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Gli Apache sfidano il governo Usa: Geronimo deve riposare nella terra dei suoi avi

Gli Apache sfidano il governo Usa: Geronimo deve riposare nella terra dei suoi avi

By Redazione

Gli Apache hanno dissotterrato l’ascia di guerra contro il governo Americano. Al centro della contesa tra i nativi (che si definiscono “Ti-neh”, il popolo; il termine “Apache”
è di origine Zuni e significa nemico) e le autorità degli Stati Uniti è la salma di Geronimo, uno dei loro capi più famosi e rispettati.

Per i suoi discendenti, egli dovrebbe riposare in in New Mexico, la sua terra d’origine.

Geronimo (il cui vero nome era Goyathlay, colui che sbadiglia), nacque il 16 giugno 1829 in una banda di Apache Chiricahua stanziata vicino al fiume Gila, un territorio all’ epoca parte
del Messico ed oggi facente parte dell’ Unione.

Egli iniziò la sua campagna contro gli invasori americani e messicani nel 1858: tornato al suo accampamento, lo trovo distrutto, tutti gli occupanti trucidati.

Da quel momento, la vendetta divenne la sua unica ragione di vita.

Inferiori numericamente, i ribelli di Geronimo impegnarono l’avversario grazie alla perfetta conoscenza di un terreno impervio ed un applicazione da manuale delle tattiche della
guerriglia (si racconta che riuscissero a stare sepolti nella sabbia del deserto per ore per sorprendere il nemico).

  Per fermarli, il Governo Usa e quello messicano spesero cifre notevoli: i politici di Washington arrivarono a scagliargli contro tre spedizioni, circa 10.000 soldati, ma inutilmente.

Il condottiero Apache riuscì ad umiliare persino il generale Crook, uno dei migliori comandanti dell’ epoca e veterano delle guerre indiane.

Alcuni lo definivano “il selvaggio che terrorizzava l’Arizona”, altri riconoscevano le sue eccezionali qualità, intellettuali e fisiche: ferito 7 volte in modo grave e sempre
ristabilitosi, Geronimo era in grado di resistere a sforzi notevoli nonostante per nulla imponente; inoltre riuscì a padroneggiare senza problemi la tecnologia dei suoi avversari,
dinamite compresa.

Alla fine, Geronimo si arrese al Generale Miles, cessando le ostilità a Skeleton Canyon il 4 settembre 1886.

Il capo Apache ed i suoi uomini vennero allora internati a Fort Sill, in Oklahoma, dove Geronimo morì, il 17 febbraio 1909.

Ora, le sue spoglie sono diventate materia contesa.

I rappresentanti del dipartimento di Giustizia Usa sostengono che tali resti non ricadano sotto il Native american graves protection and repatriation act,un trattato da cui sono esclusi
gli indiani d’America a cui sia già stata data sepoltura in territorio statunitense.

Per la riesumazione servirebbe perciò un’ autorizzazione speciale.

Per l’avvocato dei discendenti di Goyathlay,la ragione per cui Washington non permette sono puramente egoistiche: una sorta di dimostrazione di forza, in quanto “Stanno ancora
combattendo la guerra contro gli indiani d’America e vogliono conservare i resti di Geronimo per dimostrare di aver vinto”.

Potenziale ostacolo ad una vicenda già ingarbugliata potrebbe essere la parziale rimozione dei resti del guerriero apache, avvenuta nel 1918 ed opera degli Skull and Bones, confraternita
dell’ università di Yale che annovera tra i suoi membri personalità come l’ex-presidente Geoge Bush.

I discendenti di Geronimo hanno assicurato che non intendono intraprendere alcuna azione legale nei confronti dell’associazione e dell’università di Yale, anche perché la
priorità ora è riportare a casa il loro antenato.

Gli Apache hanno tempo fino ad agosto per vincere la loro battaglia legale.

Forse non useranno i mezzi del passato né la spietatezza delle antiche battaglie, ma assicurano che la loro tenacia ed i loro sforzi renderebbero fiero il loro antenato: Geronimo,
l’ultimo dei grandi capi Apache.

Matteo Clerici

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