Identità di Pasta: Newsletter n. 58 di Paolo Marchi del 15 marzo 2017

15 Marzo 2017
Mai dire mai, però mi viene difficile pensare che a Identità Golose, l’edizione di Milano, ci stancheremo di curare una giornata a tutta pasta. Sarà per la sua versatilità, sarà perché appartiene al dna di noi italiani ma a ogni tornata si rimane incantanti davanti alle lezioni dei relatori che si succedono sul palco.
Quando tutto ebbe inizio undici anni fa, tutto pareva destinato, prima o poi, a sbattere sugli scogli dell’al dente. E’ il nostro imperativo, con la pasta, con il riso ma in fondo anche con il caffè che noi adoriamo corto, diabolico e inteso quando il resto del mondo ne allunga i tempi di estrazione e ne smorza intensità e forza.
Invece così non è stato e di certo cotture e consistenze al dente non hanno mai rappresentato un tabù, un divieto a osare. Tutto un problema di intelligenza degli chef, della loro capacità di raggiungere risultati efficaci. Se alla prova-palato la ricetta convince, non c’è dogma che tenga. Certo, a un italiano piacerà facilmente uno spaghetto cucinato al dente, ma se la salsa è assurda? E se a stravolgere un rigatone è Davide Scabin? In questo caso io non voglio proprio perdermelo. Il torinese è una delle bandiere che la cucina italiana deve sventolare con orgoglio, le sue idee non sono mai banali e arrivano a risultati spiazzanti e vincenti.
Paolo Marchi
Testi di Mariella Caruso e Tania Mauri. Foto di Brambilla/Serrani
Identità di Pasta, arcobaleno globale

L’edizione appena conclusa di Identità di Pasta ha rafforzato concetti già emersi negli anni passati. Abbiamo avuto conferma di come la pasta possa essere meravigliosamente contemporanea e, assieme, in linea con la tradizione (le lezioni di Ernesto Iaccarino e Luciano Zazzeri) o del tutto lontana dai nostri utilizzi (come quella inondata di lavanda da Mauro Colagreco).
Ma la pasta può essere anche un piatto minimale, di appena tre ingredienti (l’eleganza di Carlo Cracco). Oppure generosa, quando esprime l’opulenza della Sicilia (Massimo Mantarro). Può essere oggetto d’incontri tra culture diverse e di sperimentazione: cottura nella zucca sotto la Mystery (Matteo Baronetto) o nella pentola di terracotta (Luca Fantin).
Tutti esempi in cui peraltro la pasta dimostra di essere così fortemente identitaria da non temere l’impatto con il diverso, di potersi concedere l’autoironia di una carbonara sbagliata (Eugenio Boer) o una cottura al vapore, avvolta nelle alghe (Anthony Genovese). Rassicurante come una cacio&pepe o provocatoria come un cocktail di salse popolari (Davide Scabin).
Un insieme di coprotagonisti ricchi o umili, arrivati dall’orto di casa o dall’altro lato dell’oceano, eleganti o rustici. Dopo l’incontro con la pasta, nessuno di loro è più lo stesso.
Riccardo Felicetti
Carlo Cracco: spaghetti in gita in Asia

È una sortita nel lontano Oriente quella che Carlo Cracco ha messo alla base della prima parte della sua lezione intitolata “Idee di pasta” per avventurarsi nel tema del viaggio. Lo chef vicentino ha contaminato gli spaghetti con ingredienti inusuali (foto): tè verde matcha, polvere di wasabi fresco disidratato e pepe sansho poco piccante ma ricco molte note agrumati diventano, con una legatura di burro, la salsa verde per condirli.
La finitura con bottarga fresca («Ma potrebbero essere utilizzati anche i ricci di mare») e polvere di tè matcha e wasabi completano il piatto «che è un modo – ha spiega Cracco – per avvicinarsi quanto più possibile all’idea nipponica della pasta e del desiderio di vederla condita con i loro ingredienti». Dopo il Giappone le visioni dello chef vicentino proseguono verso est per approdare negli Stati Uniti. I Fusilloni con salsa di burro affumicato, Grana Padano e pepe di Timut, la cui preparazione è stata affinata rispetto alla lezione di Chicago, nell’ottobre scorso. Hanno l’anima di una “cacio e pepe” regalando però l’effetto ragù.
MC
Massimo Mantarro, viaggio in Sicilia
Mezzi paccheri preparati con triglia, salsa di carciofo spinello e confettura di miele di acacia e mandarino marzolo e finiti con una chips di carciofo«Il palato è più importante dell’occhio», ha ammonito al principio della sua lezione Massimo Mantarro, due stelle Michelin al Principe Cerami del San Domenico Palace. C’era tutto il connubbio tra mare e terra, in un viaggio breve ma intenso che partiva dall’Etna fino al mar Ionio, nei Mezzi paccheri preparati con triglia, salsa di carciofo spinello e confettura di miele di acacia e mandarino marzolo e finiti con una chips di carciofo, andati ad arricchire sontuosamente la carta del suo ristorante (foto).
È ancora lo stesso viaggio, tra le asperità della cima del vulcano battuta dal vento e la brezza della costa, a ispirare la Pasta e seppia, uno spaghetto nero con tagliatelle di seppia marinata su crema di cime di rapa impiattati con guarnitura di datterino e fiori di borragine.
MC
Luca Fantin, pasta alla maniera giapponese

Il viaggio di Luca Fantin non ha avuto niente a che fare con le visioni. È il risultato del percorso reale dello chef veneto in terra nipponica dove ormai vive dal 2009, quando ha preso in mano la cucina del ristorante del Bulgari Ginza Tower di Tokyo. I due piatti oggetto della lezione a Identità di pasta non hanno snaturato l’ingrediente principale, ma lo hanno reinventato.
Con una cottura a vapore (due parti di brodo di cozze, vongole, scarti di pesce e di astice e una di pasta e una di pasta) nel caso dell’insalata di ditali impreziosita di granchio reale, ricci di mare, uova di trota selvatica e un asparago selvaggio molto amaro (nella foto), che al Bulgari Fantin serve in pentole da due porzioni da condividere.
Il secondo piatto sono stati Spaghetti alla bottarga nel quale la particolarità era la bottarga di muggine che il giovane chef preparata da sé secondo i metodi imparati in Giappone. Mantecate gli spaghetti con uova e bottarga, spolverate con bottarga, polvere di cipolla seccata e agrumi giapponesi.
MC
La pasta in gelatina di Matteo Baronetto

Prendete una zucca, scavatela, spennellatela con burro nocciola, sistemate dentro dei sedanini crudi mescolati con burro nocciola. Mettetela all’interno di una Mistery, la piastra con coperchio a campana disegnata da Andrea Salvetti già utilizzata da Paolo Lopriore, sulla quale sono state sistemate delle verdure per dare umidità.
Ecco il viaggio – nella cottura della pasta – di Matteo Baronetto del Cambio di Torino, completata con un’Aspic di spaghetti (nella foto) la cui cottura, prima di essere incastonati nella gelatina, è completata in padella con sugo di carne e peperoncino.
MC
La passione nascosta di Mauro Colagreco

La frontiera di Mauro Colagreco è quella tra Francia e Italia. Siamo a Mentone al Mirazur, vero ristorante di frontiera perché quasi sul confine. Poi ci sono altre frontiere, quelle di un argentino di discendenze italiane con casa in Costa Azzurra e ristoranti a Parigi e in Cina. Uno chef che non ha piatti a base di pasta nella sua carta, ma ne regala due al “viaggio” di Identità di pasta.
C’è il mezzo pacchero ripieno caprino alla lavanda e patata viola dove queste ultime, mescolate con porri e un brodo fatto con un’emulsione di latte intero, burro e lavanda, diventano la base sulla quale adagiare i mezzi paccheri per la cui finitura basta qualche goccia di olio di vinaccioli alla lavanda.
E c’è lo spaghetto in cui America Latina, con il caffè e la patata dolce, s’incontra con il Mediterraneo: limone marinati in crema di zucchero e sale, bottarga di muggine e capperi per uno piatto dai sapori inattesi (nella foto).
MC
Genovese alla scoperta delle pacòte

Anthony Genovese, chef del Il Pagliaccio di Roma, francese di genitori calabresi con molte incursioni in Asia, propone una cucina di forte identità fatta di percorsi e viaggi paralleli verso il piatto, con contaminazioni ed emozioni diverse abbandonando il concetto fusion.
Tanta italianità, orgoglio e coraggio di cucinare la pasta secca, per le pacòte Felicetti (letteralmente “piccole pacche” dal formato molto più piccolo del mezzo pacchero) cotte al vapore in modo che «vetrifichi e rimanga integra, non gelatifichi» ci spiega Felicetti, successivamente accartocciata con alghe essiccate e tritate e abbinata a un’emulsione di brodo di radici bruciate nel camino, fegato di merluzzo, ostrica e acciughe (prossimamente nel suo menù).
TM
La Carbonara smile di Eugenio Boer

Cucina ironica e spiritosa quella dello chef Eugenio Jacques Christian Boer, di origine olandese e siciliana e patron del ristorante Essenza di Milano, che si fa ispirare per il suo carbonara smile (nella foto) a tutte le paste orribili mangiate in giro per il mondo (la carbonara è uno dei piatti più bistrattati).
«Se la devo fare male la pasta, la faccio male per davvero». E così nasce la bavarese dalla forma di smile (grasso di guanciale, farina, Grana Padano pecorino, uova e panna), accompagnata da pasta stracotta, disidratata e fritta che diventa la posata con cui si mangiare, due cubetti di guanciale tostati. Infine, per gli occhi degli smile, una riduzione di Coca Cola per un piatto strampalato ma riuscito.
TM
Ernesto Iaccarino, tra Cina e Israele
Piatto di Ernesto IaccarinoClassico e moderno. Così Ernesto Iaccarino del Don Alfonso 1890 di Massa Lubrense ha raccontato la sua cucina, mediterranea, ispirata al suo paese ma anche ai numerosi viaggi fatti intorno al mondo. Come raccontano i due piatti che ha proposto: il primo è stato una rivisitazione dello Spaghetto aglio, olio e peperoncino, arricchito da salsa tonnata, sgombro e salsa al prezzemolo.
Il secondo un dumpling mediterraneo, un omaggio alla Cina, pensato nel Mediterraneo ma nato in Israele, ripieni di verdure e ripassati in una demi glace vegana (con la carrube al posto della carne) e un gelato di fagioli e zenzero fresco che lascia eleganza sul palato.
TM
Luciano Zazzeri, di terra e di mare

Lupo di mare o capitano esperto di cacciagione? Luciano Zazzeri, chef del ristorante La Pineta di Bibbona (Livorno), è entrambe le cose e ha stupito con la sua semplicità e schiettezza, emozione (malgrado non sia più un ragazzino) e conoscenza delle materie prime, come, per esempio, quando ha spiegato come riconoscere un pesce pescato a rete da uno pescato con la canna.
Sul palco ha preparato un piatto di mare e di terra, con il re della tavola (il pollo) e la regina del pesce azzurro (l’acciuga) proponendo degli Spaghetti di kamut mantecati con acciughe marinate in aglio, olio, peperoncino e prezzemolo, a cui ha aggiunto, fegatini di pollo croccanti e foglia di cappero.
TM
Davide Scabin: tre paste in una

In chiusura della giornata, si è tornati al futuro con Davide Scabin del ristorante Combal. Zero di Rivoli (Torino), uno dei primi a sdoganare la pasta nell’alta cucina. Ha preparato un piatto di pasta condito con un mix dei tre sughi della tradizione – Cacio&Pepe, Carbonara e Genovese: nella prima c’è il garofano al posto del pepe, nella carbonara l’uovo è cotto per più di un’ora a 62°C e condito con olio all’anice e sale grosso e la genovese è fatta con l’agnello.
Ha concluso spruzzando dei rigatoni con cinque boccettine di sapori essenziali (come da progetto “Note by note” del chimico francese Hervé This) introducendo i futuri sapori tailor-made che ogni chef creerà per la sua cucina. Un visionario.
TM
la newsletter di Paolo Marchi
Per gentile concessione