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Identità di Pizza: Newsletter n. 26 di Paolo Marchi del 18 febbraio 2015

Identità di Pizza: Newsletter n. 26 di Paolo Marchi del 18 febbraio 2015

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Sono letteralmente impressionato dalla giornata dedicata, nel corso dell’undicesima edizione di Identità Golose, al pane (la mattina) e alla pizza (il pomeriggio). Impressionato dall’energia sprigionata di appuntamento in appuntamento e dalla conferma che si può parlare di tradizione all’infinito, ma chi crede di possedere la verità assoluta è più un illuso che una persona intelligente. E’ il dubbio che muove l’universo, la curiosità, la voglia di sapere se non esistono altre strade che possano condurci a risultati importanti tanto quanto quelli conosciuti.

Alla ricerca della novità si sbaglia a più non posso, si può destare curiosità e poi facilmente deludere perché non è scontato che il nuovo sia anche più buono. Fuochi di paglia, spettacolari ma effimeri. Ma a furia di vivere imprigionati da retorica e passato si muore di noia, si scade nel manierismo, quando si è fortunati. Questo a Identità non accadrà. Noi proviamo a essere sempre in movimento. Figuriamoci nell’anno di Expo. In marcia come chi nel passato, inventando ad esempio pizza, pasta e caffè espresso, ha fatto arrivare a noi tanti ma tanti capolavori di cui oggi andiamo fieri. Ma siamo sicuri che quando prendevano corpo, quando vennero gustati per le prime volte non fecero scandalo solo perché sconosciuti?

Paolo Marchi, testi di Luciana Squadrilli (Identità di pane) e Carlo Passera (Identità di pizza)

Senza glutine per tutti

Pizza cavolfiore, peperoncino e fava di cacao
Pizza cavolfiore, peperoncino e fava di cacao

La giornata di Identità di Pane e Identità di Pizza(e il congresso in generale) ha stimolato riflessioni concrete sul legame tra alimentazione e benessere della persona che, finalmente, vanno prendendo il sopravvento su un modo di mangiare fuori e in casa che per decenni ha dato più importanza alla quantità rispetto alla qualità. Non mi riferisco al settore dell’alta cucina, ma a modelli di ristorazione alla portata di fasce più ampie di consumatori. Come nel caso della pizza e del pane, cibi popolari per diffusione e per prezzo, spesso additati come esempi evidenti di “cibo spazzatura”.

Effettivamente mi ha fatto una certa impressione sentire un portavoce autorevole della pizzeria campana (come Franco Pepe) portare in primo piano il profilo nutrizionale della pizza con una ricetta che abbandona il solco della tradizione “verace” a favore di “farine non raffinate” e ingredienti scelti e pesati per andare incontro a un target preciso di consumatore. Non più la pizza uguale per tutti in nome di una tradizione passata, ma un piatto che si diversifica nel rispetto della salute di chi lo consuma. Concetto certo non nuovo nel mondo della pizzeria italiana d’autore, che con la nascita del progetto Università della Pizza, e con il successivo Manifesto della Pizza Italiana Contemporanea, già da anni pone l’accento su controllo dell’ apporto calorico, riduzione dei carboidrati, valorizzazione delle fibre e utilizzo di ingredienti per quanto possibile freschi e variegati. (leggi a tale proposito negli atti di PizzaUp 2013, il lavoro interessantissimo di 6 noti pizzaioli che hanno studiato e presentato i risvolti nutrizionali e di gusto di altrettante varianti di pizze e dolci).

E quest’anno a Identità di Pane si è parlato anche di alimentazione senza glutine, un argomento di grande attualità attorno al quale sta maturando un dibattito fervente persino a livello accademico per fare chiarezza sulla reale utilità di ridurre o eliminare il glutine anche dalla dieta di chi non soffre di celiachia. Sono restio a pensare ad una tavola dalla quale il glutine sia del tutto assente, ma la scelta di eliminarlo coinvolge sempre più consumatori che per qualche motivo vi trovano dei vantaggi.

Un nuovo e coinvolgente tema di ricerca per la scuola del nostro molino, che, dopo un lavoro di due anni, ha sviluppato una famiglia di farine di nuovissima concezione capaci di dare gusto, alveolatura e croccantezza ai lievitati senza glutine. Ad aprile la presentazione ufficiale e le prime ricette.

(La pizza della foto, realizzata a PizzaUp 2014, è un impasto a lievitazione naturale con farine senza glutine di Molino Quaglia e condimento di cavolfiore, peperoncino e fava di cacao. L’autore dell’impasto è Beniamino Bilali, il condimento è scelto da Corrado Assenza).

Piero Gabrieli

Morandin: colazione sana e golosa per tutti

Colazione a base di pane gluten free
Colazione a base di pane gluten free

La giornata del congresso dedicata al pane (e alla pizza) comincia nel migliore dei modi, come dovrebbe cominciare ogni giorno: con la super-colazione – energetica, golosa e sana – preparata da Francesca Morandin. La figlia del grande lievitista Rolando si è laureata in Scienze e Tecnologie Alimentari con tesi sul lievito madre senza glutine e da allora non ha smesso di studiare l’argomento (e a insegnarlo) trovando sempre nuove strade per garantire a tutti – anche a celiaci o intolleranti – di poter mangiare del pane buono e genuino a lievitazione naturale.

In questo ha trovato supporto nei prodotti del Molino Quaglia, dalle farine Glutinò – che, precisa, non contengono additivi, stabilizzanti e olio di palma – ai Brick di grano saraceno o legumi germinati. In questo caso, per le buonissime pagnotte che non hanno nulla da invidiare a quelle classiche, prepara infatti il lievito madre unendo 1 Kg di Glutinò 5 (miscela per dolci, priva di sale che inibirebbe la lievitazione) con 80% di acqua a 30°C, e lasciando riposare per 24 ore. Grazie alla temperatura, che deve essere costante, la massa inizia a fermentare spontaneamente e ci si trova una “madre” pronta da usare per fare il pane senza glutine, impastando con farina Glutinò 1 per pane e Brick di grano saraceno.

Lo pseudo-cereale, ricco di proteine, dà al pane la struttura necessaria oltre che il caratteristico aroma e il colore scuro, ma è prezioso anche dal lato nutrizionale: aiuta a tenere sotto controllo i picchi glicemici e quindi il diabete spesso associato alla celiachia. L’impasto ottenuto, che necessita di forte idratazione, è difficile da lavorare ma Francesca preferisce comunque metterlo in forma nei cestini da pagnotta anziché nello stampo da plumcake, proprio per portare al minimo le differenze con il pane “comune”: il senza glutine non deve essere punitivo, sottolinea, ma una valida alternativa per tutti.

E la sua colazione a base di pane gluten free, burro tedesco lavorato con germinato di ceci (ricchissimo di ferro) e bacche di goji (sul cui potere antiossidante qualcuno avanza dubbi, ma intanto sono belle e buone) lo è davvero. Ad accompagnare l’assaggio anche due deliziose confetture di frutta “fatte in casa” senza pectina, il non plus ultra del naturale. Le prossime sfide? Lavorare su prodotti senza glutine vegani, usando oli vegetali spremuti a freddo come quelli di zucca o sesamo.

La mistica del pane di Gabriele Bonci

Mistica del pane di Gabriele Bonci
Mistica del pane di Gabriele Bonci

A Gabriele Bonci va riconosciuto – oltre al talento straordinario per tutto ciò che lievita e fermenta e alla grandissima conoscenza tecnica sull’argomento – anche il fatto di lavorare sui temi del biologico, sano e naturale da molto tempo. Praticamente da sempre, per le pizze del Pizzarium sceglie farine e ingredienti biologici e i suoi collaboratori hanno tra i loro compiti anche quello di curare l’orto da cui arriva gran parte dei prodotti.

Già da diverso tempo, poi, propone – soprattutto al Panificio Bonci, dove ha trovato man forte in Roberta Pezzella – pizze e dolci vegetariani e vegani. Ma Gabriele è anche un abilissimo trascinatore di folle, capace di trasmettere il suo pensiero grazie alla dialettica irruente e alla passione sincera per il pane, alimento base della socialità. Così, il suo travolgente intervento sulla “mistica del pane” non sfocia nei toni da sermone ma convince e conquista tutti nonostante sia decisamente poco understated: «Quando ha creato l’uomo, Dio si è fatto panettiere; con le sue braccia, come in un giro planetario, ha plasmato l’uomo da una massa di proteine, zucchero, batteri e il 60% di acqua. Il “brodo primordiale” da cui nasce la vita umana è lo stesso di quello da cui nasce il pane: acqua, enzimi, batteri». E ancora: «Il pan grattato? Polvere eravamo…».

Tutto torna, dunque, quando spiega che ha scelto di presentare al congresso un pane di farro (foto) – frutto di una lavorazione particolarmente accorta, perchè questo cereale e più ostico del grano ma dà risultati eccellenti in termini di gusto e profilo nutrizionale – arricchito con le alghe, a richiamare la forza generatrice del mare. All’impasto ottenuto con lievito madre di farro («un pane primordiale») unisce le diverse sfumature salmastre delle alghe biologiche essiccate, dalla Dulse alla Wakame.

Ne fa una pagnotta prorompente, dalla crosta super fragrante e dalla mollica sostenuta – «basta panifici che fanno caffé e panini, torniamo alla pagnotta da due chili che sfama le famiglie e sostiene i fornai!» – che serve in un pancotto “marinaro” che ricorda ancor di più il liquido primordiale: brodo vegetale, acqua di alghe dove ha rinvenuto le “erbe di mare”, olio extravergine e a completare due rametti di alghe fresche – salicornia e vetriola – questa volta raccolte da un suo collaboratore sul litorale laziale nei pressi della saline di Tarquinia. Taumaturgico.

Racinelli e Faccin: 100 sfumature di ciabatta

Faccin e Racinelli
Faccin e Racinelli

Federica Racinelli, docente della Scuola del Molino, quest’anno sale sul palco in compagnia di Martino Faccin, panettiere di Vicenza. Insieme, hanno studiato ed elaborato su un pane apparentemente semplice, tra i più classici: la ciabatta. Ma si sa, la semplicità nasconde le sfide maggiori: «Un prodotto semplice, è un prodotto difficile – sostiene la Racinelli – la nostra ricerca si basa sul voler tenere il più possibile ferma la tradizione di questo pane, cercando di soddisfare esigenze diverse anche dal punto di vista nutrizionale». Le fa eco Faccin: «Un panettiere che sa fare bene la ciabatta, sa far tutto. La ricetta è semplice: acqua, farina, lievito, sale. La nostra maestria sta nel saper giocare con il resto, nella manualità».

Questo pane nato nelle valli bergamasche, poi “industrializzato” in Veneto, oggi diffuso in tutta Italia, ha le sue caratteristiche principali nella forma piatta e nell’alto contenuto d’acqua difficile da maneggiare, come dimostra Faccin chiamando il pubblico a stendere l’impasto. Scelto come oggetto di ricerca tecnica e nutrizionale, viene presentato in quattro varianti. La prima, quella tradizionale, si ottiene con una biga con lievito di birra e ne conserva gli aromi fruttati, esaltati dall’alveolatura importante e dalla crosta croccante. La ciabatta “innovazione” è ottenuta invece con idrolisi (impasto di sola acqua e farina in cui si lasciano agire gli enzimi naturalmente presenti) e lievito madre in crema: mollica più compatta con aromi che ricordano il gusto del cereale e la dolcezza della mandorla, assente il sentore fruttato della fermentazione. L’assaggio viene accompagnato da un tubetto con maionese di carota con germe di grano, ottimo emulsionante e ricco di vitamina E, un vero e proprio integratore alimentare.

Terza ciabatta con solo lievito madre in crema che, racconta Faccin «fino a ieri non voleva saperne di partire, risentiva della nostra ansia. Poi ha trovato la sua strada, come se sapesse da solo cosa fare». Risultato: un pane più scuro, dall’alveolatura ancor più pronunciata e con una fragranza dove predomina l’acidità; interessante provarlo da solo e accompagnato a un formaggio di capra, in un gioco di rimandi. Infine: la ciabatta con crusca di grano germinato a base di biga di lievito di birra con aggiunta finale di crusca (15%) precedentemente idratata: alveolatura eccezionale, alto contenuto di ferro, magnesio e vitamine del gruppo B e un particolare gusto tostato che ricorda la vaniglia e il cioccolato dato dalla conversione di amido in destrine e zuccheri da parte degli enzimi degli strati cruscali, con una mollica insolitamente dolce esaltata dal Brandy italiano in abbinamento.

Franco Pepe: artigianato, salute e tecnologia

Pizza zucca, radicchio, ricotta vaccina e un giro di extravergine
Pizza zucca, radicchio, ricotta vaccina e un giro di extravergine

Franco Pepe inizia il suo intervento omaggiando il congresso («Sto crescendo con Identità Milano, in un percorso parallelo») e il tema di quest’anno: «Per uno come me la a “Sana intelligenza” significa mettersi in discussione e creare un gruppo di lavoro con cardiologi, nutrizionisti e agronomi». Obiettivo Sanacore, ossia la pizza consigliata a chi abbia problemi di cuore poiché il suo impasto di farine non raffinate, semi di lino e sale iposodico e il suo topping di zucca, radicchio, ricotta vaccina e un giro di extravergine significano meno sodio e grassi di origine animale, a favore di quelli vegetali, un più basso indice glicemico e una maggiore presenta di antiossidanti e vitamine (foto). Il tutto, con meno di 600 Kcal: insomma, per dirla con Pepe, «passare dalla pizza buona alla pizza buona e sana».

Non è l’unico cambio di prospettiva: nella Margherita sbagliata la mozzarella va subito in cottura, il pomodoro alla fine (a proposito, è un pomodoro riccio di agricoltura di prossimità, a Caiazzo, “figlio” del progetto Arruoliamo contadini, sposato da Pepe: in questo caso l’ortaggio è ricco di antiossidanti, non richiede acqua, il gusto si concentra senza bisogno di trattamenti, figlio com’è di un terreno non più coltivato per 20 o 30 anni e quindi ora fertilissimo). Il pizza-chef è un artigiano che potrebbe rinunciare all’energia elettrica, «ricordo quando lavoravo con mio padre e ogni tanto mancava la luce. il nostro è un mestiere che può/deve farne a meno».

Poi però mostra la sua grande intelligenza: perché rivendicare il passato, la tradizione, il gesto artigiano, non significa rinunciare a evolversi: «Il futuro della pizza è il contadino, l’agronomo ma anche il ricercatore che inventa questa macchina» e indica Scugnizzo, il forno elettrico con le prestazioni di un forno a legna inventato da una ditta napoletana. E lui, che fa da sempre impasti a mano, cerca l’impastatrice che possa uguagliarne i risultati.

Le regole di Simone Padoan, 20 anni dopo

Pizza rapa rossa e raperonzoli
Pizza rapa rossa e raperonzoli

“Venti anni a lunga lievitazione”: non si potevano evitare i toni un poco celebrativi quando a salire sul palco è stato Simone Padoan. Applausi meritati per lui e per la sua “creatura”, I Tigli di San Bonifacio. Padoan, abbiamo scritto, è un po’ un papà per molti, qui («Il suo è ormai un grande ristorante, specie dopo i lavori ingenti di ristrutturazione e abbellimento: chissà perché la stella gli è ancora preclusa», maligna Paolo Marchi).

Proprio nel 1994 iniziò a pensare alla pizza da degustazione e ora ritiene il momento di tracciarne confini un po’ più precisi, poiché gli imitatori maldestri o disonesti si moltiplicano: «Ci sia il connubio tra la base, più o meno alveolata, e il condimento, che deve derivare da attenta lavorazione. In troppi ormai prendono la solita pizza, la dividono in spicchi, la fanno pagare un poco di più e la chiamano pizza da degustazione. No, così non va bene»; il tutto non deve essere caro – ossia con un cattivo rapporto qualità/prezzo – ma al limite costoso il giusto per ripagare la grande materia prima, l’idea e il lavoro. Obiettivo: evitare che anche il cibo italiano per eccellenza («In fondo pasta e riso vengono dalla Cina…») ci venga scippato da chi copia tutto, meno che l’alta qualità.

Che abita dalle parti di Padoan ed è esemplificata da una semplice pizza pomodoro e capperi e da una seconda (foto), più elaborata, sormontata da due elementi di terra (rapa rossa e raperonzoli) e altrettanti di mare (filetto di branzino e katsuobushi). Capolavori di gusto che incorniciano una lezione in cui Padoan ha raccontato i suoi vent’anni a I Tigli partendo dalle origini e proseguendo verso l’incontro con il lievito naturale, le prime serate con pizza a degustazione, il rinnovo totale del locale nell’estate del 2012 e il felice incontro con i dolci lievitati: «Un percorso che – ha precisato – non trova qui un punto di arrivo, ma un nuovo punto di partenza».

La Bagel pizza di Bosco, in acqua e amarone

 Bagel pizza
Bagel pizza

Renato Bosco è un ciclone con gli occhiali che travolge con passione e contaminazioni, idrolisi e (sana e consapevole) libidine. Come quella che ci assale di fronte a crossover di zeppola, una ricoperta di mais (alla lombarda) con salsa agrodolce (all’orientale), l’altra riso e pomodoro, ossia tutto il contrario, occhi a mandorla e Mediterraneo: un omaggio alla eterogenea presenza che popola la cucina di Saporé, esponenti dal Giappone, Sri-Lanka e India, capaci di regalare nuovi sorprendenti impulsi al pizza-chef di San Martino Buon Albergo.

Ma dicevamo, zeppole fritte? Sì, fritte, altrimenti che libidine è? Immerse in olio di oliva a temperatura controllata, ottenute da un impasto senza lievito ad altissima idratazione che nasce dall’idrolisi del grano spezzato, ossia da un procedimento naturale dato dalla scissione degli amidi che si attiva in presenza d’acqua e che ha il potere di far lievitare gli impasti senza la presenza di lievito. Non contento, Bosco rinnova la sua Bagel pizza (foto), che riprende la tecnica di questo pane popolare di origine polacca. l’impasto cotto per 30 secondi in acqua aromatizzata (in questo caso con un 10% di amarone!), poi in forno e sormontato di formaggio Monte Veronese, indivia belga e pepe di Sarawak: «La prima cottura crea una sorta di isolante esterno che preserva gli aromi del grano e cambia la consistenza della pizza», internamente morbida con un l’esterno “cicatrizzato”, non croccante ma nemmeno soffice.

Finale con la Millefoglie di crunch vegana: un impasto leggero e croccante, che si presenta in un certo senso sfogliato. Ecco quindi l’idea di assemblare più strati di crunch con una crema di fagioli vegana quasi a formare un cubo, una monoporzione, condita poi con germogli e gomasio.

Lievito madre e orto: il lavoro del giovane Morello

Bruschetta con stracciatella, confettura di pomodorini datterini e acciughe di Cetara
Bruschetta con stracciatella, confettura di pomodorini datterini e acciughe di Cetara

Dopo tanti mostri sacri della pizzeria, il palco tocca all’esordiente, la fronte un po’ imperlata di sudore. Alberto Morello, classe 1988 al suo esordio, non è abituato a salire in cattedra: chiaro che è un po’ nervoso, ma il ragazzo di Este dimostra di meritarsi l’ottima fama che lo circonda. Racconta il nuovo orto della sua pizzeria Gigi Pipa, ormai lanciata sui sentieri della pizza da degustazione; poi lo fa anche assaggiare, attraverso una Pizza Ortoburger che è una bontà: farcita di verza saltata e cavolo cappuccio bianco, scamorza affumicata, cipolla caramellata, pomodorini confit e infine un poco di guanciale croccante a rovinare la festa ai vegetariani, il tutto con maionese vegana d’accompagnamento.

D’altra parte l’intervento si intitola “Terra e lievito madre”, ossia sfodera i due punti di forza della proposta attuale di Morello: l’eccellenza degli impasti, ottenuti utilizzando ottimo lievito madre; e la raffinatezza del topping, che celebra il territorio affidandosi spesso e volentieri agli straordinari prodotti del suddetto orto creato proprio a fianco dell’hotel gestito dalla famiglia Morello da trent’anni e nella cui struttura la pizzeria è inserita.

I rigori invernali però sono stati un problema: così il giovane pizzaiolo ha coltivato in casa, al riparo da certe rigidità di stagione, una fresca insalatina che è andata ad arricchire una bruschetta ottenuta da lievito madre, insieme a stracciatella, confettura di pomodorini datterini fatta in casa e splendide acciughe di Cetara.

Rumolo & Lombardo, All Blacks cilentani

Pizza in black
Pizza in black

Entrambi giovani – 36 anni Lombardo, 25 Rumolo -, entrambi cilentani di Caggiano, bel paesino dell’entroterra sovrastato dal castello dove ha sede la pizzeria di Angelo, entrambi pieni di passione e di voglia di sperimentare, di rompere gli schemi che vorrebbero la ristorazione – e la pizzeria – di paese tranquilla e senza sobbalzi. E invece i due hanno fatto un bel rumore con le loro pizze “in nero”.

Prima è arrivato Vitantonio – che già aveva spiazzato tutti con il suo bel ristorante da 1 stella Michelin nel profondo Cilento, e con la sua cucina creativa – a portare in tavola alla Locanda Severino la Pizza in black, proposta anche al congresso: 70 grammi di impasto a base Manitoba e farina 00 con carbone vegetale attivo (pure digestivo) fritto e condito con ricotta, tartufo fresco, salsa di tartufo al Porto e “caviale” di tartufo (dal succo sferificato), un piccolo assaggio servito al ristorante per esaltare uno dei prodotti più pregiati del territorio, presente tutto l’anno nelle diverse varietà.

Nata come omaggio di Vitantonio al maestro Davide Scabin e ai suoi celebri spaghetti Black is Black, la pizza di Lombardo è stata a sua volta celebrata dalla versione al forno di Angelo, battezzata appunto VLdalle iniziali dell’amico. L’hanno messa a punto insieme calibrando l’impasto per la cottura al forno a legna e variando il topping – sempre protagonista il tartufo, che Angelo trova nei boschi vicino a Caggiano – per partecipare a una competizione dove si è portata a casa il titolo come “pizza di stagione”. L’impasto è a base di farina 0 con il 65% di idratazione, olio – assente nella Pizza in black – e lievito secco con carbone vegetale; a condirlo patate cotte sotto la cenere, guanciale e provola di Caggiano – il pasto preferito del nonno di Angelo– con aggiunta di tartufo nero.

«Quando l’abbiamo messa in menu la notizia ha fatto subito il giro del paese – racconta Angelo, che già aveva “sfidato” le tradizioni locali proponendo una pizza a metà strada tra quella cilentana e quella napoletana – ma poi ha avuto molto successo. La gente la chiede e si fa pure portare a tavola il tartufo da affettare, come al ristorante!». Nata per caso da una visita di Angelo alla Locanda Severino – «ce ne stiamo sempre chiusi ognuno nei rispettivi ristoranti» raccontano – la collaborazione tra Angelo e Vitantonio non finisce qua: sono già nate alcune pizze che ripropongono le ricette della Locanda, come gli spaghettoni con pomodoro giallo e baccalà.

LS

Identità di Pizza n° 26 – 18.02.2015,
la newsletter di Paolo Marchi
Per gentile concessione

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