
Cia.it
Redazione NEWSFOOD.com + Web TV