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Consumi, alla fine del 2010 la spesa pro capite potrebbe essere inferiore a quella del 2006

Consumi, alla fine del 2010 la spesa pro capite potrebbe essere inferiore a quella del 2006

By Redazione

 

La congiuntura dei consumi e la debolezza strutturale della nostra economia ci consegnano un 2008 caratterizzato da una forte contrazione della spesa delle famiglie (-0,7%) con il
rischio che, alla fine del 2010, la spesa pro capite possa risultare inferiore a quella del 2006; crescono anche le spese obbligate a scapito del benessere delle famiglie, che tende a
calare, e si registrano pesanti ripercussioni sul sistema della distribuzione con un saldo negativo tra imprese iscritte e cessate di oltre 30mila unità nei primi nove mesi del
2008 (quasi 18mila nel solo commercio al dettaglio), fenomeno determinato prevalentemente da un problema di redditi insufficienti e dal crollo del potere d’acquisto della
ricchezza finanziaria (-10% nel 2008).
Per il 2009, le previsioni anche se meno pessimistiche di altri, faranno segnare ancora un risultato negativo per Pil e consumi – rispettivamente –0,6% e –0,7% –
delineando uno scenario meno grave del previsto ma che richiederà un periodo di tempo più lungo per innescare la ripartenza della nostra economia che, con ogni
probabilità, si avrà solo nella seconda metà del 2010: questi i principali risultati che emergono dal “Rapporto Consumi 2008” dell’Ufficio Studi
Confcommercio.

Pil e Consumi: scenario attuale e previsioni

Anche le ultime valutazioni della Commissione Europea sulle stime del prodotto potenziale del Paese non lasciano dubbi sul peggioramento strutturale della nostra economia: o si rilancia
la crescita del prodotto potenziale oppure un’eventuale crescita dei consumi in futuro dovrà essere considerata solo episodica e accidentale. A tale proposito, si
sottolinea ancora una volta la necessità di attivare tutte le leve per il miglioramento quantitativo e qualitativo del capitale umano in Italia, la sola risorsa in grado di
cambiare le cose in modo radicale.

Il Prodotto interno lordo dovrebbe contrarsi per almeno tutto il 2009 (-0,6%) per poi riprendere nella seconda parte del 2010 (in media, in quell’anno, si avrebbe comunque una
crescita nulla (0,1%). Rispetto ai principali centri di ricerca e alle istituzioni internazionali, le nostre previsioni sono improntate ad una maggiore cautela e differiscono per una
riduzione meno marcata dell’attività economica nel 2009 e per una più debole reazione positiva nel 2010. E’ opportuno sottolineare che non vi sono ad oggi
elementi significativi per intravedere a breve termine un’inversione di tendenza del ciclo. Secondo il modello previsionale di Confcommercio, dunque, il profilo della crisi
assomiglia più a una ‘U’ piuttosto che ad una ‘V’: risulta cioè più smussato ma più prolungato.

Analogo ragionamento vale per i consumi aggregati. La previsione che li alimenta, per quanto riguarda il reddito disponibile ( 1,1% reale nel 2008), potrebbe apparire ottimistica. Le
ultime formulazioni indicano per l’anno che si è appena chiuso un’evoluzione meno favorevole del reddito reale. Ciò che conta, però, è la
dinamica, fortemente negativa, della ricchezza finanziaria (-10% circa in termini reali nella media del 2008) che determinerà una riduzione dei consumi per almeno un biennio e,
quindi, fino al 2010.

Non dovrebbe equivocarsi sulla questione della profondità della crisi dei consumi: pur se meno profonda del previsto, alla fine del 2010 avremo un consumo pro capite e per
famiglia inferiore a quello di qualche anno fa; d’altra parte, è da escludersi un profilo evolutivo caratterizzato da consistenti e repentini crolli della spesa reale.

Il fenomeno che lega valore degli asset e dinamica dei consumi delle famiglie si vede altrettanto bene dalla relazione tra propensione al consumo e rapporto tra ricchezza complessiva –
immobiliare più finanziaria – e reddito disponibile. La riduzione di questo rapporto, a partire dal 2008, implica che le riserve di valore delle famiglie consumatrici rispetto
agli obiettivi di medio-lungo termine, siano ritenute insufficienti, determinando, quindi, la necessità di un reintegro attraverso una maggiore propensione al risparmio.

Sullo sfondo resta, poi, la questione decisiva della ricchezza immobiliare, potenzialmente molto più importante per le scelte di spesa nel lungo termine. Il valore degli
immobili, come riserva di valore di ultima istanza, e come posta preminente di un conto mentale separato (‘la casa ci fa sentire ricchi’, anche se si prescinde dalla
possibilità di venderla), potrebbe ridursi drasticamente nel prossimo futuro. Abbiamo ipotizzato, all’interno del modello, una contrazione reale della ricchezza immobiliare
pari al 5% nel 2009, e questo implica quella ulteriore moderata riduzione dei consumi che si trascinerà, per effetto statistico, anche nel 2010.

Sono esclusi, nel prossimo biennio, impulsi positivi dal processo di formazione del reddito disponibile. Anzi, occorre segnalare che nelle previsioni di Rapporto Consumi non sono state
ipotizzate riduzioni eccezionali della disoccupazione (1,9 milioni di disoccupati nel 2009, come picco massimo, rispetto a poco più di 1,5 milioni nella media del 2007). Un
peggioramento più grave delle condizioni del mercato del lavoro va però considerato nel novero delle possibilità. D’altra parte, l’output gap che stiamo
sperimentando – cioè un Pil effettivo che cresce meno del già ridotto Pil potenziale – genera certamente una crescita della disoccupazione. L’incremento della
disoccupazione oltre l’8% nel 2009 o nel 2010 implicherebbe una riduzione del reddito disponibile reale che impatterebbe negativamente sui consumi e questo potrebbe indurre a
rivedere al ribasso le attuali previsioni.

I consumi settore per settore

Diversamente dal passato, i segni meno prevalgono largamente sulle poche variazioni positive della spesa in termini reali.

L’attenzione prestata al pricing da parte del settore degli alberghi e delle altre strutture ricettive ha comunque arginato la crisi che si sta abbattendo sul Paese e che non
risparmierà neppure l’area delle vacanze che, nella media del triennio, mostra comunque un trend moderatamente crescente. Dietro la crescita del 2,6% del 2008
c’è, quindi, una contrazione drastica dei margini degli operatori, dalle agenzie di viaggio a tutti gli operatori dell’offerta alberghiera. Il fenomeno si sta
manifestando anche in termini di saldi tra chiusure e aperture e la selezione sarà ancora più radicale nel corso del 2009.

L’area del tempo libero potrebbe continuare a crescere, anche se a ritmi ridotti. Molto dipenderà dal verificarsi della previsione sul differenziale inflazionistico, a
sfavore di questi beni e servizi per oltre un punto percentuale per tutto il periodo di previsione. Il differenziale favorisce la convenienza relativa verso tali acquisti. Tuttavia, in
un contesto di potenziali forti criticità, lo sviluppo dei consumi in volume di qualsiasi prodotto o servizio è soggetto a grande incertezza.

L’area della mobilità appare in decisa riduzione: cumulando le variazioni reali 2008-2010 si ritorna a fine periodo a un volume di spesa reale pari a quello di inizio 2006.
Non vi è, peraltro, alcuna certezza che l’eventuale ripristino di una più efficace politica di incentivazione alla rottamazione di auto possa invertire queste
tendenze.

Il segno dei tempi difficili è evidenziato anche dalla dinamica negativa della spesa reale per pasti in casa e fuori casa, segmento all’interno del quale sono soprattutto i
consumi domestici a perdere quota.

La ripartizione dei consumi per macro-funzioni di spesa a valori costanti, cioè al netto dei fenomeni inflazionistici, evidenzia, invece, uno scenario contraddistinto da
un’elevata staticità. Quando si dice ‘Paese bloccato’ non si dovrebbe alludere soltanto a fenomeni di scarsa mobilità sociale, per esempio, ma anche alla
difficoltà di esplorare nuovi paradigmi di consumo e nuovi comportamenti di spesa. D’altro canto, mobilità sociale, stagnazione e costanza nell’allocazione
della spesa sono fenomeni collegati. Nel futuro prossimo, alla riduzione della mobilità, soprattutto causata dalla riduzione del tasso di ricambio del parco auto, farà da
contrappunto l’ennesimo, modesto, incremento delle risorse destinate alla gestione domestica. Fattori di prezzo legati al costo dell’energia sono alla radice di questa
tendenza.

L’ unica nota positiva del quadro dei consumi è il ritocco verso l’alto delle spese legate al tempo libero, soprattutto per la componente tecnologica dei beni
durevoli. Questo fenomeno è interamente dovuto alle riduzioni di prezzo dei beni importati.

Un nuovo indicatore sintetico: il Quoziente Qualitativo di Benessere (QQB)

Una rappresentazione compatta, anche se approssimativa, della posizione dell’Italia in termini di consumi e benessere nel confronto internazionale, può essere fatta
attraverso un indicatore che abbiamo appositamente creato: il Quoziente Qualitativo di Benessere (QQB). Esso rapporta le spese legate alla fruizione del tempo libero a quelle basiche,
legate alla gestione ordinaria dell’economia familiare. Maggiore è tale rapporto, migliore è la posizione del cittadino medio rappresentativo di un Paese, almeno
nella misura, crediamo non trascurabile, in cui i consumi, in termini di quantità e qualità, approssimano il benessere mediamente fruito.

Nel 2007 l’Italia ha dietro di sè, nella graduatoria del Quoziente, soltanto alcuni Paesi dell’Est europeo, che comunque si avvicinano sensibilmente alle posizioni
medie, mentre tutti i Paesi, ad eccezione dell’Olanda, con un Pil pro capite maggiore del nostro presentano un QQB superiore a quello dell’Italia. Ciò vuol dire che,
depurando questo fenomeno dalle differenze nei redditi pro capite, le condizioni dei mercati, oltre che le dinamiche dei redditi, consentono ai cittadini degli altri Paesi di ottenere
dalla spesa per consumi una maggiore soddisfazione rispetto a quanto accade in Italia. Un risultato sul quale certamente influisce il maggior livello dei prezzi in Italia di tutte le
spese legate all’energia, che entrano a vario titolo nella gestione dell’abitazione. Infatti, i mercati italiani dell’energia ma anche il comparto dei servizi pubblici
locali sono gestiti in condizioni di scarsa trasparenza o di monopolio, traducendosi in maggiori oneri per i clienti e sottraendo, al tempo stesso, risorse per le spese libere.
E’, in sostanza, il riflesso delle liberalizzazioni incompiute in termini di struttura della spesa che ha, a sua volta, riflessi sulla crescita economica.

Nel corso del tempo, questa difficoltà, specifica dell’Italia, che oggi riconosciamo come crisi della produttività multifattoriale – che si riflette in una bassa
dinamica dei redditi e quindi dei consumi – ha portato il nostro Paese a perdere posizioni non soltanto in termini di Pil per abitante, e ancora di più per nucleo familiare, ma
anche in termini di indicatore di benessere. Ma si tratta di una transizione ancora incompiuta che vede i Paesi più poveri in avvicinamento al nostro mentre quelli più
dinamici aumentano le distanze. Tra questi ultimi, Spagna, Regno Unito e Irlanda, peraltro, con un distacco notevole.

In generale, la posizione dell’Italia nelle coordinate Pil-QQB è largamente insoddisfacente, né può consolare l’evidenza che Germania e Francia non
siano particolarmente distanti. Tali Paesi hanno comunque un reddito maggiore e un QQB di 65 contro il nostro 63: tradotto, questo significa che in Italia spendiamo mediamente 63 euro
in spese libere per ogni 100 euro di spese obbligate, contro un valore di 70 per l’Austria, di quasi 90 per la Spagna e attorno a 100 per Inghilterra e Irlanda.

Queste differenze agiscono anche in termini di incentivi al lavoro: se si sfrutta peggio il reddito prodotto, proprio in termini di opportunità di spesa, si avrà una
spinta inferiore a lavorare. Tale fenomeno, con il passare del tempo, determina anche uno scarto di produttività e quindi implica la modificazione dei tassi di crescita del Pil,
con i conseguenti sgradevoli sorpassi nelle graduatorie del Pil pro capite.

La crisi internazionale oggi rende più evidenti – non le causa certo – le debolezze del sistema-Paese. Per vedere mutata in meglio la posizione assoluta e relativa
dell’Italia in questi indicatori di reddito e benessere probabilmente sarà necessario attendere ancora diversi anni.

 

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