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Gli alberi di Roma, tra i colori dell’autunno e l’incuria di Parchi e giardini

Gli alberi di Roma, tra i colori dell’autunno e l’incuria di Parchi e giardini

By Giuseppe

Roma, 1 dicembre 2017
Gli alberi di Roma, tra i colori dell’autunno e l’incuria del patrimonio arboreo di parchi e ville storiche della Capitale

Testo e foto: Maurizio Ceccaioni

Lungotevere in autunno

«Indove ve n’annate, povere foje gialle, come tante farfalle spensierate? Venite da lontano o da vicino? Da un bosco o da un giardino? E nun sentite la malinconia der vento stesso che ve porta via?». Queste brevi rime prese in prestito da una poesia di Trilussa, ricordano che anche quest’anno è arrivato l’autunno e le foglie degli alberi, rinsecchite precocemente, ricoprono tutto come un tappeto multicolore dalle sfumature intense.

 

Autunno nel Parco naz. d’Abruzzo, Lazio e Molise1q

In questa stagione, che siano parchi urbani o boschi montani, sembra di stare in un’enorme tavolozza dalle tante cromaticità con la dominante delle tonalità calde e forti, in contrapposizione ai colori delicati della primavera. Colori che richiamano il giallo arancio del fuoco del camino, il marrone delle caldarroste, il rosso di un buon vino corposo per accompagnarle. Magari in compagnia di un buon amico.

Visita guidata sotto i Ginkgo Biloba di Villa Sciarra con Antimo Palumbo- saggista e storico degli alberi

Qui l’autunno si annuncia con l’ingiallire dei platani secolari, che formano una lunga teoria di colore sui viali o sui Lungotevere, dove il giallo ocra si confonde con le acque color argilla del fiume.
E, anche se le rondini sono volate via da tempo, a fare indesiderata compagnia ai temerari passanti, rimangono i tanti storni che sono ormai parte del contesto urbano cittadino. Come le macchie verdi dei salici che, con gabbiani, germani reali e nutrie, hanno colonizzato le rive del Tevere un tempo approdo di commerci, immortalati negli acquerelli di Ettore Roesler Franz.

 

Villa Sciarra, Fontana della tartaruga

A Roma, dove sono le mie radici, come in altre città ci sono alberi che ne raccontano il passato e danno senso al presente. Come il vecchio cipresso detto di Michelangelo, presso le Terme di Diocleziano. La leggenda vuole che sia l’ultimo dei 4 alberi fatti piantare dall’artista durante la realizzazione della Basilica di ‘Santa Maria degli Angeli e dei Santi’, lì accanto.

Villa Sciarra, Fontana dei Fauni

Nel quartiere Appio-Latino, invece, c’era una quercia ultracentenaria che diede il nome di ‘Alberone’ all’omonima piazza lungo via Appia Nuova e all’intera zona. Abbattuta nel 1986 perché pericolante, al suo posto c’è oggi un albero più giovane.
Quando ero ragazzo, e a Roma non c’era la movida fino al mattino, amavo girare nel silenzio della notte tra vicoli e piazze, beandomi di quella pace, fantasticando sulle storie ascoltate nella mia infanzia. Aneddoti e leggende che parlavano di antenati e feste ormai scomparse. Ma pure di Rugantino, la maschera popolare romana e Pasquino, la “statua parlante”.

Senza dimenticare Mastro Titta, il boia di Roma, il Marchese del Grillo, reso famoso dall’insuperabile interpretazione di Alberto Sordi, o le gesta di Ciceruacchio, un patriota che combatté al fianco di Garibaldi per la difesa della seconda Repubblica romana.

Fontana Parco delle Resistenza

Oggi, quella sensazione di pace la ritrovo dentro parchi e ville storiche della mia città, perché oltre i loro cancelli mi sembra di entrare in un a sorta di ‘stargate’ che introduce in un’altra dimensione della vita, in cui la natura non doveva contendersi gli spazi con la continua espansione urbanistica.
Parchi pubblici e grandi ville urbane dove il condizionamento della quotidianità e il rumore esterno è filtrato dal fruscìo delle piante mosse dalla brezza.

 

Villa Sciarra, Fontana delle Passioni umane

Qui i padroni sono gli alberi, che proteggono dalla calura estiva e ossigenano le nostre città inquinate. In questa stagione appaiono come macchie policromatiche che vanno dal ‘sempreverde’ di pini, cipressi, olivi e sughere, al ruggine dei faggi, al giallo ocra paglierino delle betulle o quello chiaro dei gimkgo biloba.

Mentre sono in arrivo altri 12 mila nuove piante per creare boschi urbani, nelle 18 aree protette, giardini, ville, parchi e viali di Roma, si stima che ci siano oltre 300 mila alberi, che occupano circa il 67% dell’intero territorio comunale. Tra i parchi più centrali, c’è quello intitolato alla ‘Resistenza dell’8 settembre’, un polmone verde tra Testaccio, Aventino e San Saba. Proprio accanto alla Piramide Cestia, la Stazione Ostiense e Porta San Paolo, una delle porte delle Mura aureliane meglio conservate. Ma è anche alle spalle del palazzo delle Poste in Via Marmorata, esempio importante del Razionalismo a Roma, realizzato tra il 1933 e il 1935 da Adalberto Libera e Mario De Renzi.

 

Parco delle Resistenza

Non distante dagli approdi sul Tevere per i commerci dei Romani, Monte dei Cocci, il Circo Massimo e il Colosseo, il parco deve il suo nome al ricordo di coloro che sono morti cercando di opporsi in armi agli occupanti nazi-fascisti, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Realizzato dall’architetto Raffaele de Vico nel 1939, anche se non è di quelli di periferia abbandonati spesso a sé stessi, a passarci dentro la situazione non sembra molto diversa, vista la scarsa manutenzione che riceve, come tutte le aree verdi di Roma.

 

Villa Sciarra, Voliera dei pavoni bianchi

Nonostante gli splendidi alberi presenti, non gli rendono giustizia i vialetti sconnessi, la fontana dell’Anfora ormai a secco da tempo, la manutenzione ordinaria fatta spesso solo in occasione dell’8 settembre, la mancanza di un chiosco bar o dei bagni pubblici.
Attorno alla fontana ci sono faggi altissimi, che competono in eleganza con il gimkgo biloba lì vicino, mentre imperiosi pini dominano la scena, in netto contrasto cromatico col color ruggine dei grandi platani. Un vero peccato, perché sia per la storia che la collocazione, quest’area pubblica meriterebbe molto di più.

Lungotevere

Se Roma è rinomata per le tante ville urbane come Doria Pamphilij, Borghese, Ada, Celimontana, Torlonia, Glori Villa Sciarra, sul colle del Gianicolo, è quella che mi è rimasta nel cuore dai tempi della scuola. Attorniata dalle Mura Gianicolensi, si affaccia su Roma.

Panorama Roma da Villa Sciarra

Non è sicuramente la più importante per estensione, ma per arte, storia e natura, certo merita un posto di rilievo, nonostante l’incuria in cui è lasciata da troppo tempo. Nell’area c’era un bosco detto ‘Lucus Furrinae’, con il santuario preromanico dedicato alla ninfa Furrina, di cui rimangono oggi solo poche tracce. Fece parte degli Orti di Cesare (Horti Caesaris), un vasto possedimento che si estendevano fino alla riva Portuense del Tevere, comprato attorno al 49 a.C. dall’allora console Caio Giulio Cesare. Qui pare che al suo ritorno dall’Egitto, sia stata ospitata la regina Cleopatra, allora sua compagna (la moglie ufficiale era Calpurnia), con il loro figlioletto Tolomeo Cesare, detto Cesarone.

Durante la Seconda Repubblica Romana di Giuseppe Mazzini, nel 1849 qui si svolsero cruenti scontri tra i soldati francesi inviati da Napoleone III in aiuto di papa Pio IX e le milizie popolari guidate da Giuseppe Garibaldi. Tra loro anche un 20enne genovese, poi morto 2 anni dopo di cancrena per una ferita alla gamba. Il suo nome era Goffredo Mameli e nel 1847 scrisse il testo di quell’Inno nazionale italiano, che con i tempi della burocrazia ha impiegato 170 anni per essere ufficializzato.

Il casino di caccia oggi sede dell’American Academy in Rome, fu il primo edificio realizzato da monsignor. Il nome gliel’hanno dato i principi Sciarra di Carbognano, un ramo della famiglia Barberini, che l’acquistarono a metà XVII secolo, ma fu Innocenzo Malvasia, dopo l’acquisto nel 1575, a dare il via alla valorizzazione della villa, che continuò nel 1710 con il cardinale Pietro Ottoboni.

La famiglia  Sciarra ne fu proprietaria  per oltre  due secoli,  prima di cederne una parte a causa dei debiti accumulati dal principe Maffeo II. L’area del ‘Lucus Furrinae’ finito alla Compagnia Fondiaria Italiana, fu lottizzato nel 1889. La parte rimanente, fu ceduta dagli Sciarra nel 1896 alla Società di Credito e Industria Fondiaria Edilizia. Nel 1902 fu acquistata da due coniugi americani, George Washington Wurts e sua moglie, Henriette Tower. Lei, ricca ereditiera e lui un diplomatico di carriera amante dei giardini e collezionista, dopo aver girato l’Europa si stabilirono a Roma, in questa villa che rinacque a nuova vita.

I Wurts portarono da tutto il mondo in quei 7,5 ettari di storia, piante nuove e rare, ristrutturarono giardini e il Casino Barberini, in stile neo rinascimentale, che dagli anni 30 è sede dell’Istituto Italiano di Studi Germanici. Infine diedero una chiara impronta barocca agli ambienti, inserendo nel contesto delle statue del 700 in pietra arenaria provenienti da Palazzo Visconti di Brignano Gera d’Adda (Bg), comprate all’asta dopo la morte di Antonietta Visconti Sauli nel 1892.

Alla morte del marito, come ricorda la targa di marmo in viale Adolfo Leducq a Trastevere, la vedova lasciò «al popolo di Roma» la villa e allo Stato Italiano le collezioni, tra cui quella di sculture lignee che conta su quasi la metà dei pezzi esposti nel Museo Nazionale di palazzo Venezia a Roma.

Ci sono rimasto male non ritrovando la Villa Sciarra dei miei ricordi di studente, con le immagini del parco e i giardini ben curati, le fontane zampillanti, l’erba rasata nei prati, le piante morenti, le statue coperte dagli arbusti. A farmi da Cicerone in quello che per me è diventato un Purgatorio, lo scrittore e ‘storico degli alberi’ Antimo Palumbo, presidente e fondatore dell’Associazione ‘Adea amici degli alberi’ (www.adeaalberi.blogspot.com). Uno con la passione di divulgare l’amore per il regno vegetale, per lui quasi una missione in un Paese e in una città dove è più facile tagliare che piantare.

Davanti al mio stupore dice che il problema è peggiorato qualche anno fa, quando si decise di dare in outsourcing le competenze prima affidate al Servizio Giardini comunale, passate a cooperative coinvolte nella vicenda di “Mafia Capitale”. Passiamo accanto alla casa che fu del custode, oggi abitata da non si sa chi e mentre andiamo verso la fontana dei Fauni, guardo in lontananza la voliera in ferro ormai abbandonata, dove i Wurts allevavano pavoni bianchi.
Il tunnel d’alloro è ormai rinsecchito, ma i colori autunnali degli alberi, rubano la scena a statue e fontane. I resti dei rami giacciono a terra un po’ ovunque, davanti all’Esedra arborea potata quasi a zero, dopo che per molto tempo le siepi si erano trasformate in cespugli informi che quasi occultano le statue che simboleggiano i mesi dell’anno. «Una cosa indegna per una villa storica – dice Palumbo – specie se si guarda la splendida immagine nel sito della Sovrintendenza capitolina ai beni culturali, che dovrebbero tutelare questo luogo diventato terra di nessuno».

Mi riprendo dallo sconforto alla vista delle foglie giallo paglierino che ancora resistono sui ginkgo biloba lì vicino, alberi tanto imponenti che a stare su quel tappeto di foglie ci si sente minuscoli. Furono introdotti dai Wurts assieme a tante altre piante tra cui le palme che stanno morendo per il punteruolo rosso e la sequoia ormai rinsecchita. Piante che avevano fatto di Villa Sciarra un salotto all’aria aperta, piccolo gioiello per varietà e provenienza, nel ricco repertorio botanico della Capitale.

Unica specie sopravvissuta delle ‘Ginkgoaceae’, le origini del ginkgo biloba si perdono nella notte dei tempi. È considerato un fossile vivente, perché ne furono trovati resti databili al Paleozoico, circa 270 milioni di anni fa, quando i rettili cominciarono a colonizzare la Pangèa. Si ritiene sia scomparso da Europa e America 2,5 e 7 milioni di anni fa e reintrodotto in Europa dalla Cina nel XVIII secolo.
Fa piangere il cuore vedere le tante palme distrutte dal ‘punteruolo rosso’. «A giugno 2008 – ricorda Palumbo – compresi gli effetti devastanti prodotti dalle larve dell’insetto sulle palme, ma i governi che si sono succeduti in questi anni, sono stati solo capaci imporre ai proprietari i costi proibitivi dello smaltimento delle piante infette: circa 2 mila euro a pianta».

Finora si è accertato che abbiamo perso circa il 70 % delle palme cittadine, ma un altro problema della Capitale è la caduta improvvisa di secolari pini domestici, ai primi venti forti, probabilmente causata dal taglio delle radici durante lavori di scavo a ridosso delle piante, anche se di tanti alberi tagliati apparentemente sani, non se ne comprendono le ragioni.

Foto Cover: Ginkgo Biloba Parco delle Resistenza-Roma

Maurizio Ceccaioni
Corrispondente da Roma
Newsfood.com

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