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Ogm? Roba vecchia, ora c’è Crispr, per il futuro e l’innovazione si guarda al passato

Ogm? Roba vecchia, ora c’è Crispr, per il futuro e l’innovazione si guarda al passato

By Giuseppe

CAROTA OGMCrispr
La ricerca scientifica compie un nuovo importante passo in avanti

Ultime tendenze di ricerca in fatto Ogm. Grazie al nuovo metodo Crispr, non occorre “inventare nuovi geni” ma basta ricollocare in modo più conveniente quelli già esistenti.

C’erano una volta gli Ogm, quegli organismi geneticamente modificati a cui, come appunto indica il significato dell’acronimo, era stato modificato il corredo genetico con tecniche di “ingegneria genetica”. Soprattutto nei Paesi del Nord (sia Europa che America), anche grazie ad una più avanzata tecnologia “diffusa”, la sperimentazione e la produzione di sostanze geneticamente modificate è sempre stata molto forte.

Al versante opposto invece si sono sempre posti i Paesi del Sud, con in testa, per una volta l’Italia, capofila di una forte resistenza all’implementazione sulle nostre tavole di questi prodotti di laboratorio dai principi nutritivi e dalle controindicazioni ancora dubbie.
METODO CRISPREppure, dicevo, c’erano una volta gli Ogm. Già perché osservando le ultime ricerche nel campo della biotecnologia agraria, si può constatare che la tendenza si sta modificando.  Infatti, stante il nuovo metodo di ricerca denominato Crispr (Clustered regularly interspaced short palindromic repeats, cioè “grappoli di corte sequenze ripetute averti determinate caratteristiche”), non occorre inventarsi nuovi geni. È molto più facile, utile e vantaggioso, in termini di sforzi scientifici, “ri-assemblare” quelli esistenti in natura.

 

 
Non si tratta di una semplice boutade bensì di una linea di ricerca che sta sempre più riscuotendo successo. A conferma di ciò serva da esempio la notizia pubblicata da “Ansa.it” il 21 agosto scorso che dichiara, senza mezzi termini, come il “futuro dell’agricoltura sia in piante geneticamente corrette, il cui Dna è migliorato senza però modificarlo introducendovi geni estranei, come si fa per ottenere i tanto discussi prodotti Ogm”.
Moltissime compagnie stanno accumulando brevetti in questo senso e il giro di affari, nonostante la ricerca sia partita da relativamente pochi mesi, è già di proporzioni gigantesche.
Se non bastasse ciò, si prenda “La Lettura”, supplemento domenicale de “Il Corriere della Sera” del 1 marzo 2015, dove è apparso l’articolo “Le piante geneticamente corrette” di Edoardo Boncinelli in cui si racconta giustappunto questa evoluzione, al passato, della ricerca.
STORIA DEI SEMID’altronde queste ultimissime scoperte della scienza non fanno altro che andare nel solco di una tradizione millenaria. Leggendo il capitale volume di Vandana Shiva “Storia dei semi”, edito da Feltrinelli nel 2013, si comprende bene come buona parte dello sviluppo dell’essere umano su questa terra sia dovuto alla selezione delle piante commestibili, alla coltivazione e allo sviluppo di tecniche di coltivazione sempre più raffinate e, per così dire, tecnologiche.
Jared Diamond, il noto antropologo, ricostruisce i processi di domesticazione delle piante in “Armi, acciaio e malattie”, testo Einaudi del 1997, mettendo in stretta correlazione la relativa “sicurezza alimentare” raggiunta dai nostri avi con l’agricoltura con il sorgere di professioni non immediatamente produttive, come i sacerdoti, i guerriere e perché no i poeti o i letterati.
Come sottolinea Telmo Piovani, direttore di “Pikaia” il portale italiano dell’evoluzione e coordinatore scientifico del “Darwin Day” di Milano, non soltanto noi abbiamo addomesticato le piante ma, in certo qual modo, “esse ci hanno addomesticato”. Infatti leggendo l’articolo “Mais, mandorle e miele” apparso sempre su La Lettura, si può scoprire che “Alcune piante ci hanno usati come veicolo di diffusione globale. Non solo esse si sono coevolute con noi, dando basilari impulsi per la medicina e la cosmesi – continua il filosofo ed epistemologo – ma ci hanno addomesticato, dandoci i vestiti, i tessuti e la carta”.
Ecco che attraverso la riscoperta del nostro, anche remoto, passato si possono porre salde basi per il futuro. Spesso si usa citare la frase “Tutto ciò che si può inventare è stato già inventato” attribuendola, pare a torto, a Charles Holland Duell, impiegato dell’ufficio brevetti statunitense.
Vera o falsa che sia, questa citazione andrebbe un poco aggiornata. Infatti , seguendo la retorica latina che divideva il discorso in cinque parti, non è vero che tutto è stato già stato inventato, ma è vero che tutto si può ri-assemblare con inventio, ovvero tramite la rielaborazione di idee o elementi già esistenti.

Mattia Nesto
Newsfood.com

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