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Crisi: un agricoltore su tre teme di essere costretto a chiudere l’impresa e sei su dieci hanno conti in rosso

Crisi: un agricoltore su tre teme di essere costretto a chiudere l’impresa e sei su dieci hanno conti in rosso

By Redazione

In occasione dei due grandi sit-in a Roma, anticipati dalla Cia i risultati di un’indagine fra i produttori che mette in evidenza la grave emergenza che sta vivendo l’agricoltura italiana. Il
96,3 per cento ritiene totalmente insufficienti i provvedimenti varati nell’ultimo anno. Il 34,8 per cento si dichiara scoraggiato e pensa addirittura ad un abbandono dell’attività.
Unanime la previsione sulla crisi agricola: difficilmente si riuscirà a superare nel giro di tre-quattro anni.
 
Un agricoltore su tre teme di essere costretto a chiudere la propria azienda a causa delle grandi difficoltà (costi eccessivi, prezzi in crollo e burocrazia asfissiante) che incontra; sei
su dieci hanno conti “in rosso”, il 96,3 per cento ritiene totalmente insufficienti per l’agricoltura i provvedimenti varati nell’ultimo anno, mentre il 34,8 per cento si dichiara scoraggiato e
pensa addirittura ad un abbandono dell’attività produttiva. Per il 95,6 per cento l’attuale situazione di profonda crisi che sta investendo il settore primario, sempre più in
emergenza, rischia di protrarsi ulteriormente e difficilmente si riuscirà a superare nel giro di tre-quattro anni. E’ quanto risulta da un’indagine compiuta dalla Cia-Confederazione
italiana agricoltori sull’intero territorio nazionale sull’indice di fiducia degli imprenditori agricoli davanti alla complessa congiuntura che sta penalizzando il mondo agricolo del nostro
Paese.

L’indagine della Cia – di cui sono stati anticipati alcuni risultati in occasione dei due grandi sit-in oggi a Roma e che verrà presentata in dettaglio nelle prossime settimane – conferma
ancora una volta la gravità dei problemi che attanagliano l’azienda agricola italiana. La quasi totalità dei produttori interpellati (97 per cento) punta l’indice sui costi divenuti
insopportabili, sulla burocrazia che toglie risorse e soffoca ogni iniziativa, sui prezzi che sui campi sono in caduta verticale. Praticamente, si produce sottocosto in molti comparti, primo fra
tutti quello dei cereali, dove i listini sono diminuiti anche del 30 per cento, con punte del 40-45 per cento per il grano duro.

La situazione – si rileva nell’indagine della Cia – è però allarmante un po’ per tutti gli altri comparti, dalla vitivinicoltura all’ortofrutta, dall’olivicoltura alla zootecnia, al
lattiero-caseario. Sta di fatto che il 75,6 per cento degli agricoltori intervistati ha dichiarato che quest’anno ha compiuto solo le spese necessarie per l’impresa, ma nessun tipo di
investimento innovativo. L’85,7 per cento ha avuto enormi difficoltà per gli adempimenti burocratici, mentre il 25,8 per cento è stato costretto a modificare la propria
attività produttiva, in quanto la precedente era totalmente in perdita. Una percentuale che ha riguardato soprattutto i produttori di grano duro che hanno preferito altri tipi di colture
perché remunerative.

Sempre secondo i risultati scaturiti dall’indagine della Cia, il 97,4 per cento dei produttori agricoli interpellati vorrebbe misure molto più incisive da parte del governo. Tra le
principali richieste, si trovano il finanziamento del Fondo di solidarietà nazionale per le calamità naturali, la fiscalizzazione degli oneri sociali (richiesta che viene in
particolare da chi opera in zone svantaggiate e di montagna), le riduzioni fiscali sul gasolio e sui mezzi di produzione, gli incentivi per i giovani, un più facile accesso al
credito.

Il futuro molto incerto dell’agricoltura italiana viene determinato, per l’85,5 per cento degli intervistati, anche dall’attuale politica agricola europea che continua a mostrare troppi
squilibri. Le decisioni prese a Bruxelles – si rileva nell’indagine Cia – vengono giudicate, per l’83,2 per cento, insufficienti per ridare impulso al settore. Il 76,9 per cento, invece, ripone
molta fiducia al Trattato di Lisbona, in quanto – viene sottolineato – si avrà un maggiore potere da parte del Parlamento di Strasburgo, il cui operato viene giudicato positivamente dal
72,3 per cento degli intervistati.

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