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Benito Mantovani, Nutrizionista Zootecnico: Etichettatura della carne bovina

Benito Mantovani, Nutrizionista Zootecnico: Etichettatura della carne bovina

By Giuseppe

Vedi anche altri articoli e video su Ambrosia, alimenti della salute (clicca qui)

Cosa ne pensa Benito Mantovani, Nutrizionista Zootecnico

OSSERVAZIONI

15 APRILE 2014

In quest’ultimo ventennio, non c’è stato: un convegno, un articolo di giornale, una trasmissione televisiva, una manifestazione del settore agricolo, un’intervista ai responsabili (a tutti i livelli) e del politico di turno, dove non si siano elogiati i prodotti italiani. In particolare, è stato fatto merito alle produzioni Dop, Igp, Doc, ecc. ( in quanto garantite da certificazioni di processo, purtroppo pagate dal controllato), di testimoniare la superiorità tecnologica produttiva italiana, rispetto al resto del mondo.

E, contemporaneamente, le stesse circostanze hanno rappresentato il malcontento, proprio degli stessi decantatori delle produzioni certificate e del made in Italy, costretti a subire la concorrenza estera e, ancora peggio, la mortificazione della chiusura delle loro attività produttive.

LINEE DI INTERVENTO
PER IL SETTORE DELLA ZOOTECNIA BOVINA DA CARNE

Documento di lavoro ven. 3 aprile 2014

Prospetto – Obiettivi e azioni per un Piano di intervento

Obiettivi specifici

Azioni

Obiettivo strategico

Rafforzare la
competitività
e perseguire
una maggiore redditività dell’allevamento
bovino da carne.

Qualificazione
e valorizzazione
del prodotto

Sistema di qualità
alimentare nazionale

Promozione e salvaguardia
delle razze bovine autoctone

Miglioramento qualità delle
carni

Promozione e informazione
presso il consumatore

Rafforzamento
della filiera produttiva

Integrazione tra la “filiera carne”
e “filiera latte”

Introduzione di innovazioni negli allevamenti

Obiettivo “interprofessione”

Interventi
di sistema
e di mercato

Politica Agricola Comunitaria
(Premi PAC 2014-2020). Finalizzazione strategica del
premio accoppiato

Politiche di semplificazione normativa

Osservatorio Economico permanente della zootecnia
bovina da carne

Rafforzare la competitività e perseguire una maggiore redditività dell’allevamento bovino da carne.

A questa regola non si sono sottratti anche l’allevamento del bovino da carne e della vacca da latte (di cui il Piano Carni che sta per essere varato), i quali, tra l’altro, adottando dei sistemi produttivi basati esclusivamente sulla riduzione dei costi di produzione, hanno provocato una serie di inconvenienti economico – sociali e ambientali, che si possono così sintetizzare:

  1. a)  sviluppo della monocoltura maidicola a discapito di un sistema produttivo policolturale, con conseguenze sempre più allarmanti di degrado ambientale;
  2. b)  sviluppo delle patologie d’allevamento, con conseguente aumento delle mortalità e dell’utilizzo di farmaci, i cui residui, smaltiti sui terreni con i reflui degli animali, vanno ad inquinare le falde acquifere e, sicuramente, gli alimenti che un giorno troveremo sulle nostre tavole;
  3. c)  peggioramento delle caratteristiche qualitative e sanitarie delle produzioni, a scapito della salute dei consumatori;
  4. d)  mancato reddito imprenditoriale, e dismissione degli allevamenti.

Una situazione che sta diventando insostenibile. A nulla sono valse le varie etichettature di origine degli alimenti ( basta andare nel reparto della frutta e verdura dei Supermercati per accorgersi delle etichette di provenienza dei prodotti), le certificazioni di processo e quelle delle Dop, Igp, biologiche, ecc. e, nemmeno le proteste alle frontiere dei nostri allevatori hanno esitato alcun risultato economico positivo per le nostre produzioni.

Ciò dimostra che il sistema protezionistico e di valorizzazione, messo in atto in questi ultimi decenni a tutela delle nostre produzioni agricole, non ha dato i risultati sperati.

Pertanto, pur condividendo “ gli obiettivi e azioni del Piano di intervento”, sintetizzati nel prospetto soprastante, ritengo che per realizzarli sia indispensabile individuare e adottare delle modalità operative innovative, basate sulla ricerca e sulla sperimentazione che, nel rispetto della green economy e della salute del consumatore, siano di sostegno al reddito imprenditoriale.

In sostanza, occorre abbandonare quei modelli produttivi finora attuati, i quali, pur ispirandosi alla tradizione, non sono altro che dei sistemi asserviti esclusivamente al business, le cui produzioni, “cellofanate” da delle certificazioni volontarie, pagate dal controllato, e proposte al consumatore come se fossero delle rarità, non sono altro che dei costi di produzione aggiuntivi.

Occorre ripensare i nostri modelli produttivi per produrre degli alimenti igienicamente sicuri, nel rispetto delle norme di legge e del nuovo art. 2 del codice del consumo, novellato dall’art.2 del D. Lgs. 23 ottobre 2007, n.221, che elenca i diritti fondamentali dei consumatori e degli utenti, quali:

a) la tutela della salute;
b) la sicurezza e alla qualità dei prodotti e dei servizi;
c) una adeguata informazione e ad una corretta pubblicità;
c-bis) l’esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà;
d) l’educazione al consumo.

Su queste basi deve essere lasciata libertà operativa a tutti coloro che intendono operare in agricoltura, viceversa, se gli operatori, oltre al rispetto delle leggi riguardanti l’attività agricola, intendono produrre degli alimenti con delle peculiarità oggettive, essi devono rispettare:

• la nota SG ( 98) D/ 1618 del 24 febbraio 1998 della CE, inviata ai Governi degli Stati membri, con la quale sono state formalizzate alcune “ condizioni vincolanti” alle quali l’adozione e l’applicazione dei marchi di qualità nell’agroalimentare devono risultare conformi e che possono essere così sintetizzate:

1) i prodotti devono avere caratteristiche intrinseche oggettive e riscontrabili;
2) nessun requisito riferito all’alimento può essere limitato all’origine o alla provenienza geografica e, quindi, al territorio in quanto sarebbe contrario all’art. 30 del Trattato.

• la Circolare del 15 ottobre 2001, n° 5 del MIPAAF, recita: lettera C), 5° capoverso – « Un prodotto identificato con un marchio privato, infatti, non necessariamente indica che sia di qualità diversa o superiore rispetto ad analoghi prodotti non coperti dal marchio. Né può in alcun modo considerarsi sufficiente a dimostrare una specifica qualità di prodotto la semplice certificazione volontaria di processo o l’attestazione di rispondenza della produzione alle norme generali vigenti in materia sanitaria, zootecnica, industriale, etc., anche se tali norme sono contenute in protocolli operativi stabiliti a livello professionale o interprofessionale (cosiddetti manuali di buona pratica agricola), allorchè le norme stesse non prevedono requisiti significativamente superiori a quelli cogenti».

Ma, soprattutto, devono essere rispettati il Reg.to CE 1169/2011, e l’articolo 1 del decreto Ministeriale del 4 marzo 2011, che recita: Il Sistema di qualità nazionale zootecnia (di seguito per brevità anche SQN), istituito in conformità con quanto previsto dall’art. 22 paragrafo 2 del regolamento CE n. 1974/2006, individua i prodotti agricoli zootecnici destinati all’alimentazione umana con specificità di processo e/o di prodotto, aventi caratteristiche qualitativamente superiori rispetto alle norme di commercializzazione o ai requisiti minimi stabiliti dalla normativa comunitaria e nazionale nel settore zootecnico.

Sono d’accordo con la specificità di prodotto, perché la qualità delle produzioni non deve essere quella cartacea ( etichettatura e certificazione), ma quella oggettiva, documentata da analisi di laboratorio e riportata ( questa si) in un’etichetta nutrizionale.
Può essere utile per il consumatore conoscere anche l’origine del prodotto ( etichetta), come ulteriore mezzo per una scelta oculata. Ma questa può essere una scelta del produttore, non un obbligo istituzionale, perché non incide assolutamente sulla sicurezza e sulla qualità delle produzioni.

Come, appunto, prevedono le norme vigenti, i prodotti di qualità, per essere considerati tali, devono essere documentati con analisi di laboratorio riportate su un’etichetta nutrizionale, e non da dichiarazioni estemporanee e da garanzie cartacee, verbali o simulate.

Anche perché, un’etichetta nutrizionale non ha bisogno di alcuna certificazione di processo, nè di prodotto, perché rappresenta un’autocertificazione del produttore, e il tramite più appropriato ed efficace per consentire agli organi pubblici preposti, di svolgere le loro funzioni di vigilanza e di controllo.

Visto che “la sicurezza e la qualità dei prodotti e dei servizi”, e “la tutela della salute” sono regolate per legge (art.2 del D. Lgs. 23 ottobre 2007, n.221), non si capisce come sia possibile imporre con delle disposizioni di legge ( per essere considerati dei virtuosi ed essere premiati con dei contributi pubblici) delle certificazioni volontarie, pagate dal controllato ( vedi le Dop, Igp, Biologico, ecc., e anche i relativi scandali di contraffazione di queste produzioni, oramai incontrollabili, perché sprovviste di etichette nutrizionali)

Se con il termine “qualità” si vuole premiare il prodotto con caratteristiche oggettive superiori a quelle cogenti, anche in questo caso le certificazioni volontarie rappresentano solamente un costo aggiuntivo, in quanto i Reg.ti CE 1169/2011 e 1974/2006 assolvono pienamente al caso.

Anche nel campo delle produzioni agroalimentari, se si vogliono tutelare quelle italiane di qualità oggettiva, lo Stato, invece di premiare l’appartenenza ( territorio, tradizione, consorzio, cooperativa, ecc.), attraverso  attestazioni di merito preconfezionate ad hoc ( certificazioni volontarie, pagate dal controllato, ma che nella realtà, purtroppo, sono sovvenzionate con soldi pubblici), deve favorire ed incentivare la professionalità e la meritocrazia imprenditoriale, testimoniate esclusivamente dalle caratteristiche oggettive delle stesse produzioni.

In sostanza, occorre dare le stesse opportunità a tutti gli imprenditori che intendono realizzare delle produzioni, il cui fine non sia quello esclusivamente del profitto, ma che, nel rispetto della green economy, siano di aiuto alle esigenze nutrizionali e salutistiche del consumatore.

In sintesi, Io credo che l’agricoltura tutta, debba essere incentivata solamente se è rispettosa di questa “equazione di servizio”: io autocertifico le mie produzioni ( agricoltore); io controllo le tue produzioni autocertificate ( enti pubblici preposti); io finanzio le tue produzioni se di qualità oggettiva, perché tutelano la salute dei consumatori ( Stato, Regione, ecc.); io consumo italiano, perché sicuro e di qualità oggettiva e documentata ( consumatore).

Benito Mantovani
Nutrizionista Zootecnico
per Newsfood.com

 

 

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