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Capestrano: Abruzzo a Milano, cucina di identità e tradizione

Capestrano: Abruzzo a Milano, cucina di identità e tradizione

By Giuseppe

Ristorante Capestrano di Milano: storia di passione, coraggio e cucina di identità

Ristorante Capestrano
Ristorante Capestrano

Esistono tavole che diventano rifugio ed arca di salvezza non solo per la qualità costante della cucina e dell’ambiente, ma perché regalano la consapevolezza del buono in ogni sua sfaccettatura: dall’arte del ricevere alla selezione maniacale degli ingredienti, dalla calda ospitalità alla cura del minimo dettaglio, il Capestrano di Milano è un luogo da scoprire e ri-scoprire.

Arrosticini di pecora fatti a mano
Arrosticini di pecora fatti a mano

Oltrepassare l’uscio è come aprire una porta chiusa su realtà dimenticate e trovarsi di fronte valori culturali, antiche usanze, sensazione di benessere; di quel benessere, però, che si avverte solo quando ci si sente accolti da persone autentiche, da sguardi “veri” dai quali trasudano amore per il proprio lavoro, determinazione e la proverbiale caparbietà abruzzese. Popolo di ingegno e instancabili lavoratori, popolo di “montagna” e “mare”, popolo di “guerrieri” come l’icona del famoso “Capestrano” che campeggia, a ragione, nel logo del ristorante.

Pecora aj'e cotturo
Pecora aj’e cotturo

Qui, infatti, l’esperienza culinaria diventa un piacevole perdersi tra usi, ritualità e consuetudini che legano il cibo alla storia della regione; qui, a ben vedere, si assapora un’istantanea di una cultura camaleontica, secondo una elaborazione ben riuscita dello chef patron Roberto Babbo, attento a proporre sapori schietti e risorse della terra di origine.

Pizz' e foje
Pizz’ e foje

Una corrispondenza biunivoca con un territorio al quale l’intera famiglia è legata a doppio filo da un rapporto “genuino”, incontaminato come le ricette proposte nel locale. È una cucina antica profumata di transumanza, è una cucina dagli aromi ritrovati che funge da collettore di emozioni per qualcuno e di ricordi per altri; è un magnete del desiderio di scovare, tra le trame di un menù ricco e gustoso, ricette di tradizione. Sensazioni nette, fresche e decise, sostenute da tecniche intelligentemente innovative, in grado di alleggerire talune preparazioni tipiche, persino quella carne ovina, ritenuta a torto poco digeribile.

Parrozzo dannunziano
Parrozzo dannunziano

Al Capestrano, invece, si resta stupiti dal fresco retrogusto di animali allevati allo stato brado, dalle giuste marinature e cotture che rendono tanto l’agnello quanto la capra leggeri e appetitosi, ma soprattutto fanno “scattare un colpo di fulmine” con tali piatti…
L’ambiente avvolge l’animo del cliente in un caldo abbraccio, facendo riflettere sul meritato traguardo di una famiglia unita, dai valori ben radicati e ormai rari, quotidianamente impegnata a rendere quest’angolo di Abruzzo a Milano la quintessenza di una storia e di una regione.

Serena, quando siete arrivati a Milano e quando avete aperto il ristorante?
Siamo giunti qui 16 anni fa e abbiamo aperto il ristorante 7 anni orsono, dopo lunghi lavori di restauro dell’intero palazzo che mio padre acquistò nel periodo della grande crisi economica.

Qual è il vostro intento con il locale?
Presentare l’Abruzzo, terra da scovare e poco nota, attraverso la nostra cucina, basata su ingredienti locali e ricette di tradizioni, appena contaminati da un pizzico di innovazione (come la nostra tartare di pecora).

Come siete riusciti a valorizzare i prodotti dell’entroterra?
È stato davvero difficile nei primi anni, specie perché l’Abruzzo è noto per la sua cucina di mare e per i luoghi più turistici della costa adriatica. La carne ovina e di capra, ad esempio, vengono percepite sempre come troppo pesanti o poco digeribili; il mio ruolo in sala è, dunque, spiegare e rendere trasparente il lavoro di mio padre tra i fornelli.
Come nasce questo tuo amore per i prodotti tipici?
Ho sempre amato la gastronomia, anche perché vengo da una famiglia attenta alla materia prima e alla cucina; mi sono però iscritta in Economia e continuo ad oggi a frequentare l’università, pur dedicandomi in misura sempre crescente al locale. Mi piace essere a contatto con il pubblico, mi diverte far conoscere ai milanesi una regione così ricca di cultura e storia come la mia…

Come sei riuscita a fidelizzare la clientela?
Cerco sempre di capire le persone che ho di fronte dal modo in cui sfogliano il menu; poi con un sorriso cerco di essere propositiva, ma se leggo in loro una certa ritrosia, torno sulle mie.

Secondo te cosa è apprezzato di più del vostro locale?
In primo luogo l’ambiente (un palazzo di fine Novecento), moderno ma con un elegante rimando all’Abruzzo nell’arredamento; in secondo luogo, l’artigianalità della nostra cucina, il ritorno alle origini e a quei sapori che in grandi città spesso si sono persi. Ad esempio, mio padre realizza quotidianamente la pasta fresca e le differenti tipologie di pane con farine molite a pietra, rinuncia giornalmente a preparati e a cibi precotti; ogni giorno, in cucina, si riparte da zero nella preparazione delle ricette.

Come avete impostato il menu?
È fisso ed è un excursus tra la cucina regionale dell’entroterra abruzzese, che d’estate lascia il passo a qualche ricetta più “fresca”. Abbiamo scelto di scrivere i nomi dei piatti in dialetto, senza volerci avvicinare all’ideale immaginario della trattoria, né, tantomeno, a quella di tavole d’avanguardia o stellate. È semplicemente il nostro locale, il nostro Abruzzo, la nostra storia.

Come ti sei formata per ricoprire il ruolo importante che hai in sala?
Sul campo, con le direttive di mio padre, facendo davvero tanta gavetta. Successivamente, sono passata al mondo del vino, dal quale sono stata immediatamente affascinata e ho creato una piccola carta con referenze della mia regione, dando peculiare importanza ai vini naturali.

Roberto, raccontaci la tua avventura a Milano…
Direi un colpo di fulmine con questo stabile. Provengo da una famiglia di agricoltori, sono cresciuto a contatto con la natura, ma lavoravo al Ministero della Giustizia, un impiego dal quale non ero appagato. Avevo sempre covato il desiderio di realizzare qualcosa di davvero personale, così quando ebbi l’occasione di acquistare all’asta questo palazzo feci una follia…

Cosa ti ha colpito della struttura?
Non saprei, appena entrato mi sono detto…Mi piace, ma non sapevo bene cosa potesse diventare nel futuro. In un primo momento, mi occupai degli appartamenti della Maison Capestrano, poi capii che la cura davvero maniacale con la quale stavo ristrutturando meritava di essere valorizzata. Mi venne così l’idea del ristorante, inconsapevole che sarei finito tra i fornelli: all’inizio, infatti, affidai la cucina ad un mio amico cuoco abruzzese, poi invece il desiderio di armeggiare con fuochi e coltelli mi ha portato ad essere cuoco.

Come sei riuscito a immedesimarti così bene nel ruolo di cuoco?
Iniziai affiancandomi a chi lo è di mestiere, rivestendo la classica posizione di “aiuto cuoco”; successivamente, mi avvicinai alla griglia che è parte importante del locale (per la cottura delle carni e per i noti arrosticini), mi scontrai con le difficoltà di reperire personale e di formarlo di volta in volta…e così eccomi qua. Ho appreso le tecniche di taglio e lavorazione della carne accanto a mio padre, uomo di mestiere che da bambino mi ha insegnato a disossare e a insaccare.

Quando e perché hai iniziato a selezionare i prodotti tipici di qualità?
È stato un po’ un normale e naturale completamento del mio percorso, in quanto rispondente al mio desiderio di reperire il migliore (e il più sano) ingrediente per realizzare un piatto e valorizzare la mia terra.

Cosa vuoi comunicare con i tuoi piatti?
L’Abruzzo, le sue consuetudini rilette attraverso la cucina quotidiana.

Qual è per te l’ingrediente fondamentale in cucina?
L’amore e la passione.

Hai un piatto evocativo della tua infanzia?
Gli gnocchi di Avezzano e le fettuccine conditi con un buon ragù.
Come sei riuscito a scardinare l’iniziale diffidenza del pubblico per una cucina tipica spesso avvertita come pesante e saporita?
Narrando e facendo provare i piatti.

Come definiresti la cucina?
Amore, immedesimazione in una ricetta e nella sua storia, interrogandosi sull’elemento mancante, sui ritmi da rispettare per inserire i vari ingredienti.

Prossimi obiettivi?
Abbiamo aperto da non molto La Bottega de Il Capestrano in Via Sabotino, con una piccola rivendita di prodotti tipici, una cucina a vista più rapida, con una proposta di tradizione che ruota quotidianamente, più semplice del ristorante. La finalità è divulgare la cultura abruzzese a prezzi accessibili. Sempre in questa ottica, mi farebbe piacere organizzare eventi e/o degustazioni tematici nel breve futuro.

 

Desinare al Capestrano è come percorre un viaggio sinestetico nell’Abruzzo inedito, lungo i tratturi che si insinuano nell’entroterra per accompagnare l’avventore alla scoperta di luoghi magici, delle antiche origini e radici di un popolo dalle infinite risorse. Lo stesso popolo che, anche dopo innegabili tragedie, è sempre pronto a lottare come un guerriero, come il famoso “uomo di Capestrano”…E la famiglia Babbo, a suo modo, è la felice riprova dell’indole sana, combattiva e generosa di queste genti.

Manuela Mancino
per Newsfood.com
*Capestrano

Capestrano è un comune italiano di 888 abitanti della provincia dell’Aquila in Abruzzo. Centro agricolo a 43 km a ESE del capoluogo, a 465 m nell’alta Valle del Tirino, situato al margine sud-occidentale di un vasto piano di origine carsica compreso tra l’altopiano di Navelli e le estreme propaggini sud-orientali del gruppo del Gran Sasso d’Italia: fa anche parte della Comunità montana Campo Imperatore-Piana di Navelli. Parte del territorio del comune rientra nel territorio del Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga costituendone di fatto una delle porte di accesso nella sua parte meridionale.

 

Redazione Newsfood.com

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