Vino: piccolo è ancora bello?
26 Ottobre 2007
Il modello italiano del “piccolo è bello”, ovvero la miriade di piccoli produttori vitivinicoli che hanno permesso all’enologia italiana di affermarsi
nel mondo, rischia di essere messo in crisi dalla competizione globale e ora anche dal Super-euro. E gli stessi piccoli produttori cominciano a ripensare questo modello, non tanto in termini di
stile enologico, quanto in termini di dimensioni aziendali, di assistenza all’export, di massa critica e di efficienza del sistema. Tutto questo sarà discusso da oggi al 29
ottobre a Torino al 6° Salone del Vino.
La soluzione più immediata è contenuta nell’adagio “l’unione fa la forza“. E, in questo senso, segnali importanti stanno già arrivando. Consorzi di Tutela
come quelli del Chianti Classico, del Soave e dell’Asti hanno pianificato massicce campagne pubblicitarie, cercando coesione e massa critica fra i soci, coinvolti in un disegno aggregativo di
territorio. Un modo intelligente di affrontare la situazione dei mercati mondiali, che si fa sempre più complicata. Ci sono mercati da conquistare e sono quelli delle economie emergenti,
ma è difficilissimo che le piccole aziende, ancorché rappresentanti dell’eccellenza qualitativa, riescano a penetrarli.
L’Italia enoica sconta l’atomizzazione della produzione. Oltre 60mila aziende che imbottigliano meno di 50 milioni di ettolitri con una percentuale di export del 27% devono
vedersela, ad esempio, con 130 cantine cilene che producono 10 milioni di ettolitri di cui 80% esportati, o con 300 cantine australiane che producono 15 milioni di ettolitri ed esportano al
75%. Ma le debolezze strutturali del sistema vino italiano diventano ancora più macroscopiche se si considerano le superfici medie aziendali: 6 ettari in Italia contro i 30 americani, i
120 cileni e i 400 australiani. Sono elementi che fin quando la partita è giocata sulle bottiglie di altissimo pregio non pesano o pesano meno, ma quando la competizione si fa anche
sulle fasce basse e intermedie di mercato, diventano degli handicap. Il “sistema vino” italiano, per amplificare la propria competitività, deve necessariamente adeguarsi alle mutate
condizioni di mercato: con consorzi all’export, con la realizzazione di sinergie, con un nuovo ruolo che i Consorzi di tutela possono assumere e con nuovi strumenti di marketing.
Qualcosa si sta muovendo: stanno nascendo raggruppamenti di produttori per affrontare meglio le sfide del mercato globale, e dalla Finanziaria vengono sgravi fiscali per chi
investe in pubblicità all’estero. Non è ancora una strategia definita, ma è il sintomo che le cantine italiane hanno compreso la portata del problema.