Chinatown: la Comunità cinese in Italia vista da Achille Colombo Clerici (intervista)

9 Dicembre 2013
Milano, 9 dicembre 2013
Intervista ad Achille Colombo Clerici, già presidente dell’Istituto Italo Cinese ed oggi presidente dell’Istituto Europa Asia
Lei, avvocato Achille Colombo Clerici, già presidente dell’Istituto Italo Cinese ed oggi presidente dell’Istituto Europa Asia, ottimo conoscitore del mondo e della cultura cinesi,
è tra gli esperti più indicati per analizzare la reale portata dei tragici fatti di Prato.
Una strage che ha visto fermi e intelligenti richiami a un maggior rispetto della sicurezza e dei diritti dei lavoratori assieme ad accuse di “cultura dell’illegalità”, di totale
asservimento al profitto, estese all’intera collettività cinese.
R . Quanto avvenuto a Prato – sette operai cinesi morti bruciati in una fabbrica dormitorio – va sanzionato senza se e senza ma.
Tuttavia le generalizzazioni sono sempre ingiuste e pericolose.
Le comunità cinesi, non solo in Italia ma anche in Europa, hanno molto spesso superato, con sforzi che ci sbalordiscono, quella fase di “imprenditoria selvaggia” tipica di ogni
immigrazione povera: anche noi italiani abbiamo creato nel mondo le “little Italy” e quanto vi avveniva talvolta non era commendevole.
Gli imprenditori cinesi oggi non sono più solo piccoli ristoratori, venditori di merce a basso costo o terzisti: spesso sono anche cittadini italiani ed europei, che investono, hanno
progetti di lungo periodo e che fondano aziende le quali assumono.
Tuttavia la “chiusura” alla società esterna delle comunità può far sospettare che si celino al loro interno cose “poco pulite”….
R. Credo che sia ancora irrisolto il problema del dialogo fra la cultura occidentale e quella cinese.
La cultura cinese non è in qualche modo derivata da quella occidentale ( tanto che alla stessa debba ridursi), ma è una cultura nettamente diversa, in quanto originaria.
Procede dall’ universale al particolare, all’individuale: insomma i cinesi si relazionano maggiormente al contesto, di quanto facciano gli occidentali.
Ad esempio: i cinesi, nell’introdurre un nuovo rapporto a livello sociale o familiare, o di lavoro, hanno una maggior propensione degli occidentali a riferirsi all’ambiente in cui è
inserita la persona nuova o il nuovo rapporto.
L’invito a casa, prima dell’inizio di ogni dialogo, è una prassi costante molto diffusa: tanto da far apparire la famiglia il perno della vita collettiva.
Le decisioni, anche in campo commerciale, sono lunghe, laboriose, frutto di ripensamenti e confermano quanta importanza abbia la memoria storica nella vita del Paese.
Interessanti sono anche le modalità di insediamento seguite dalle diverse comunità nel nostro Paese ed in Occidente in generale.
Nessun piano, nessun progetto ufficialmente dichiarato, ma una lenta, continua diffusione: non si tratta di una massa di singoli che agiscono senza coordinazione, ma di una comunità
organizzata, strutturata, motivata nel suo agire individuale e collettivo.
Le chinatowns nel mondo occidentale sono città nelle città : e le comunità cinesi, all’interno delle città occidentali, sono diverse da tutte le altre comunità,
poiché’ presentano un grado di interazione elevatissimo.
Visto da noi occidentali, questo aspetto costituisce pregio e difetto al tempo stesso; poiché, mentre si organizzano e vivono ordinatamente in modo autonomo ed
autoreferenziale, queste realtà urbane comunitarie sembrano assumere la fisionomia di vere e proprie monadi resistenti all’integrazione.
Pensa che ci sia un problema politico nei rapporti con il mondo cinese? Dopotutto i clandestini sono moltissimi, e alcuni accusano le loro autorità diplomatiche di
connivenze…
R. Non credo assolutamente che le autorità diplomatiche cinesi in Italia e in Europa avallino comportamenti illegali.
Fanno un ottimo lavoro anche di relazione e sono molto scrupolosi amministrativamente.
Certo c’è un problema più ampio: quello del controllo delle frontiere e dei rapporti internazionali.
Ma in questo campo non ha senso che l’Italia si muova da sola.
E’ un problema che va risolto a livello europeo.
Come potenza economica e culturale la Ue dovrebbe essere un colosso che tratta alla pari con chiunque, anche con la Cina.
Ed invece, anche in campo economico, noi europei ci muoviamo da provinciali e alla spicciolata.
Naturale che chiunque, cinesi compresi, a volte, di fronte a questa massa di nani vocianti, alzi i toni….
Teme che le polemiche di questi giorni complicheranno i rapporti tra l’Italia e la Cina?
R. Io credo che la Cina rappresenti sempre una delle componenti fondamentali per uscire dalla più grave crisi economica e sociale del mondo occidentale dal Dopoguerra ai nostri
giorni.
E penso, visto che i guai ce li siamo prodotti noi tra grande finanza e banche, che dovremmo analizzare con minore prevenzione il modello economico-politico cinese; senza ovviamente venire meno
al nostro, ma per correggerne gli aspetti più spigolosi.
La Cina, piaccia o non piaccia, gode ancora di potenti fattori favorevoli interni e internazionali: la condizione di stato più popoloso del mondo con una fascia giovanile alta, il secondo
Pil del mondo (10 mila mld contro i 14 mila degli Usa).
Il Paese e’ secondo dopo gli Usa per potere di acquisto, al primo posto per tasso di crescita economica ( 7/8 % annuo ); presenta una enorme potenzialità di crescita per portarsi ai
livelli individuali di reddito e di capacità di spesa dei Paesi occidentali, da cui resta comunque ancora lontana (pil pro capite 9.000 dollari, contro i 46.00 degli Usa, i 30.000
dell’Italia).
Inimicarsi la comunità cinese con affermazioni irrispettose, oltrechè non veritiere, rischia di complicare l’attività dei migliori ambasciatori delle due parti.
Inoltre minaccia di compromettere un percorso virtuoso iniziato dalle comunità locali in Italia: la ricchezza prodotta nel nostro Paese, ormai sempre meno finisce in rimesse verso la Cina,
ma rimane in Italia, contribuendo alla ricchezza collettiva.
Anzi, direi che la via giusta da seguire sta proprio nell’impegnarsi per realizzare linee collaborative, anche attraverso misure speciali di incentivazione, che permettano di trattenere in Italia
una quota sempre maggiore della ricchezza prodotta dalle comunita’ locali cinesi.
Forzare i toni e rischiare di rompere i delicati equilibri di rapporti complessi che si sviluppano non solo a livello interno nazionale italiano, ma a livello internazionale, e’ tutt’uno.
Vale senz’altro la pena di lavorare per una evoluzione migliorativa di questi equilibri.
Foto: Achille Colombo Clerici con il Console Generale di Cina signora Liang Hui
Redazione Newsfood.com