Cosa succede nelle DOCG E DOC italiane? … Sta crollando un castello

28 Ottobre 2019
Cosa succede nelle DOCG E DOC italiane?
27 ottobre 2019DOC, UNA QUESTIONE DI LANA CAPRINA O IL DISFACIMENTO DI UNA PIRAMIDE DI QUALITA’ CHE HA FATTO IL BENE DEL VINO ITALIANO NEGLI ULTIMI 30 ANNI?DALLE DOC A CAPPELLO PER FAR CRESCERE LA PRODUZIONE DI QUALITA’ (ANNO 1991) ALLE DOC A CAPPELLO REGIONALI … (ANNO 2019)MAMMA DOC REGIONALE SI PAPPA LE PICCOLE DOC… E TUTTO GRAZIE AL TESTO UNICO DELLA VITE E DEL VINO APPROVATO DA TUTTI, COME SCRIVONO?!MA APPROVATO DA CHI? DOVE E’ LA MIA VECCHIA FEDERDOC DELL’INTERPROFESSIONE VITICOLA E VINICOLA ?Giustamente alcuni amici viticoltori, non faccio nomi ma è possibile individuarli fra quelli indipendenti, quelli che sono solo vitivinicoltori della propria terra e delle proprie uve, fra quelli che hanno difeso e continuano a difendere le Docg e Doc locali piccole o grandi che siano. In modo ben chiaro, senza se e senza ma, in linea con le leggi che hanno consentito all’Italia di diventare non solo il primo produttore al mondo, ma anche il primo esportatore.Soprattutto – oggi – un paese riconosciuto per la alta qualità generale del vino italiano, con alcune punte di livello stratosferico. Anche se le guide mondiali e i soloni MW del vino iscrivono nelle prime 100 etichette mondiali solo 10-15 italiane.Ebbene nel 1986, quando c’era una vecchia Federdoc totalmente politica, scoppia un grande problema nel vino italiano fra Piemonte, Lombardia, Sicilia ecc… che solo con la legge 161 del 1992 si riesce a dare una prospettiva: in Italia si produceva il 10% di vino certificato, il 45 % di vino da tavola, il 45% di vino sfuso da tavola o a indicazione.Oggi dicono che il 70% del vino italiano è imbottigliato con le certificazioni Docg-Doc-Igt. Un bel lavoro uno sforzo che ha pagato visto i successi, il fatturato, il numero di premi anche a scapito di una riduzione degli ettari vitati e una internazionalizzazione più incanalata.Le famose DOC “ a cappello” cioè quelle grandi in termini di superficie ma anche di tipologie sotto un unico e forte ombrello, furono sicuramente una soluzione molto importante e positiva per alzare la quota “qualità Doc” nazionale per zone altamente vitate come Pavia, Alessandria, Brescia, Piacenza, Romagna, Verona, Alto Adige, Trentino, Collio ecc…Gli anni 1991-2000 hanno voluto dire fare formazione, costruire una nuova enologia, puntare su una aggregazione di prodotti, lanciare dei brand-territorio di peso anche economico. Ha voluto dire far crescere imprese, invogliare alla certificazione, tracciabilità, sostenibilità del territorio collettivo con una proprietà intellettuale. Certo alcune Doc sono state anche ampliate o aggregate successivamente: 20 anni fa Piemonte, poi anche Friuli Venezia Giulia, più recentemente Toscana, oppure Sicilia o Venezia.Ebbene qualcuna di queste Doc Regionali ha svolto un compito importante come Toscana, FVG, Sicilia stessa, altre hanno creato doppioni e indecisioni nel consumatore al punto che invece di moltiplicare il successo o raddoppiare il consumo, c’è stato un crollo di riconoscibilità, di identità territoriale che ha creato grossi problemi economici e di consumo. Penso, su tutti, al grande spumante di Brachetto, nato Brachetto d’Acqui Docg, diventato Brachetto doc Piemonte, creando due prezzi diversi per lo stesso prodotto e la stessa denominazione.Non credo che il vino italiano nel 2019 ( con prospettiva almeno 2030 e a quel punto da rivedere) possa pensare che la “DOC regionale” sia la panacea o il coniglio nel cappello.Sono stato chiamato nel 1994 a Bolgheri a scrivere disciplinare e statuto, per cui sono “innamorato” di quei luoghi e di quel vino e leggere nel recente verbale assembleare del consorzio quanto segue mi lascia qualche dubbio: “……È stata inoltre prevista per tutte le tipologie del disciplinare ed anche per il DOC Bolgheri Sassicaia la facoltà di utilizzare in etichetta il termine Toscana, naturalmente in caratteri inferiori rispetto a quelli della denominazione. Tale misura consente di contestualizzare meglio Bolgheri per i consumatori, appoggiandosi a uno dei marchi più forti che l’Italia abbia da offrire. Questa possibilità, prima impossibile, si è concretizzata grazie a quanto previsto dal nuovo testo unico della vite e del vino”.Bolgheri o non Bolgheri è – per me – un segnale allarmante, non solo perché consente – in ogni consorzio di tutela – la addizione di più produzioni in mano alla stessa azienda o alla stessa cooperativa, quindi più voti in assemblea per guidare le delibere in quanto si vota, per ogni tema, per censo… ma soprattutto il fatto che il testo unico vada a stravolgere principi secolari (dal 1963) sulla validità della piramide di qualità, l’incrocio vitigno, terra, ambiente, uomo. E’ il crollo di un monumento alla qualità, ma soprattutto al valore delle viticoltura come vitigno-terroir, come presenza umana in piccole zone. E i grandi soloni degli agricoltori dove sono? Sempre che il testo unico vite-vino dica effettivamente così.La prima cosa da fare è quella che già peroravo quando ho voluto rifondare e costruire nel 1998 la “ Nuova Federdoc”, cioè dare parità di diritti e di doveri sia ai piccoli vitivinicoltori che alle grandi cantine dentro lo stesso consorzio: per tutti gli aspetti di tutela e denominazione si deve votare per “capite” ponderato crescente, mentre per tutte le delibere di promozione si deve votare per “censo” ponderato decrescente.Inoltre le DOC Regionali devono essere viste – e secondo me sono utilissime – in termine di aggregazione amministrativa, sindacale, valorizzativa, promozionale all’estero, di rapporti politici e con il ministero, di abbassamento costi di gestione e di servizi, ma non per “ fagocitare” altre DOCG-DOC quando soprattutto queste sono leader già e da sole, e indiscusse. Penso a Bolgheri, all’Amarone, al Barolo, allo Zibibbo di Pantelleria, al Marsala, al Chianti, al Brunello… ecc : sono tutte denominazioni che devono avere una assoluta autonomia decisionale “ pro capite” in primis… poi per questione di costi e di spese, di gestione e di impegno verso la Regione o verso il Ministero ben venga la “ GRANDE DOC” ma solo per far alzare ancor più il livello qualitativo non per stendere un lenzuolo e tarpare le ali a chi corre di più o ha un asso nella manica da giocare.
Giampietro Comolli
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Giampietro Comolli
Economista Agronomo Enologo Giornalista
Libero Docente Distretti Produttivi-Turistici
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Editorialista Newsfood.com
Economia, Food&Beverage, Gusturismo
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