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Rimborsi IVA: a chi troppo, a chi niente

Rimborsi IVA: a chi troppo, a chi niente

By Redazione

Milano, 25 aprile, Festa della Liberazione
C’è un termine che recentemente occupa ampio spazio sulle pagine della stampa.
I “rimborsi”.
Un sostantivo che accumuna in Italia sia i partiti politici che le imprese che vantano crediti IVA, ma in comune hanno solo la parola “rimborsi”, con riflessi diametralmente opposti.

Da un lato, infatti, abbiamo i partiti politici che ricevono regolarmente i “rimborsi” per le spese elettorali, senza attinenza alcuna con le spese stesse e senza particolari controlli,
talché mediamente hanno il problema di come investire l’eccedenza, pari a 4/5 del denaro ricevuto dallo Stato.
Dall’altro, invece, ci stanno le imprese che non riescono ad ottenere dall’erario i “rimborsi” dei crediti IVA derivanti dalla differenza algebrica tra IVA pagata e IVA incassata: crediti
ipercontrollati dai competenti uffici IVA, che li certificano, i cui rimborsi, peraltro, avvengono solo a fronte di idonea garanzia fideiussoria. O meglio, dovrebbero avvenire, perché al
momento le imprese attendono ancora i rimborsi relativi ai crediti maturati nel 2010.

E quasi sempre non si tratta di un evento episodico, bensì strutturale, dovuto al fatto che sull’acquisto di materie prime e servizi pagano una percentuale di IVA di gran lunga superiore
rispetto a quella che incassano dalla vendita dei prodotti finiti. Pertanto, se la matematica non è un’opinione, sono cronicamente in credito nei confronti dell’erario ed hanno diritto al
rimborso da parte dello Stato dell’eccedenza pagata, come prevede la vigente normativa, seppure con mille pastoie burocratiche.

Una situazione molto diffusa nel settore agroalimentare, per effetto dell’aliquota del 4% che grava su molti prodotti di prima necessità (come ad esempio latte e formaggi).
In pratica queste imprese hanno semplicemente diritto, a fronte di documentazione inoppugnabile, controlli puntigliosissimi e, per di più, garanzia fideiussoria, alla restituzione dei
propri soldi che sono state costrette ad anticipare allo Stato, mentre gli altri ricevono denaro pubblico, senza particolari controlli, che solo in minima parte va a compensare spese elettorali
effettivamente sostenute.

Si arriva così al paradosso che mentre le imprese, dovendo aspettare  oltre 2 anni per riaverli indietro, i soldi non sanno più da chi farseli prestare per poter pagare
fornitori e stipendi (perché le banche hanno chiuso i cordoni della borsa) i partiti invece dei soldi non sanno che farsene, tanto che talvolta ricorrono ad utilizzi abbastanza 
fantasiosi.
Diametralmente opposto, però, è anche il modo in cui si pensa di intervenire: i partiti propongano spontaneamente sistemi di rimborso più trasparenti, e le imprese continuino
ancora ad aspettare, perché non ci sono fondi disponibili.

L’aspetto drammatico della vicenda è che tutto ciò avviene nel mentre la parola chiave che dovrebbe consentire al nostro Paese di uscire della crisi è: “sviluppo”.

Come fa un’impresa a svilupparsi, investire capitali, incrementare l’occupazione, migliorare le retribuzioni se non le vengono nemmeno restituiti i propri soldi?
E
‘ assai più probabile che prenda in considerazione ipotesi di delocalizzazione, magari verso Paesi con un carico fiscale più sopportabile e dove i rimborsi (quelli veri)
avvengono nel giro di un paio di settimane; non bisognerebbe neanche spostarsi più di tanto.

Al riguardo sarebbe auspicabile che un Governo tecnico, che di finanza ed economia se ne intende, analizzasse il problema con la dovuta attenzione, anche perché la soluzione (almeno per le
imprese) sarebbe semplice: consentire loro di compensare completamente i crediti con i debiti. Sicuramente sarebbe una soluzione “equa”, altra parola che va molto di moda nei talk show, un po’
meno nei contenuti dei provvedimenti legislativi, che anche recentemente hanno dirottato i fondi previsti in bilancio per i rimborsi fiscali verso utilizzi alternativi.

Quanto agli altri, decidano pure autonomamente, magari non dimenticando come si erano già espressi gli elettori al riguardo.

Dario Dongo per
Newsfood.com

(vedi anche la lettera di Ambrogio Invernizzi a Equitalia,
pubblicata su Newsfood.com)


Cosa dice Google News, 25 aprile 2012 ore 19,35

  1. Rimborsi Iva, la doppia beffa
    Il Sole 24 Ore – 11 ore fa. Perciò le banche se possono stanno alla larga dai crediti Iva che le imprese, di fronte ai ritardi dei rimborsi che ormai arrivano a due anni,

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