Vendere negli USA il “FOOD” italiano: istruzioni per l’uso

17 Aprile 2014
PARMA A STELLE E STRISCE: Vendere negli USA il “FOOD” italiano: istruzioni per l’uso
Con il sostegno: Camera di Commercio di Parma
Indice
Premessa, obiettivi e metodologia
Sezione I: Come prepararsi a vendere:
Procedure e passi per esportare in USA L’etichettatura e il nutritional label
Gli obblighi di comunicazione e la registrazione I dazi doganali
Specifiche su alcune categorie di prodotto
La categoria dei Vini e liquori
Sezione II: A chi vendere:
I consumatori target e le tendenze della distribuzione
Premessa: la domanda
La distribuzione retail e i “trend setting retailers” Le evoluzioni della distribuzione del fuori casa
Sezione III: Cosa vendere:
Spunti utili da un esame dell’arena competitiva in USA Premessa e considerazioni generali
Sughi per pasta a base pomodoro
Pomodori in scatola
Olio d’oliva
Paste fresche ripiene
Parmigiano Reggiano
Prodotti ittici
Prosciutto, salami e altri salumi
Il fenomeno dell’italian sounding: una stima
Sezione IV: Come vendere:
La negoziazione con i buyer e le “regole del gioco” Le politiche promozionali raccomandate
Premessa, obiettivi e metodologia
Questo rapporto nasce per offrire un supporto, il più possibile operativo, alle aziende di Parma intenzionate ad esplorare o a consolidarsi sul mercato americano.
Il rapporto e’ diviso in quattro sezioni:
- La prima parte, “Come prepararsi a vendere” vuole dare un primo
riferimento orientativo riguardo a procedure e regole per poter esportare negli Stati Uniti, partendo dal prodotto (etichettatura, tabelle nutrizionali, packaging) fino allo sdoganamento e i dazi.
- La sezione “A chi vendere” presenta una discussione ragionata del sistema della distribuzione alimentare in USA, segnalando e motivando in particolare quale riferimento target (i “trend setting retailers”) vada a nostro avviso perseguito in via prioritaria e quali siano le marginalità praticate nei differenti canali di vendita;
- La terza sezione “Cosa vendere” serve a raccogliere informazioni sull’attuale arena competitiva negli Stati Uniti, utili ai nostri produttori per preparare al meglio la propria offerta su questo mercato. In maggiore dettaglio, la sezione cerca di chiarire per ciascuna delle categorie più tipiche dell’area di Parma chi sono i player principali del segmento di specialita’ (quello in cui competono i nostri prodotti) e che tipo di offerta mettono in campo (prezzi, ingredienti, ricette, claim). L’analisi ha anche avuto lo scopo di stimare la presenza di prodotti imitativi delle nostre specialita’ autentiche, perché si ritiene che questo sia lo spazio di mercato più velocemente aggredibile da parte dei nostri prodotti.
- Infine, la quarta sezione intende offrire alcune indicazioni pratiche riguardo alle pratiche di promozione e comunicazione (a partire dal design del package fino alle dimostrazioni nei punti vendita) e agli aspetti chiave da presidiare nel processo di negoziazione con i buyer.
Dal punto di vista del metodo, la ricerca e’ stata condotta attraverso un set di interviste a esperti di mercato (dieci nel segmento retail e otto nel segmento del fuori casa) e un piano di rilevazioni in 20 insegne in totale (di cui 15 nel Nord Est degli USA e 5 nel Midwest). La selezione delle aree da esplorare e’ stata concordata in via preventiva con Parma Alimentare.
Per quanto riguarda le catene visitate, l’indagine si e’ concentrata per la grandissima parte su insegne della fascia alta di mercato (quelle che definiamo “trend setting retailers”), maggiormente propense a offrire un prodotto di qualità e autenticamente italiano rispetto ai supermercati tradizionali. Lo sforzo di indagine si e’ concentrato sui “trend setting retailers” anche perché si tratta di insegne che molto frequentemente non vengono rilevate da parte dei principali istituti di raccolta dati in questo ambito in USA, come IRI o AC Nielsen.
Le rilevazioni hanno permesso, tra le altre cose, di stimare le quote di mercato dei prodotti italian sounding venduti rispetto a quelli autenticamente italiani e le quote di mercato dei principali brand e prodotti riscontrati nell’arena competitiva. Questa stima nasce dalla metodologia che consiste nel contare, fisicamente in ciascuna insegna visitata, il numero di facingsi, di ciascun brand e prodotto venduto per ciascuna delle categorie sotto indagine. Tale metodo non ha alcuna pretesa di “scientificità”, ne’ si ritiene che le informazioni ottenute in questo modo possano definirsi esaustive e complete. Si tratta con tutta evidenza di semplici stime condotte su una base del tutto empirica. Tuttavia, progetti di ricerca condotti in passatoii con questa stessa metodologia hanno portato a buoni risultati in termini di comprensione della realtà; in particolare presso insegne che come chiarito non sono oggetto di rilevazione statistica da parte degli istituti di riferimento.
Il conteggio dei facings dei prodotti “italian sounding” e’ stato condotto sulla base di una definizione di prodotto imitativo che fosse la più possibile stringente. Anche in questo caso, la definizione di “italian sounding” proviene da una metodologia già sperimentata in numerosi progetti di ricerca. In dettaglio, abbiamo definito “italian soundingiii” qualsiasi prodotto made in USA che abbia raggiunto un punteggio da 6 a 10 attribuiti nel seguente modo:
- Nome del produttore italiano: 4 punti
- Colore bianco rosso e verde o tratti grafici distintivi (gondola, torre
di Pisa…): 2 punti
- Nome del prodotto, slogan o frasi di riconoscimento “italiane”: 2 punti
- Sensibilità dell’incaricato alle rilevazioni: 2 punti.
Per assicurare una classificazione omogenea da questo punto di vista, infine, e’ stato lo stesso gruppo di lavoro a occuparsi delle rilevazioni in tutte le insegne oggetto della ricerca.
i Per numero di “facings” si intende il numero di prodotti visibile a scaffale nel supermercato, senza considerare i prodotti sistemati dietro o impilati sopra
ii Il riferimento in particolare e’ il rapporto “Autenticità e imitazione dei prodotti alimentari in America”, condotto da MRA nel 2006.iii Una precisazione a questo riguardo: il rapporto del 2005 sopra citato definisce “italian sounding” come la somma del mercato autentico e imitativo; mentre il prodotto ingannevole e’ definito sulla attraverso il sistema a punti presentato in questa premessa. Apparendo ormai di comune accezione l’utilizzo dell’espressione “italian sounding” come “ingannevole”, per non generare confusione anche in questo studio si e’ stabilito di considerare “italian sounding” solo ed esclusivamente il prodotto imitativo.
SEZIONE I: COME PREPARARSI A VENDERE Procedure e passi per esportare negli USA
Le procedure per esportare in USA
Questa prima sezione del rapporto conterrà i riferimenti per un primo orientamento su regole e procedure per esportare in USA e sarà divisa in capitoli tematici (La spedizione del prodotto; L’Etichettatura, La registrazione degli impianti, I dazi e le tariffe, Specifiche su singoli prodotti).
La sezione offrirà quindi un primo sguardo d’insieme dei regolamenti ad oggi previsti e sulle procedure da seguire per esportare in USA. Tuttavia, si tiene molto a sottolineare che tale overview non vuole, ne’ può, considerarsi esaustiva rispetto alle specificità di trattamento che ciascun singolo prodotto richiede. In altre parole, questa guida non può sostituirsi in alcun modo a un rapporto diretto con l’importatore o lo spedizioniere, in grado di guidare l’azienda, meglio di chiunque altro, sulle procedure necessarie per esportare il proprio specifico prodotto in America. Questo e’ vero anche considerando la frequenza, maggiore di quanto si possa pensare, con la quale norme e regolamenti a tema di esportazione di prodotti alimentari cambiano nella legislazione USA.
Importazione di prodotti alimentari in USA: principali attori coinvolti e riferimenti normativi
La normativa sui prodotti alimentari negli USA è regolata da tre Dipartimenti del Governo federale:
– HHS (Department of Health and Human Services) e’ il Dipartimento in carica della protezione della salute dei cittadini americani. Si dirama in agenzie, tra cui la FDA (Food and Drug Administration). La FDA è l’agenzia responsabile per la regolamentazione e supervisione della sicurezza di cibo, supplementi dietetici, farmaci, vaccini e prodotti medico-biologici.
– USDA (Department of Agriculture) è responsabile per lo sviluppo e l’attuazione delle politiche del governo federale americano relative all’allevamento, all’agricoltura e al cibo. Si dirama in agenzie, tra cui il FSIS (Food Safety and Inspection Service) e l’APHIS (Animal and Plant Health Inspection Service).
– DHS (Department of Homeland Security) e’ il Dipartimento deputato alla sicurezza interna. Si dirama in bureau tra cui il CBP (Bureau of Custom and Border Protection), l’organismo federale che si occupa di controllare merci e persone in ingresso alle dogane.
La legislazione in materia alimentare fa riferimento al Code of Federal Regulations (CFR), in particolare al capitolo 21 che regolamenta le etichettature dei prodotti. L’importazione dei prodotti ha il suo principale riferimento normativo nel Bio-Terrorism Activ promulgato nel 2002 e nel Food Safety Modernization Act del 2011.
L’etichettatura e il nutritional label
Etichettatura
La FDA detta regolamenti molto dettagliati riguardo al contenuto delle etichette, che devono tutte indicare:
- Marca;
- Nome del prodotto, che deve comparire in inglese ed in grassetto
sul riquadro principale dell’etichetta, cioè sulla superficie della confezione immediatamente visibile al consumatore (Principal Display Panel, o PDP);
- Paese di origine (es “Product of Italy”);
- Gli ingredienti elencati in ordine decrescente in base alla quantità
impiegata nel prodotto;
- Il peso netto sul PDP (nel terzo inferiore della superficie), in grassetto, ben in vista e di facile lettura. Le abbreviazioni che possono essere utilizzate sono: weight: wt; ounce: oz; pound: lb ; gallon: gl ; pint: pt ; quart: qt ; fluid: fl.
- Informazioni sul produttore, l’importatore o il distributore, ovvero il nome, l’indirizzo, lo Stato e il codice di avviamento postale del produttore, dell’importatore o del distributore. Questi dati devono apparire nella parte posteriore o laterale della confezione. Se l’indirizzo fornito è quello dell’importatore o del distributore americano, il nome deve essere preceduto da una dicitura del tipo “manufactured for” (cioè fabbricato per conto di) o “distributed by” (distribuito da).
Il Food Allergen Act richiede di specificare nelle etichette presenza di elementi responsabili del 90% delle reazioni allergiche: latte, uova, nocciole, frutta secca, pesce, crostacei, grano e soia.
Per informazioni a tema sull’etichettatura, si invita a contattare il Center for Food Safety and Applied Nutrition – Office of Nutrition, Labeling and Dietary Supplements dell’FDAv.
Il riquadro nutrizionale (nutritional label)
Il riquadro nutrizionale serve a fornire informazioni in dettaglio sul prodotto in relazione alla presenza di Calorie, Lipidi, Colesterolo, Sodio, Carboidrati, Fibra, Zuccheri, Proteine, Vitamina A, Vitamina C, Calcio, Ferro. Facoltativamente, il nutritional label può essere utilizzato per indicare anche la presenza e quantità di Potassio, Alcol, Altre vitamine e minerali essenziali.
Il riquadro nutrizionale è obbligatorio nella grandissima maggioranza dei casi. Tra le poche eccezioni in cui non viene richiesto si ricorda il caso in cui il prodotto sia venduto esclusivamente nel canale del fuori casa, per consumo immediato (ready to eat); nel caso in cui il prodotto contenga un ammontare insignificante di tutti gli ingredienti sopra citati (per esempio nel caso del caffè) o infine nel caso di prodotti crudi come frutta e verdura.
Si riporta sotto un esempio di riquadro nutrizionale diviso nelle sue sezioni, con una spiegazione per ciascuna sezione. Per informazioni e per essere sicuri, si consiglia di consultare la sezione “Labeling and Nutrion” del sito FDAvi.
Figura 1: il riquadro nutrizionale
I claim salutistici
In America, così come in Europa, il mondo del claim salutistici per prodotti alimentari e’ regolato molto attentamente dalla FDA e dalla Federal Trade Commission (FTC). In USA i claim sui valori nutrizionali e/o salutisti dei prodotti alimentari si dividono in tre macrocategorie:
- Nutrient content claims, costruiti sulla base della percentuale di presenza di un determinato elemento nutrizionale nel prodotto (per esempio claim come “eccellente fonte di fibre”, “buona fonte di calcio”, “povero di sodio”…);
- Structure function claims, che descrivono gli effetti di un elemento nutrizionale presente nel prodotto sul corpo umano, ma NON si riferiscono a una particolare patologia (per esempio “contribuisce a generare un senso di sazietà”);
- Health claims, che descrivono le proprietà di un elemento nutrizionale nel prevenire o curare una patologia (per esempio “diete povere di grassi saturi riducono il rischio di patologie al cuore”)
La legislazione USA è oggi molto precisa circa la terminologia ammissibile per i nutrient content claims. Tavole online di facile consultazionevii elencano esattamente quando si possono riportare le diciture “free” (libero, senza), “low” (a basso contenuto di), “reduced/less” (ridotto) nei diversi casi di calorie, grassi, colesterolo, sodio, zuccheri.
La creazione di Structure function claims e Health claims e’ più complessa e richiede una specifica valutazione sui singoli casi. In termini generali, gli health claims richiedono tutti senza eccezioni un’approvazione preventiva da parte della FDA, che comporta nella maggior parte dei casi il dovere di una fase di test riconosciuta dalla autorità USA. Si rimanda a un contatto diretto con gli uffici della FDA per ulteriori informazioni a questo proposito, e in particolare alla pagine web cm111447.htm, che offre una overview sui differenti tipi di claim e i casi di possibile utilizzo. Un elenco degli health claims che sono già oggi stati approvati dalla FDA e quindi si possono utilizzare, diviso per categorie di ingredienti, e’ infine disponibile alla pagina /ucm2006876.htm
Gli obblighi di comunicazione e la registrazione degli impianti
Le norme che regolano gli obblighi di comunicazione e di registrazione degli impianti sono la “Public Health Security and Bioterrorism Preparedness and Response Act” (“Atto di Predisposizione e Risposta per la Sicurezza della Salute Pubblica”), conosciuta come Bio-Terrorism Act o BTA, del 2002 e la FDA Food Safety Modernization Act (FSMA), promulgata nel 2011.
Invio di campioni in USA
L’invio di campionatura e’ equiparato alla spedizione di qualsiasi altro prodotto per quanto riguarda gli obblighi di comunicazione e di documentazione; tuttavia, i campioni non devono essere etichettati secondo le normative USA. Al momento della spedizione dei campioni, e’ necessario specificare “Sample – Not for sale” sulla fattura e su ciascun singolo prodotto da spedire.
I capisaldi della legge, per quanto riguarda le esportazioni di prodotti alimentari, sono:
- registrazione presso la FDA degli impianti dell’azienda esportatrice;
- nomina di un agente negli USA da parte dell’impresa esportatrice;
- obbligo di notifica (prior notice) di qualsiasi spedizione di prodotti
alimentari negli USA, inclusi i campioni.
Gli articoli che manchino di soddisfare ai requisiti espressi da questa legge non sono ammessi nel mercato USA, ma vengono generalmente trattenuti in dogana, distrutti o trasferiti in deposito sicuro. Altre eventuali conseguenze per l’azienda (ingiunzioni, perseguimento legale, confisca, distruzione, multe, e sanzioni) vengono stabilite caso per caso.
La registrazione degli impianti
Devono registrarsi tutti gli stabilimenti che producono, trasformano, confezionano o detengono alimenti per il consumo di persone o animali negli USAviii La registrazione è gratuita e veloce e deve essere rinnovata ogni due anni (dal 1 ottobre al 31 dicembre di ciascun anno dispari). Si può effettuare online al FDA Unified Registration and Listing Systems (FURLS) presso il sito https://www.access.fda.gov. Nella registrazione viene chiesto di indicare il nome dello stabilimento, dell’impresa, del titolare; i marchi utilizzati; i prodotti trattati; un agente USA e recapiti telefonici di emergenza.
Informazioni addizionali non sono obbligatorie, ma incentivate, soprattutto nei casi in cui la categoria di prodotto non rientri nei parametri definiti dal regolamento FDA. Le informazioni inserite nella registrazione sono tutelate e non pubbliche. Per assistenza durante il processo di registrazione si può contattare l’Online Registration Help Desk della FDA al numero 001.301.575.0156.
Il processo di registrazione inizia con la creazione di un nuovo account, al termine del quale vengono assegnati un Account ID e una password. Account ID e password sono personali e vanno conservati con cura, perché garantiscono la possibilità di accedere al sito per modificare/rinnovare i dati in caso di cambiamenti rilevanti della situazione aziendale. In altre parole, account ID e password serviranno anche molti anni dopo che l’account e’ stato creato, in particolare per il rinnovo biennale. In caso di smarrimento o perdita di questi dati, si consiglia comunque di contattare l’Help Desk sempre al numero 001.301.575.0156. Una volta completata la registrazione, alla società viene assegnato un Registration Number (diverso dall’account ID) che deve essere indicato nelle fatture e in generale in qualsiasi comunicazione dell’azienda con l’FDA. Per ulteriori informazioni si suggerisce di consultare l’Account Management Questions & Answer dell’FDA alla pagina:
m081610.htm
La nomina di un agente
Contestualmente all’iscrizione presso la FDA, e’ necessario nominare un agente che rappresenti l’azienda in maniera indiretta nel mercato Americano, pena l’accesso negato alla merce spedita. “Agente” può essere qualsiasi persona fisica o giuridica di fiducia dell’azienda che risieda legalmente negli USA. L’Agente funge da tramite nelle comunicazioni urgenti tra FDA e impresa, a meno che l’impresa non decida di segnalare un differente recapito per le comunicazioni urgenti. I compiti dell’agente quindi sono:
- Gestire le comunicazioni fra la FDA e lo stabilimento. Diventare quindi un mezzo di comunicazione tra il Governo degli Stati Uniti e l’azienda interessata.
- Far pervenire all’azienda tempestivamente qualsiasi informazione/documento ricevuto da parte della FDA o da altra autorità americana
A seguito di modifiche introdotte nel 2012, l’agente e’ inoltre responsabile finanziario in caso di ispezioni da parte di agenti FDA presso gli stabilimenti di produzione. In altre parole, nel caso di una ispezione FDA presso uno stabilimento in Italia, il costo orario per ciascun agente ispettore ($302 all’ora per il 2014) sarà addebitato da parte della FDA all’agente.
La prior notice e il “10+2 filling requirement”
La prior notice è una notifica di importazione di alimenti alla FDA, richiesta all’importatore/custom broker per lo sdoganamento di quasi tutti i prodotti alimentari. La prior notice è regolata attraverso l’utilizzo del sistema elettronico detto Automated Broker Interface (ABI) o tramite un sistema elettronico detto PNSI – Prior Notice System Interface. La prior notice deve contenere informazioni su ogni articolo oggetto di spedizione, incluso il nome comune o abituale o il nome commerciale, la quantità dei singoli articoli e prodotti inviati, fin dall’imballo più piccolo e il numero del lotto o codice o altro identificativo presente sulla confezione.
Tale procedura è tuttora in vigore; a partire da Gennaio 2010 ad essa e’ stato inoltre affiancato l’obbligo di comunicazione detto Importer Security Filing (ISF) o più comunemente “10+2 filing requirement”, che non deve essere compilato dall’esportatore, ma dall’importatore e dallo spedizioniere. Compito dell’esportatore sarà garantire che questi due soggetti ricevano in tempo utile le informazioni corrette per procedere deve essere comunicato alle autorità doganali non meno di 24 ore prima della spedizione di prodotti dall’Italia. Le informazioni che vengono richieste sono: Nome, indirizzo e riferimenti del produttore; Nome, indirizzo e riferimenti del venditore (esportatore); Nome, indirizzo e riferimenti del compratore (importatore); Destinazione finale della merce; Luogo in cui la merce e’ caricata; Nome, indirizzo e riferimenti del consolidatore; Internal Revenue Number dell’importatore (o in alcuni specifici casi Foreign Trade Zone applicant ID number); Internal Revenue Number del destinatario finale; Paese di origine; Codice prodotto dell’Harmonized Tariff Schedule (HTS)
Per ulteriori informazioni si invita a consultare il sito https://www.fda.gov/food/food-imports-exports/importing-food-products-united-states ucm2006836.htm, o entry/cargo-security/importer-security-filing-102
Dazi e tariffe
L’Harmonized Tariff Schedule
La United States International Trade Commission (Office of Tariff Affairs and Trade Agreements) è responsabile per la pubblicazione dell’Harmonized Tariff Schedule of the United States (HTS). L’HTS fornisce dazi e tariffe applicabili a tutta la merce importata negli Stati Uniti. Una versione aggiornata dell’HTS, diviso per capitolo e’ consultabile al sito https://hts.usitc.gov/current. I dazi si pagano all’arrivo della merce, entro 10 giorni dallo sdoganamento (pena penali). Sono generalmente liquidati dall’agente doganale o dall’importatore.
Le tavole dell’HTS vanno consultate secondo lo schema proposto nella figura sotto.
Figura 2: come “leggere” l’Harmonized Tariff Schedule
Il sistema di ricerca CROSS
Un strumento utile per orientarsi nelle classificazioni e nelle tariffe previste dall’HTS per specifici prodotti e’ costituito dal sistema di ricerca online CROSS. ). L’acronimo
livello di dettaglio di sei numeri. In aggiunta, alle compagnie aeree o di navigazione verranno richieste le seguenti informazioni: Vessel Stow Plan che indichi la localizzazione di ciascun container all’interno del mezzo; Container status messages (CSM) con informazioni sui movimenti e cambiamenti di status di ogni container CROSS sta per Customs Rulings Online Search System. Si tratta di un motore di ricerca di informazioni sulla regolamentazione CBP, capace di recuperare informazioni all’interno del sito utilizzando parole-chiave (tipicamente il nome o la descrizione del prodotto che si intende esportare). L’esportatore può facilmente accedere alla pagina web del sistema ed effettuare una prima ricerca informativa sui dazi doganali esistenti per il proprio prodotto da esportare. I risultati ottenuti sono presentati come una lista di documenti e norme (casi di esportazione di prodotti simili) ordinati per data salvo diversa specifica.
Le quote di importazione
La quota di importazione esprime un vincolo alla quantità di una certa merce che può essere importata per un certo periodo di tempo. Esistono due tipi di quote di importazione negli Stati Uniti:
- Absolute quotas (quote assolute): ammettono l’importazione di una determinata quantità prestabilita di una certa merce per un periodo di tempo. In alcuni casi, possono essere rivolte a specifici Paesi; altrimenti valgono su base mondiale. Esportare merce in eccesso significa violare le regole, e nella maggior parte dei casi la merce in eccesso viene rispedita indietro a carico del mittente o distrutta.
- Tariff-rate quotas: prevedono dazi doganali più alti per le importazioni di un prodotto che eccede una certa soglia. In questo caso, quindi, non e’ prevista una limitazione quantitativa alla merce che si può importare (la merce non viene rispedita indietro o distrutta), ma la quantità in eccesso sottostà a differenti regimi tariffari.
Specifiche su alcune categorie di prodotti alimentari
Olio d’oliva
L’olio è considerato un prodotto salutare e come tale, dal novembre 2004, la Food and Drug Administration ha concesso l’uso della seguente dicitura per gli oli d’oliva: “Limited and not conclusive scientific evidence suggests that eating about 2 tablespoons (23 grams) of olive oil daily may reduce the risk of coronary heart disease due to the monounsaturated fat in olive oil. To achieve this possible benefit, olive oil is to replace a similar amount of saturated fat and not increase the total number of calories you eat in a day.”
Per quanto riguarda il Paese di provenienza (“Country of Origin”), la legge (Code of Federal Regulation, 19 CFR 134.46) prevede che l’etichetta riporti l’origine delle olive nel caso in cui queste provengano da differenti Paesi; mancano tuttavia norme che regolino la grandezza del font con cui queste informazioni vanno presentate (infatti sono quasi sempre inserite in etichetta in caratteri piccolissimi e di difficile lettura).
Di pari, non e’ richiesto di indicare le percentuali di olive usate da ciascun Paese.
Parmigiano Reggiano
Il Parmigiano Reggiano e’ soggetto a tariff-quotas. Per pagare un dazio minore su questi prodotti va quindi richiesta una licenza, rilasciata dalla USDA. Nel caso in cui l’importatore sia anche la subsidiary (filiale) statunitense di un produttore italiano, quest’ultimo ha diritto di fare richiesta di quote presso l’Unione Europea. In questo caso, le licenze saranno assegnate sempre all’importatore/filiale da parte della USDA, su segnalazione dell’Unione Europea. Per i prodotti caseari importati è inoltre generalmente previsto il certificato sanitario rilasciato dalle ASL locali.
Figura 3: le Tariff Quotas per il Parmigiano Reggiano
Prosciutto, salami e altri salumi
Il 25 maggio 2013 l’USDA-APHIS (Animal and Plant Health Inspection Service) ha rimosso il bando esistente per le importazioni dall’Italia per le cured meats non stagionate per le regioni Lombardia, Emilia, Veneto, Piemonte e le province autonome di Trento/Bolzano, i cui suini non sono più considerati a rischio di malattia vescicolare (swine vesicular disease).
La liberalizzazione delle cured meats di provenienza italiana ha dei tempi non ancora certi (e’ stato rimosso il bando; tuttavia al momento di scrivere questo rapporto non e’ ancora chiaro quali standard – dettati dall’Inspection Service – debbano essere rispettati dalle aziende produttrici). Si tratta tuttavia di una vera “rivoluzione” per le esportazioni italiane, che secondo gli esperti dovrebbe aprire un nuovo mercato di centinaia di milioni di dollari.
Nonostante le liberalizzazioni citate, è molto complesso esportare carni e pollame dall’Italia negli USA. Quasi tutte le esportazioni di questi alimenti dall’Italia sono oggi vietate; fanno eccezione prodotti precotti, confezionati in lattina e prodotti di carne suina. Per informazioni e dettagli aggiornati su cosa e’ possibile esportare dall’Italia e cosa no, si consiglia comunque di contattare gli uffici FDA o FSIS e in particolare l’USDA Meat & Poultry Hotline allo 001.888.674.6854 (email mphotline.fsis@usda.gov).
Ad oggi, tutti i prodotti che si possono esportare devono comunque provenire da stabilimenti e mattatoi iscritti nella lista degli stabilimenti approvati dalla USDA. Le domande di iscrizione a tale lista, in Italia, vanno indirizzate al Ministero della Salute, per il tramite della ASL e della Regione. A tale domande vanno accluse l’attestazione di conferma del veterinario ufficiale circa la predisposizione di procedure standard di sanificazione (SSOP), dell’Hazard Analysis and Critical Control Points (HACCP), e del rispetto degli standard USDA-FSIS per salmonella. In seguito si procederà al sopralluogo ministeriale dello stabilimento. In aggiunta a questo, sono previste visite dirette del FSIS (previste nel programma “international audit”), volte a verificare che il sistema ispettivo del Paese rispetti i requisiti del Federal Meat Inspection Act, e del Poultry Products Inspection Act.
Le autorità americane del FSIS e dell’APHIS consentono l’esportazione verso gli Stati Uniti di prodotti a base di carne cotta (mortadelle, prosciutti cotti), sottoposti a trattamento termico che consenta il raggiungimento di 69°C al cuore del prodotto in modo da assicurare l’eliminazione degli agenti virali della malattia vescicolare del suino (MVS).
I prodotti a base di carne cruda (o a trattamento termico inferiore a 69°C) sono quelli più direttamente toccati dalla liberalizzazione citata. Dal 25 maggio 2013, in aggiunta prodotti a a stagionatura superiore a 400 giorni (come nel caso del Prosciutto di Parma o del Prosciutto San Daniele), già esportabili da anni, e’ stata ammessa l’importazione dall’Italia per le cured meats non stagionate (salami, culatello, pancetta, coppa per citare alcuni esempi) per le regioni Lombardia, Emilia, Veneto, Piemonte e le province autonome di Trento/Bolzano.
Altre regole e standard sono fissate discrezionalmente dalle singole catene di distribuzione. A titolo di esempio, la catena Whole Foods non accetta alcun prodotto di salumeria in cui il suino sia stato trattato con antibiotici.
Verdure in scatola
Per quanto riguarda le verdure in scatola, la variabile chiave da considerare prima di esportare in USA è il livello di acidità di ogni prodotto. Infatti qualsiasi cibo in scatola a basso livello di acidità (PH superiore a 4.6) deve essere preventivamente registrato presso la FDA.
La registrazione per prodotti in scatola a basso contenuto di acidità si effettua al sito http://www.access.fda.gov (lo stesso della registrazione degli impianti) alla voce “FURLS Acidified/Low Acid Canned Food”. La domanda di registrazione deve essere comprensiva dell’elenco degli ingredienti, della descrizione dei metodi di lavorazione, tempi di cottura e temperature, dei tipi di confezionamento e di un esempio di etichetta.
Esempi dei format che andranno compilati a seconda della tipologia di prodotto sono disponibili alla pagina web idifiedLACFRegistration/ucm2007436.htm.
Una volta registrata, l’azienda entrerà in possesso di un codice FCE (Food Canning Establishment) e dei codici SID (Submission Identifier) relativi ad ogni singolo prodotto.
Tonno in scatola
La categoria del tonno in scatola appare molto restrittiva quanto alle procedure per esportare. Questo e’ vero tanto nel caso di tonno inscatolato in olio d’oliva, che e’ soggetto a un dazio tariffario particolarmente elevato (35%), quanto nel caso del tonno inscatolato in acqua, per il quale prodotto il dazio e’ più basso (12,5%) ma vige un sistema di quote all’importazione.
In aggiunta, e’ pratica comune in USA per questo prodotto la presentazione nel package del logo “Dophin Safe”, rilasciato dalle autorità sanitarie sulla base delle pratiche di pesca adottate. Tale logo non e’ necessario da un punto di vista legale per esportare negli Stati Uniti; tuttavia alcune importanti catene lo richiedono per poter considerare il prodotto.
Vini e Liquori
La categoria dei vini e dei liquori costituisce un vero a proprio “mondo a parte” rispetto alla distribuzione alimentare in USA. Questo è vero perché nel caso dei vini e liquori la legislazione americana e’ particolarmente complessax e varia da Stato a Stato (in alcuni casi da città a città all’interno di un singolo Stato). Si ritiene quindi indispensabile presentare una breve overview per le esportazioni di questi prodotti come un capitolo separato dalle altre categorie. Come già precisato, si ribadisce che il contenuto di questo capitolo vuole avere puro scopo di primo orientamento, e non può sostituire il rapporto diretto con un importatore USA in grado di seguire passo passo l’azienda italiana nella fase di ingresso sul mercato USA.
– USDT (United States Department of the Treasury) e’ il Ministero del Tesoro USA. Si dirama in agenzie tra cui la TTB (Alcohol and Tobacco Tax and Trade Bureau). La TTB e’ un organo costituito in seguito all’HSA
x Il sistema di norme risale ai tempi del proibizionismo, e’ non e’ mai stato interamente sostituito da un corpo organico di leggi, ma si e’ invece stratificata anno dopo anno una legislazione diversificata tra livello federale, statale e di singola Contea
Importazione di vini e liquori in USA: principali attori coinvolti
A livello federale, la normativa sulle importazione di prodotti alcolici negli USA e’ regolata dai seguenti Dipartimenti:
(Homeland Security Act) del 2002, che ha tra gli altri compiti quello di autorizzare etichette, vietare la pubblicità ingannevole per le bevande alcoliche, condurre le analisi e monitorarne le importazioni. E’ l’ente di riferimento più importante per l’importazione di vini negli USA. Informazioni e contatti relativi agli uffici TTB sono visibili alla pagina web
– HHS (Department of Health and Human Services)/FDA (Food and Drug Administration) già presentate nella trattazione relativa ai prodotti alimentari
– DHS (Department of Homeland Security)/CBP (Custom and Border Protection), già presentati nella trattazione relativa ai prodotti alimentari
Come accennato in sede di premessa, nel caso dei vini e liquori sono inoltre particolarmente importanti le autorità dei singoli Stati, che godono di grande autonomia e possono dettare regolamenti in tema di importazione, distribuzione e tassazione delle bevande alcoliche tra loro differenti. L’elenco completo di tutte le Agenzie statali di regolamentazione su vino e bevande alcoliche (Alcohol Beverage Control Board) e’ disponibile alla pagina web ABC.shtml.
Si riportano, a titolo di esempio, le Agenzie di cinque Stati che rappresentano i principali mercati di vino negli USA:
– New York State Liquor Authority http://www.abc.state.ny.us
– California Department of Alcoholic Beverage Control: http://www.abc.ca.gov – Illinois Liquor Control Commission: http://www.state.il.us/lcc/default.htm
– Texas Alcoholic Beverage Commission: http://www.tabc.state.tx.us – Florida Division of Alcoholic Beverages and Tobacco: http://www.myfloridalicense.com/dbpr/abt/index.html
E’ possibile contattare queste Agenzie anche per avere liste e informazioni degli importatori con licenza, quindi autorizzati a importare).
Il prodotto e i controlli
Per esportare vino negli Stati Uniti è in primo luogo necessario che i contenitori rispettino precise capacità. I contenitori consentiti sono quelli da multipli di litro (es. 3 litri, 4 litri…), 1,5 litri, 1 litro, 750 ml, 500 ml, 375 ml, 187 ml, 100 ml e 50 mlxi. Per ulteriori informazioni relative alle procedure di imballaggio e spedizione, si raccomanda di rivolgersi a corrieri con servizi specializzati in questo settore.
Generalmente, La TTB non prevede particolari controlli sulle importazioni di bevande alcoliche di provenienza dall’Italia, dal momento che gli standard validi nel nostro Paese per esportare sono recepiti e accettati in America. In alcuni casi, tuttavia, e particolarmente per bevande alcoliche
xi Anche la forma dei contenitori e’ regolamentata, allo scopo di evitare che essi possano dare un’idea ingannevole del contenuto. Per questo motivo, il vuoto interno (lo spazio non riempito di vino) della bottiglia non deve superare il 6% della capacità totale di bottiglie da 187 ML ed oltre, e il 10% per le altre bottiglie che contengono aromi e/o coloranti, o per elevate gradazioni alcoliche, è richiesta una procedura preliminare di verifica del prodotto. Tale procedura e’ chiamata “pre-COLA” e prevede analisi in laboratorio di campioni volte a verificare che quanto riportato nell’etichetta sia veritiero e non ingannevole. Per ulteriori informazioni, si invita a visitare la pagina web . Una lista completa e aggiornata dei vini che sono oggi soggetto a verifiche “pre-COLA” e’ disponibile all’indirizzo internet al sito ; ad ogni modo, la notifica della necessità di una verifica di questo viene notificata dall’importatore al produttore. In aggiunta alle procedure del “pre-COLA”, sono ovviamente previste in dogana ispezioni casuali su prodotto al momento del loro arrivo nel porto d’entrata, a cura delle autorità doganali (CBP).
Le etichette
Qualsiasi bevanda alcolica che si intenda esportare negli USA deve essere etichettata secondo i canoni regolamentati dal TTB. Ciascuna etichetta deve quindi essere obbligatoriamente approvata dalla TTB prima che la spedizione venga effettuata. Da un punto di vista procedurale, è l’importatore a richiedere che l’etichetta sia autorizzata. Tale autorizzazione è richiesta attraverso il modulo “COLA” (Certificate Of Label Approval). La domanda si può presentare online tramite registrazione al sito https://www.ttbonline.gov/colasonline/; o in formato cartaceo (un esempio di modulo e’ disponibile all’indirizzo http://www.ttb.gov/forms/f510031.pdf)
Una volta ottenuta l’autorizzazione dell’etichetta per il mercato USA, il produttore può stamparla in larga scala e applicarla alle bottiglie da esportare. Farlo prima è rischioso, anche perché la TTB è autorizzata a cambiare le regole per le etichettature e, non infrequentemente, lo fa. Una volta approvata, l’etichetta non può essere modificata. Apportare anche il più lieve cambiamento su un’etichetta già approvata dalla TTB, infatti, generalmente basta per rendere tale autorizzazione nulla.
Il sistema di etichettatura USA e’ costruito con lo scopo di aiutare e guidare il consumatore affinché il processo di scelta avvenga nel modo più consapevole possibile, garantendo informazioni adeguate ed evitando “inganni” di vario tipo. Per questo motivo, le etichette di bevande alcoliche vendute negli USA devono tutte indicare (sul back), in lingua inglese, con carattere di almeno 2 mm:
- Nome della Marca. Nel caso in cui il nome sia un luogo geografico, ad esso va associata la parola “brand” scritta a dimensioni di almeno la metà del nome della marca;
- Origine: è il nome del luogo in cui cresce almeno il 75% dell’uva utilizzata per la produzione del vino. Può essere il nome di un Paese, uno Stato o di una regione geografica. Ad essa può essere associata l’indicazione di denominazione d’origine controllata (es. D.O.C.)
- Varietà: e’ il nome del vitigno utilizzato (es. Cabernet, Chardonnay…). Tale dicitura si può utilizzare nel caso di vini non DOC purché da un singolo vitigno provenga non meno del 75% dell’uva necessaria per la produzione di quel vino.
- Nome e Indirizzo del produttore, imbottigliatore o esportatore. La dicitura deve iniziare con “PRODUCED AND BOTTLED BY” “BOTTLED BY o “ESTATE BOTTLED BY”. Quest’ultima dicitura si può applicare nel caso in cui il 100% del vino provenga da uve cresciuta su terre controllate o di proprietà dell’azienda vinicola, situata in un’area dove si pratica viticultura, e che il vino venga prodotto nella stessa area.
- Paese di Provenienza (es. Product of Italy);
- Contenuto netto (“net content”), espresso come segue: 750 ML
o 1.5 L. Sono inaccettabili diciture come 1,5L o 75 CL o 750 ml. E’ permesso di non stampare la quantità sull’etichetta qualora questa sia già impressa o soffiata sul vetro della bottiglia.
- Contenuto Alcolico (scritto a carattere non più alto di 3 mm – si noti che la divisione decimale va riportata con il punto, non con la virgola). Se il contenuto alcolico varia tra 7% e 14% si possono utilizzare le diciture “Table Wine” o “Light Wine” al posto dell’indicazione dei gradi.
- Government Warning (scritto in grassetto e a carattere non più alto di 3 mm). I due punti che fanno parte degli Avvisi Governativi devono essere indicati da una numerazione che appare tra parentesi. Quindi: GOVERNMENT WARNING: (1) ACCORDING TO THE SURGEON GENERAL, WOMEN SHOULD NOT DRINK ALCOHOLIC BEVERAGES DURING PREGNANCY BECAUSE OF THE RISK OF BIRTH DEFECTS. (2) CONSUMPTION OF ALCOHOLIC BEVERAGES IMPAIRS YOUR ABILITY TO DRIVE A CAR OR OPERATE MACHINERY, AND MAY CAUSE HEALTH PROBLEMS.
- Solfiti: La dicitura “Contains Sulfites” deve apparire a parte e separato dal Government Warning. E’ obbligatoria nel caso in cui il prodotto contenga ossido di solfo in parti eccedenti 10 parti su un milione.
- Nome e l’indirizzo dell’importatore autorizzato.
L’indicazione dell’annata può essere indicata nell’etichetta qualora non meno del 95% delle uve utilizzate sia stato vendemmiato nell’anno indicato. Nel caso in cui il prodotto sia stato trattato con coloranti, questo deve essere indicato nell’etichetta sul front attraverso le diciture “Certified Color” o “Artificially Colored”. L’utilizzo del colorante FD & C Yellow NR 5 deve essere espressamente indicato. L’etichetta posteriore deve, infine, lasciare sufficiente spazio libero per il codice a barre. Notare che il Sistema Europeo è diverso da quello degli Stati Uniti. Il Sistema Europeo prevede 13 numeri, mentre quello americano ne ha 12.
Esempi concreti di etichette di vino sono presentati alla pagina (si raccomanda di considerare la categoria “vini importati”)
Gli obblighi di comunicazione e la registrazione degli impianti
Gli obblighi di comunicazione e di registrazione degli impianti sono identici a quanto già presentato nel caso dei prodotti alimentari. Si rimanda quindi la trattazione di questo argomento al capitolo a tema.
L’invio di campioni
Con campioni si intendono piccoli quantitativi di bevande alcoliche da inviare negli USA senza scopi di vendita o di consumo, ma per essere presentati a manifestazioni fieristiche o a distributori potenzialmente interessati. L’invio di campionatura e’ equiparato a una normale spedizione per quanto riguarda gli obblighi di comunicazione e di documentazione (quindi occorre un importatore con licenza anche in questo caso); tuttavia, i campioni non devono essere etichettati secondo le normative USA. Ciascun prodotto deve comunque specificare la dicitura “Samples – Not For Sale”; il Governement Warning (si veda paragrafo a tema) e la dicitura “Contains Sulfites”. Esperti consigliano di indicare comunque e sempre su ogni bottiglia, anche nel caso di invio di campioni, il nome e il numero di licenza dell’importatore autorizzato.
Per inviare campioni di bevande alcoliche il produttore (direttamente o tramite l’importatore), deve ottenere il COLA Waiver, inviando una lettera su carta intestata, contenente informazioni sulla quantità del campionario, la tipologia dei prodotti, il nome dell’evento/fiera e il numero della licenza di importazione alcolici dell’operatore americano. La lettera deve essere inviata agli uffici della TTB per email all’indirizzo ITD@ttb.gov o per fax al numero 001.202.453.2970. Un fac-simile di questa lettera e’ disponibile all’indirizzo . Per ulteriori informazioni .
Dazi doganali e tasse
Per quanto riguarda i dazi doganali, previsti nell’Harmonized Tariff Schedule, si rimanda alla trattazione a tema già presentata nel capitolo sui prodotti alimentari.
Le tasse federali variano in base alla tipologia di prodotto. Si riporta nello schema sotto una tabella aggiornata delle tasse federali per le principali categorie di bevande alcoliche (fonte: .
Figura 4: tasse federali sui prodotti alcolici
Il sistema di tassazione dei singoli Stati del vino e delle bevande alcoliche è particolarmente complesso e articolato. L’elenco più aggiornato delle aliquote e delle principali note relative alle tasse sul vino di tutti e cinquanta Stati dell’Unione e’ disponibile online al sito (l’ultimo aggiornamento e’ del gennaio 2014). Si suggerisce tuttavia fortemente di contattare le Agenzie statali per le bevande alcoliche il cui elenco e’ presentato all’inizio di questo capitolo per avere notizie ogni volta aggiornate e precisamente riferite al prodotto che si intende esportare. Tale suggerimento e’ ancora più importante per il fatto che non infrequentemente, per questi prodotti, sono proprio le tasse statali a rappresentare la quota più consistente del totale della tassazione.
SEZIONE II: A CHI VENDERE
I consumatori target e le tendenze della distribuzione
Analisi della domanda e
dell’offerta’ di specialita’
alimentari negli Stati Uniti
La sezione cercherà di rispondere alla domanda “a chi vendere?”, ovvero chiarire quali sono secondo le opinioni degli esperti i riferimenti di consumatori e di insegne più sensibili alla qualità del nostro prodotto e quindi da approcciare in via prioritaria. La sezione partirà da una descrizione dei foodies e degli “health conscious consumers”, la nuova generazione di consumatori USA che è alla base del trend di incremento qualitativo dell’offerta nei supermercati e ristoranti americani registrato in questi anni.
Il secondo capitolo affronterà in maggiore dettaglio il tema della distribuzione, in primo luogo illustrando quali sono le categorie di insegne che competono negli Stati Uniti; e in seguito chiarendo che esiste una nuova generazione di insegne, che chiamiamo “trend setting retailers” che seguendo la domanda dei foodies presta particolare attenzione al tema della qualità e dell’autenticità’ dell’offerta. Infine, il terzo capitolo sarà dedicato alla distribuzione del fuori casa, anche in questo caso chiarendo le dinamiche e le tendenze che stanno portando in questi anni a un deciso miglioramento dell’offerta e, di conseguenza, a nuove opportunità per i nostri produttori.
Premessa: la domanda dei foodies e degli “health conscious consumers”
In sede di premessa, si ritiene necessario tracciare il profilo dei consumatori ideali per le specialita’ italiane in USA: i foodie e gli “health conscious consumers”.
I foodies rappresentano un insieme di consumatori che, pure con differenze anche profonde tra loro, rispondono ad alcune caratteristiche comuni. I foodies quasi sempre vivono in aree metropolitane e hanno un reddito annuo non inferiore ai 75,000 dollari. Per quanto riguarda l’atteggiamento rispetto al cibo i foodies si distinguono per due motivi: sanno riconoscere la qualità del cibo e sono sempre curiosi di sperimentare nuove ricette. Quella dei foodies rappresenta una nuova generazione di consumatori, in crescita costante ma già oggi molto affermata. Si stima che oggi negli Stati Uniti esistano oltre 40 milioni di foodiesxii.
“La domanda e l’offerta di prodotti alimentari italiani in Nord America”, 2008
Scarsa
Food Dabblers
FOODIE
Not interested
Food Snob
Elevata
Capacita’ di riconoscere la qualita’ del cibo
Figura 5: fonte MRA
I foodies amano l’Italia e tutto ciò che e’ italiano, non solo (ma soprattutto) in campo alimentare. Sono interessatissimi a conoscere le storie dei nostri prodotti e a capire perché il luogo di produzione e’ di grande importanza. Inoltre, i foodies sono la capacità di recepire gli stimoli provenienti da fonti più diverse in nuove ricette (il foodie e’ un early adaptor) e la creatività (a volte addirittura avventurosità) in cucina.
I foodies costiuiscono un “buon” target anche perché influenzano le decisioni di acquisto degli altri consumatori e sono facilmente approcciabili con azioni promozionali attraverso newsmagazine specializzati e canali televisivi dedicati (food channels).
Il foodie ama acquistare prodotti di qualità in primo luogo per se stesso e non ama l’acquisto impulsivo, ovvero entra nel punto vendita già con le idee abbastanza chiare su che prodotto acquistare (se non la marca, la categoria). E’ un consumatore tendenzialmente fedele; più che al brand, all’insegna dei negozi dove va a fare la spesa e di cui ha imparato a fidarsi: se si fida del punto vendita, il foodie generalmente tende a dare per scontato che la qualità dei prodotti in esso offerti sia ottima.
In parallelo al fortissimo sviluppo di questa categoria di consumatori, si assiste oggi negli USA a un altro fenomeno per molti aspetti collegato: il grande incremento di consumatori attentissimi alle proprietà nutrizionali e salutari dei prodotti. Chiamiamo questi consumatori “Health conscious consumers”.
Le due categorie di consumatori hanno forti sovrapposizioni (è evidente che i prodotti di alta qualità ricercati dal foodie sono quasi sempre più sani dei prodotti italian sounding e offrono migliori proprietà nutrizionali), e tuttavia foodies e “health conscious” consumers non coincidono. L’interesse dei foodie per il cibo è motivato infatti da una profonda passione per i sapori e per le loro possibili combinazioni, più che da una ricerca di alimenti benefici e salutari.
Curiosita’ vs. nuove ricette Scarsa Elevata
Gli health conscious consumer presentano invece alcune caratteristiche peculiari quali:
- Estrema attenzione agli ingredienti e ai valori nutrizionali del cibo, visto come fonte di energie pulite e salutari per l’organismo ancora prima che come fonte di piacere per il palato;
- Propensione alla scelta di alimenti biologici e organici, non-GMO e possibilmente senza glutine;
- Studio attento e continuo delle proprietà degli alimenti e dei loro effetti sul corpo umano;
- Disponibilità a pagare un prezzo premio per prodotti che abbiano alti valori nutrizionali e che siano prodotti in modo naturale, senza alterazione degli ingredienti o delle proprietà nutritive.
E’ proprio la diffusione in America di questo tipo di consumatore a spiegare fenomeni in forte ascesa quali l’aumento della produzione biologica (USDA Organic) e dell’offerta gluten free. La domanda di prodotti senza glutine e’ ormai un fenomeno che travalica grandemente il solo segmento dei celiaci o di consumatori con specifiche intolleranze alimentari. Si tratta di un mercato trasversale, che vale oggi negli USA oltre quattro miliardi di dollari. La grande e crescente popolarità del gluten free in America e’ dovuta anche al fatto che spesso sono i medici nutrizionisti a consigliare di seguire questo tipo di dieta ai loro pazienti.
La distribuzione retail
e i “trend setting retailers”Overview
Negli Stati Uniti, più che in altri Paesi, la distribuzione retail dei prodotti alimentari è varia e articolata ben oltre il solo sistema dei supermercatixiii. Prodotti alimentari sono infatti venduti negli USA nei più disparati format, dai superstores/mass merchants (come Wal Mart), alle pharmacies solo per citare due esempi.
In questo contesto, ricerche già condottexiv hanno identificato una categoria di insegne che e’ trasversale rispetto alle classificazioni tradizionali e rappresenta il target ideale per la produzione italiana di specialita’. Chiamiamo questo target di distribuzione i “trend setting retailers”.
La categoria dei trend setting retailers si definisce in primo luogo per posizionamento: le insegne offrono prodotti qualitativamente migliori e più autentici dei supermercati tradizionali, anche se non sono
xiii Il supermercato e’ definito come un punto vendita (grocery store) che offre una selezione di circa 15,000 prodotti e che fatturano almeno due milioni di dollari l’anno per punto vendita.
xiv A partire dal rapporto “La domande e l’offerta di prodotti alimentari italiani negli Stati Uniti”, MRA 2008 esclusivamente concentrati sulle produzioni italiane, come i singoli negozi indipendenti o le “isole italiane” oggi presenti in alcuni contesti metropolitani come New York o San Francisco.
Figura 6: il posizionamento dei “trend setting retailers”
Da un punto di vista del formato, i trend setting retailers sono:
- Specialty stores, ovvero negozi focalizzati su produzioni di
specialita’ e di eccellenza qualitativa. Esempi di specialty stores sono catene nazionali (come Whole Foods o Trader Joe’s), catene regionali (come Wegmans nel New Jersey o Kowalski’s in Minnesota) o piccole catene operative in determinati contesti metropolitani e in particolare a Manhattan e nell’area metropolitana di New York. E’ importante notare che questo format nella grande maggioranza dei casi ha l’aspetto “tradizionale” di un supermercato; sia pure con alcune differenze che saranno tracciate sotto. La loro focalizzazione sul prodotto di alta qualità tuttavia li rende differenti dai retailer alimentari tradizionali, per esempio agli occhi dei principali istituti di collezione dati sul retail alimentare in USA. In altre parole, le principali società di ricerca sul retailing alimentare negli USA, quali AC Nielsen o IRI, non raccolgono alcun dato su questo tipo di distribuzione.
- Wholesale Clubs. La loro natura di “club” si fonda sul fatto che a ciascun membro (socio) e’ richiesto di corrispondere un fee annuale per poter fare acquisti nel punto vendita. Esempi di Clubs in USA sono Costco, BJ’s e Sam’s Club (si rimanda all’appendice del rapporto per una descrizione più puntuale di ciascuna catena). Caratteristiche comuni ai Clubs sono il fatto di offrire prodotto spesso in bulks, ovvero in confezioni sensibilmente più grandi di quelle che si trovano in supermercati tradizionali, e a un prezzo molto minore, frutto di una politica di margini ridottissimi e grandi volumi. Tipicamente i clubs offrono numerosissime categorie di prodotti, e quindi non si limitano al food; tuttavia, la loro offerta nel campo alimentare e’ di qualità spesso eccellente e paragonabile a quella degli specialty stores sopra citati.
Al di là dei singoli differenti formati, le catene trend setter sono quelle che:
- Hanno una connessione più diretta e quasi “personale” con foodies e health conscious consumers. Sono, in altre parole, le insegne preferite dei foodies. Questo e’ vero in primo luogo per la qualità della loro offerta (si veda il punto sotto); ma anche perché le insegne trend setter offrono un valore di esperienza d’acquisto di gran lunga superiore a quello di catene tradizionali. Il concetto di “esperienza d’acquisto” e’ trasversale e si può forse riassumere nel “piacere di fare la spesa” indipendentemente dalla pura necessità di acquistare cibo. Esperienze di acquisto diverse dipendono, per citare alcuni esempi, dalle atmosfere “tropicali” di catene come Trader Joe’s (con banchi in legno e commessi a camicia a fiori), dalla continua interazione con personale in negozio per prove di assaggio, consigli, o dalla presenza di un sofisticato reparto “tavola calda” all’interno del punto vendita in cui servirsi per consumare un pasto senza uscire dal punto vendita; come avviene per esempio presso Whole Foods. Tutto questo contribuisce fortemente a fidelizzare il consumatore, che si fida della “sua” insegna e non sarebbe disposto a ritornare presso supermercati più tradizionali.
- Prestano maggiore attenzione alla qualità e all’autenticità dei prodotti che vendono. Numerosi progetti di ricerca hanno confermato il fatto che presso le catene “trend setter” le percentuali di prodotti ingannevoli italian sounding sono sensibilmente minori per ciascuna categoria di prodotto rispetto alle insegne tradizionali. Questo rende le catene trend setter gli ideali veicolatori dei nostri prodotti importati; anche perché i buyer di questi insegne sono a loro volta spesso profondi conoscitori dei prodotto e non focalizzano la trattativa esclusivamente sul livello di prezzo.
- Hanno dimensioni spesso considerevoli, in particolare per quanto riguarda le catene nazionali e quelle regionali sopra citate. In altre parole, ciascuna insegna trend setter conta in media decine, se non centinaia, di punti vendita negli USA e questo garantisce alla nostra produzione un buon volume di vendita, che sarebbe impensabile raggiungere solamente attraverso il target delle isole italiane o dei singoli negozi di specialita’ indipendenti.
Per questi motivi, l’analisi che viene presentata in questo rapporto si basa per la grandissima maggioranza su rilevazioni condotte presso insegne trend setter, il cui elenco e’ riportato sotto. Come si può vedere, l’insieme delle insegne visitate vale per oltre 2,500 punti vendita negli Stati Uniti.
Figura 7: le catene visitate durante questo progetto di ricerca
Avere concentrato l’analisi sulle catene trend setter significa evidentemente offrire in questo rapporto una rappresentazione del segmento alto dell’offerta alimentare statunitense. In altre parole, le analisi delle prossime sezioni offriranno uno spaccato, per esempio circa la diffusione di prodotti imitativi italiani, che riflette in grande parte il “meglio” della distribuzione alimentare attuale degli Stati Uniti.
I trend setting retailers sono gli ideali veicolatori dei prodotti italiani e per questo si ritiene debbano essere approcciati in via prioritaria dai nostri produttori. Questo non significa, tuttavia, che non esistano oggi grandi opportunità per i nostri prodotti anche presso insegne più tradizionali, che anzi spesso seguono, trainate da questa nuova generazione di retailer, le linee guida da queste tracciate. In altre parole il fenomeno dell’aumento della qualità e dell’autenticità del cibo venduto a scaffale ha origine presso i trend setter retailers, ma si va diffondendo alle catene tradizionali intenzionate a seguire il modello di grande successo da queste proposto. Per questo motivo, sapere incidere efficacemente sulla composizione dell’offerta delle catene trend setter significa tracciare le linee di sviluppo cui, presto o tardi, sono destinate ad adattarsi anche insegne più tradizionali.
Flusso di prodotto e marginalità
Le tavole sotto presentano il tipico flusso di prodotto, gli attori coinvolti e le marginalità medie praticate negli USA per prodotti di specialita’ alimentari, nei due canali trend setter degli “specialty stores” e “wholesale clubs”.
Figura 8: il flusso tipico di prodotto nel caso dei specialty stores “trend setter”.
La distribuzione di prodotti di specialita’ italiane in USA avviene tipicamente tramite DSD (Door Store Delivery) Questo sistema prevede che la merce arrivi in consegna direttamente ai singoli punti vendita delle insegne retail diffuse sul territorio.
Nel caso di prodotti importati dall’Italia, la marginalità più frequentemente riscontrata presso i distributori USA è di circa il 20-25%. Questo premesso, le politiche di margine variano grandemente tra differenti distributori, e dipendono dal prodotto (un prodotto di specialita’ che implichi una scarsa rotazione avrà marginalità maggiori); della struttura del distributore (intesa come combinazione del volume di vendita, dell’ampiezza del portfolio trattato e dell’efficacia dell’organizzazione logistica); e dal grado di accorpamento delle attività di vendita e marketing.
Le insegne dei Wholesale Clubs (si veda lo schema sotto) lavorano invece in media con marginalità molto minori. Questo e’ possibile in presenza di grandi volumi di vendita e in virtù di un modello di distribuzione differente dal DSD, che si fonda sulla presenza piattaforme in cui fare arrivare in consegna tutti i prodotti che poi saranno distribuiti ai singoli punti vendita.
Figura 9: il flusso tipico di prodotto nel caso dei Wholesale Clubs
Le evoluzioni
della distribuzione del fuori casa
Overview
Trainata dalla domanda dei foodies, anche la distribuzione alimentare del fuori casa sta conoscendo in questi anni una profonda trasformazione. Questo accade proprio perché i consumatori americani sono sempre più attenti alla qualità e all’autenticità’ delle ricette che assaporano; a maggiore ragione per il fatto che il ristorante e’ spesso il luogo in cui sperimentare nuovi sapori o nuove modalità di utilizzo di ingredienti noti (consumatori intervistati in passati progetti di ricercaxv parlano dei ristoranti come di “teatri”). Oggi in altre parole sono i foodies a pretendere la qualità nei ristoranti che frequentano, e accade che siano loro a “rimproverare” gli chef quando si accorgono che gli ingredienti utilizzati non sono autentici.
Questo comporta un trend per certi versi simile a quanto già visto nel retail. Esiste infatti una categoria che possiamo definire “trend setting restaurants”, propensi a proporre ricette che utilizzano esclusivamente ingredienti autentici. Come per il retail, le tendenze dettate da questo tipo di ristorazione hanno in questi anni effetti anche su ristoranti di livello più basso, italiani e continentali, che oggi prestano maggiore attenzione alla qualità della loro offerta.
Il riferimento e’ in particolare alla ricerca “I consumi fuori casa negli USA: la grande opportunità per i prodotti autentici italiani”, realizzato da MRA per conto della Camera di Commercio di Parma e delle Fiere di Parma nel 2012
Figura 10: i “trend setting restaurants”
L’innalzamento del livello qualitativo dei ristoranti “medio-alti” e’ un processo in corso, sia pure lento e diversificato a seconda delle categorie di prodotto. Accanto a prodotti che oggi vengono acquisiti quasi sempre autentici (come la pasta) da parte di questa categoria di ristoranti, infatti, altre categorie merceologiche italiane (come i pomodori, il formaggio, l’olio) presentano penetrazioni variabile e sono ancora oggi oggetto di vere e proprie contraffazioni in cucina. Tuttavia il trend generale e’ innegabile e questo costituisce una grandissima opportunità per le nostre aziende, proprio perché non più legata al solo “vertice alto” della piramide, ma in grado di generare interesse presso grandi catene di ristoranti nazionali con decine di punti vendita. In aggiunta, oggi a parere degli esperti intervistati il trend di innalzamento del livello qualitativo si verifica anche in canali del fuori casa diversi dalla ristorazione, quali il catering e all’interno dei Campus universitari.
Di pari, e’ cambiata la distribuzione del fuori casa negli USA. Spinti da questa domanda, i grandi distributori Horeca “generalisti” (e non più solo i distributori “etnici”) si dotano di un portfolio di prodotto autentico italiano e “spingono” sempre più le nostre specialita’. Questo trend di crescita e’ dimostrato nei fatti anche da pratiche di ri-organizzazione interna: sempre più spesso il distributore tende a creare un “nucleo” di venditori maggiormente educati al prodotto, da usare come una vera e propria “task force” per i prodotti che richiedono una formazione particolare.
Figura 11: la riorganizzazione dei distributori Horeca
Flusso di prodotto e marginalità
Flusso di prodotto, marginalità e attori coinvolti nella distribuzione del fuori casa negli Stati Uniti sono presentati nella figura sottostante. Si rimanda alla quarta sezione del rapporto per una descrizione degli aspetti chiave da considerare nel processo negoziale con i buyer della distribuzione e con i rappresentanti della ristorazione.
Figura 12: il flusso tipico di prodotto nella distribuzione del fuori casa
SEZIONE III: COSA VENDERE
Spunti utili da un esame dell’arena competitiva USA
Analisi dell’arena competitiva
USA per le categorie di prodotto
più tipiche dell’area di Parma
Scopo di questa sezione del rapporto sarà quello di presentare lo stato attuale dell’arena competitiva USA nel segmento di specialita’ per le categorie di prodotto più tipiche dell’area di Parma, così come emerso dalle rilevazioni dirette nelle insegne oggetto di rilevazione.
In maggiore dettaglio, per ciascuna categoria di prodotto si intende approfondire la struttura attuale dell’offerta nel segmento premium/di specialita’ in cui competono i nostri prodotti. Verranno quindi messi in luce i brand e il “peso” del private label, prodotti, prezzi e caratteristiche chiave in termini di ricettazione e ingredienti.
Infine, per ciascuna categoria si cercherà di stimare la diffusione di prodotto autentico rispetto a quello imitativo, che riteniamo rappresenti uno spazio di mercato da aggredire in via prioritaria da parte delle nostre imprese.
Premessa e considerazioni generali
In sede di premessa, appare utile evidenziare alcuni spunti che sono comuni alla maggior parte, se non a tutti i settori considerati.
In primo luogo e’ evidente, per tutte le categorie di prodotto, che esista in questo momento in USA una grande vivacità nel segmento di specialita’/premium, in cui competono i nostri prodotti. Trainata dalla domanda dei foodies, nuovi brand di produttori locali emergono con offerte percepite (e in alcuni casi realmente) su un livello qualitativo superiore.
Il fenomeno dell’italian sounding e’ ancora molto radicato anche nella fascia alta di mercato (“trend setting retailers”). Questo e’ a nostro avviso un’opportunità per le nostre imprese, perché il prodotto “italianeggiante” per certi versi agisce da ponte e “prepara il terreno” alla produzione autentica italiana, contribuendo a stabilire una relazione forte tra categoria di prodotto e il nostro Paese.
Si registra tuttavia un deciso incremento qualitativo (e di presentazione) dei prodotti italian sounding. In molte categorie, si può parlare di “italian sounding di seconda generazione”. Oggi accanto alle imitazioni “ingenue” (qualità bassa; riferimenti all’Italia grezzi e “folkloristici”) si affiancano sempre più brand USA che si posizionano sul segmento di specialita’ e spesso hanno prezzi paragonabili a quello del nostro prodotto importato.
Capire questo fenomeno è indispensabile oggi per avere successo negli USA. Questo tipo di competizione si può battere solo tenendo altissima la barra della qualità del nostro prodotto esportato.
1. Sughi per pasta a base di pomodoro Overview e diffusione dell’Italian sounding
Secondo le statistiche pubblicate dalla National Association for the Specitaly Food Trade (NASFT) il mercato dei sughi pronti per pasta e per pizza vale in USA circa 1,7 miliardi di dollari. Di questi, quasi mezzo miliardo di dollari afferisce al segmento di specialita’.xvi
Il legame con l’Italia e’ fortissimo ed esiste grande spazio di mercato da sottrarre al prodotto italian sounding. Si segnala tuttavia che molti produttori USA nel segmento premium offrono oggi un prodotto di qualità migliore, in diversi casi importando (o dicendo di importare) i pomodori direttamente dall’Italia. In cifre: quasi la metà del mercato e’ ancora appannaggio dei prodotti imitativi, mentre circa un quarto dei facings rilevati appartiene a brand USA, prodotti in America, che utilizzano pomodori italiani.
Figura 13: fonte: rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o“ufficialità”
La NASFT definisce la produzione “di specialita’” come “cibi e bevande esempi di qualità, innovazione e stile nelle proprie categorie di prodotto. Il loro carattere “speciale” deriva da una o più delle seguenti caratteristiche: originalità, autenticità, origini etniche, procedimenti specifici, ingredienti caratteristici, produzione limitata, uso distintivo, packaging straordinario o specifici canali di distribuzione. Grazie alla loro capacità di differenziarsi, questi prodotti vengono percepito come ad alto valore aggiunto e spesso ricadono nel segmento “premium” della loro categoria”. Per ulteriori informazioni, si consiglia di visitare il sito http://www.specialtyfood.com
La tavola sotto riporta alcuni tra i principali brand made in USA che utilizzano, o dicono di utilizzare, pomodori italiani per la creazione dei loro sughi.
Figura 14: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. L’arena competitiva, l’offerta e i casi di successo
Rispetto ad altre categorie di prodotto, negli USA i sughi pronti per pasta a base di pomodoro sono fortemente divisi tra segmento mainstream e segmento di specialita’.
Il segmento premium e’ in fortissima espansione oggi negli USA per questa categoria di prodotto: nelle rilevazioni effettuate oltre un terzo dei facings appartiene al segmento premium e costa più di tre-quattro volte tanto rispetto al prodotto mainstream. Questo dato e’ veramente notevole se si pensa che rilevazioni di simile natura condotte appena otto anni fa avevano fatto rilevare una presenza pressoché nulla del segmento premium. Il grafico sotto presenta una divisione dei facings conteggiati per vasetti di sugo di grandezza omogenea (tra 670 e 720 grammi) per prezzo di vendita in dollari per unità. La fascia di mercato “oltre $6” fino a pochi anni fa non esisteva e oggi vale oltre un terzo dei facings conteggiati nei trend setting retailer. In altre parole: oggi i consumatori sono disposti a spendere in media quattro volte tanto per la stessa quantità di sugo!
Figura 15: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014.
Numerosissimi nuovi brand emergono, spesso a carattere regionale. Tipicamente, I brand di specialita’ si rifanno alla tradizione di ristoranti (es. Rao’s) o al prestigio personale di chef conosciuti e apprezzati attraverso i food channels (Mario Batali, Lidia Bastianich).
La confezione tipica e’ il vasetto in vetro da circa 800g. Questo ha a che fare anche con le abitudini dei foodies, che sono soliti versare sulla pasta una quantità di sugo molto maggiore di quella che si usa in Italia.
Figura 16: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o “ufficialità”
Nelle rilevazioni effettuate, il Private Label e’ il primo “brand” con circa il 10% di market share. Il prodotto più diffuso (tanto nelle rilevazioni in store quanto nel parere degli esperti) e’ Rao’s.
Figura 17: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014.
Per quanto riguarda l’offerta, la maggioranza delle ricette presentate sono in realtà molto semplici, come la Marinara o il Pomodoro e basilico. Le ricette “americanizzate” esistono (quali per esempio la Vodka sauce o il sugo all’aglio), ma valgono rispettivamente 10% e 9% dei facings rilevati.
Figura 18: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o “ufficialità”
Il posizionamento in termini di prezzo risente molto della divisione tra segmento mainstream e segmento premium. I sughi di specialita’ in USA costano tutti almeno 10 dollari al chilo e possono arrivare fino a 15 dollari al chilo. Questo significa un costo per prodotto che è di tre-quattro volte superiore al prezzo medio mainstream, che raramente raggiunge i cinque dollari al chilo.
Figura 19: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014
2. Pomodoro in scatola
Overview e diffusione dell’Italian sounding
Nel caso dei pomodori in scatola, come per le salse da sugo, il legame con il nostro Paese e’ fortissimo e evidente. L’Italia “domina” la categoria negli USA – e questo comporta una significativa percentuale di prodotti Italian sounding anche nella fascia alta di mercato (come si vede dal grafico sotto, quasi la metà dei facings di pomodori in scatola rilevata nei trend setting retailers sono ingannevoli). Diversi brand alternano linee di prodotto importato dall’Italia con linee di pomodori domestici.
Figura 20: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o “ufficialità”
Il tratto ingannevole del prodotto imitativo viene spesso caratterizzato dal nome. Un nome italiano, in una categoria in cui il legame con il nostro Paese è così forte (la percezione del consumatore USA, confermata da numerosi focus group svolti, e’ che il pomodoro italiano sia il migliore al mondo), spesso basta per confondere il consumatore. A questo va tuttavia aggiunta per questa categoria di prodotti una fortissima confusione in sede di etichettatura, che ha origini normative (quindi travalica i contenuti di questo studio), tale per cui non infrequentemente l’etichetta sulla latta di prodotto riporta pomodori “italian style” per intendere pomodori coltivati in California o in New Jersey.
Caso a parte, sul tema dell’autenticità’ della produzione, merita l’esistenza di Brand americani che si rifanno completamente alla tradizione DOP del pomodoro San Marzano. Negli USA esiste un brand premium di pomodori in latta (e salsa da sugo) chiamata San Marzano, che posiziona il proprio prodotto su un segmento premium con prezzi comparabili a quelli del prodotto originale italiano importato.
Figura 21: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o “ufficialità
L’arena competitiva, l’offerta e i casi di successo
Il private label e’ il “marchio” più venduto della categoria, con circa il 15% dei facings rilevati. Il principale brand e’ Cento, che ha linee di pomodori importati dall’Italia e linee di pomodori domestici USA.
Figura 22: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o “ufficialità”
I claim in confezione reclamizzano soprattutto la naturalità del prodotto. Si registra a questo proposito una percentuale davvero consistente di pomodori in latta che presentano il logo USDA Organic, garanzia per il consumatore dell’origine biologica del prodotto.
Figura 23: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o “ufficialità”
Riguardo al formato, circa un terzo delle latte di pomodoro rilevate afferiscono a pomodoro intero. La categoria della passata vale circa il 5% dei facings rilevati.
Figura 24: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o “ufficialità”
Come riportato dalla piramide sottostante, il sistema dei prezzi varia da meno di $2 per Kg a più $4 per Kg. La “forbice” tra segmento mainstream e segmento premium e’ più contenuta rispetto ad altre categorie di prodotto.
Figura 25: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o “ufficialità”
3. Olio d’oliva
Overview e considerazioni sull’origine del prodotto
L’olio d’oliva in America ha una storia recente, tenendo conto che fino a quindici/venti anni fa la categoria di prodotto in USA era riservata a una piccolissima nicchia di mercato. Oggi le cose sono cambiate, in considerazione di una propensione al consumo procapite certamente crescente e tuttavia ancora molto lontana dai valori registrati in Italia (circa 1 litro per persona in USA, circa 12 litri per persona in Italia).
Il mercato dell’olio d’oliva oggi vale in USA circa 1,7 miliardi di dollari, di cui circa uno nel segmento della grande distribuzione (retail) e il resto nel segmento horeca. Secondo il parere degli esperti, il segmento alto del mercato (“oli di specialita’”) rappresenta un mercato di circa 150-250 milioni di dollari.
Tra le cause dell’affermazione crescente di questa categoria di prodotto va certamente annoverata la produzione locale della California, che e’ nata da pochi anni ma e’ intensiva e guadagna significative quote di mercato. Alcuni esperti arrivano a prevedere che tra venti anni la California sarà il primo produttore al mondo.
Figura 26: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o “ufficialità”
Le importazioni dall’Italia stanno crescendo; tuttavia il nostro Paese sta perdendo significative quote di mercato che sono conquistate da player emergenti come il Cile.
Il legame con l’Italia è infatti ancora molto forte nella percezione dei consumatori americani. Tuttavia, nel caso di questa categoria di prodotto, riconoscere il prodotto non ingannevole da quello ingannevole risulta di grande complessità anche ad occhi esperti, dal momento che la definizione può variare dal “packed in Italy” alla ricerca esclusiva di olive di origine italiana, e che queste due categorie di prodotti non sempre coincidono. Rilevazioni condotte nei punti vendita hanno evidenziato che quasi la metà dei facings di olio importato dall’Italia e’ prodotto con olive provenienti da altri Paesi, del Mediterraneo ma non solo (Australia, Nuova Zelanda).
Figura 27: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o “ufficialità”
Questa situazione ha portato un inevitabile appannamento della qualità percepita del prodotto italiano, a vantaggio di altri sistemi Paese che sembrano offrire migliori garanzie sull’autenticità della provenienza delle olive. Il tema e’ centrale e molto dibattuto oggi negli Stati Uniti, come dimostra la pubblicazione di un recente best seller presso i foodies “Extra Virginity” di Tom Mueller, che denuncia le pesanti alterazioni (in alcuni casi vere e proprie frodi) da parte di produttori italiani e l’utilizzo non dichiarato di olio proveniente da altri Paesi, non sempre di oliva.
L’arena competitiva e l’offerta
Parlando di arena competitiva, va chiarito in sede di premessa che la percentuale di olio extravergine (EVO) venduta all’interno della categoria e’ maggioritaria ma non preponderante (circa il 60% dei facings) negli USA. Questo e’ dovuto anche a differenti abitudini di consumo da parte dei foodies, che in molti casi si limitano a usare EVO nelle occasioni più importanti o “sociali”, come cene per amici eccetera.
Il private label conta circa un quarto del totale dei facings rilevati e sta acquistando importanza crescente nei trend setting retailers. Principali brand sono Filippo Berio e l’americano California Olive Ranch, in forte espansione sul mercato grazie anche alla connotazione di freschezza “locale” che e’ al centro delle sue politiche di comunicazione.
Figura 28: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o “ufficialità”
Nel caso dell’olio d’oliva, la competizione sul segmento alto di mercato e’ caratterizzata da un numero elevatissimo di brand. L’immagine sotto riportata raffigura un tipico scaffale di un retail trend setter e esemplifica l’abbondanza di offerta nel segmento alto. Questa elevatissima varietà di brand e’ un elemento di confusione presso i foodies intervistati nel corso di focus group.
Figura 29: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014
Per distinguere la propria offerta e renderla maggiormente riconoscibile, diversi brand hanno iniziato a caratterizzare maggiormente il proprio prodotto. In particolare, si assiste a un significativo trend verso la regionalizzazione dell’olio d’oliva, che viene presentato non più solo con i riferimenti del Paese produttore ma più nel dettaglio con l’indicazione di provenienza regionale. Questo avviene ormai in quasi tutti i trend setting retailers, che offrono varietà certificate di olio toscano, siciliano, pugliese o proveniente da altri Regioni d’Italia.
Figura 30: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014.
Esperti contattati ritengono che il segmento retail offra un potenziale di sviluppo maggiore per l’olio di alta qualità rispetto al segmento Horeca. Questo dipende anche dalla pratica, purtroppo ancora diffusa presso i ristoranti in USA, di mischiare olio di buona qualità con olio scadente.
L’appannamento di immagine menzionata riguardo all’olio italiano trova un significativo riflesso nel sistema di prezzi al dettaglio. La tavola successiva riporta la piramide di prezzi registrati.
Figura 31: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o “ufficialità”
In questo contesto, il prezzo medio dell’olio di origine italiana di alta qualità (quindi prodotto con sole olive italiane) e’ stato superato da quello di olio proveniente da altri Paesi riconosciuti più sicuri quanto alla provenienza delle olive come la Spagna o il Cile ed e’ ormai molto vicino al prezzo medio per litro della produzione domestica americana.
Figura 32: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o “ufficialità”
Infine, il settore degli oli è uno dei più problematici perché negli USA manca una conoscenza diffusa del prodotto. Il consumatore e’ spiazzato di fronte all’offerta, e la sua scelta e’ difficile perché non ha ricevuto educazione sulla storia e la produzione di questo prodotto e quindi non sa quali parametri considerare al momento dell’acquisto. Focus groups hanno dimostrato che la grande maggioranza degli intervistati affermi di fondare la ragione del suo acquisto di un olio d’oliva rispetto a un altro dal colore, pure senza sapere quale colore sia “meglio” e perché. Di pari, la differenza tra le diverse categorie di prodotto, compresa la differenza chiave tra oli trattati meccanicamente e oli trattati chimicamente, non e’ affatto chiara. La mancanza di riferimenti chiari al momento dell’acquisto e’ una minaccia per la categoria pure a fronte di buoni tassi di crescita, perché implica il rischio di una tendenza “al ribasso” di competizione sul prezzo (“commoditization”).
4. Paste fresche ripiene
Overview e diffusione dell’Italian sounding
Non esistono dati di mercato specifici per la categoria delle paste fresche ripiene. La categoria viene giudicata dagli esperti in forte espansione negli ultimi anni. Questo e’ confermato dalle rilevazioni in store, che certificano un numero sempre crescente di facings dedicati a questa categoria rispetto a rilevazioni analoghe condotte negli scorsi anni.
La tradizione italiana e’ fortemente presente in questa categoria, come dimostra il fatto che oltre la metà dei facings rilevati presso le insegne esaminate sono italian sounding.
Figura 33: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o “ufficialità”
L’arena competitiva, l’offerta e i casi di successo
Dalle rilevazioni effettuate emerge un ruolo dominante del marchio privato, che vale da solo circa il 50% dei facings conteggiati nei trend setting retailers. Questo rappresenta un’opportunità per le nostre imprese, alcune delle quali hanno già oggi in atto accordi di collaborazione con catene USA per commercializzare il prodotto italiano.
Figura 34: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o “ufficialità”
A livello retail, si registra una presenza significativa del brand Giovanni Rana, che ha recentemente aperto uno stabilimento di produzione in Illinois in grado di coprire per intero la domanda di pasta ripiena in questo mercato (la pasta fresca e’ importata dall’Italia). Giovanni Rana ha impostato in USA una campagna di comunicazione molto aggressiva volta a promuovere la sua immagine italiana e quindi, sia pure indirettamente, l’eccellenza del nostro Paese nel settore.
Figura 35: fonte MRA, 2014
La competizione USA esiste e si concentra soprattutto nel segmento del foodservice. Secondo le stime di fatturato raccolte da Reference USA, tra i principali concorrenti in termini di fatturato si distinguono Carla’s Pasta (circa 140 milioni di dollari di vendite), Nuovo Pasta (circa 90) e Perfect Pasta (circa 50). La maggiore parte dei player americani si concentra nel Nord Est. Gli esperti contattati sono comunque concordi nel giudicare significativamente superiore la qualità dei prodotti delle nostre aziende italiane.
Figura 36: fonte MRA, 2014
Questo premesso, l’arena competitiva in USA e’ oggi ampia e variegata in particolare nel segmento del fuori casa; e molti produttori offrono centinaia di differenti formati.
La forma più utilizzata e’ quella del raviolo, che conta da solo quasi due terzi del totale dei facings rilevati. Per quanto riguarda il ripieno, quasi tutti i player domestici offrono variazioni con pesce, e molti abbinano la propria offerta di pasta fresca ad una linea di sughi. A livello retail, le principali caratterizzazioni di prodotto rilevate sono state:
Figura 37: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o “ufficialità”
A tema sulla composizione del ripieno, gli esperti sottolineano una differenza tra consumatori americani e consumatori italiani che si ritiene utile riportare per intero. In Italia, siamo soliti apprezzare la purezza di pochi ingredienti chiave; negli USA, Il foodie USA apprezza maggiormente un ripieno meno connotato da singoli ingredienti, ma più sostanziato da un mix di sapori e spezie bene equilibrato. Per fare un esempio mutuato da un’altra categoria di prodotto, “in Italia la torta di mele e’ buona quando sa di mele; in USA la torta di mele e’ buona quando sa di cannella”. Si ritiene che cogliere queste differenze, a condizione che non si comprometta il valore del prodotto ne’ da un punto di vista della qualità altissima della materia prima utilizzata, ne’ da un punto di vista del rispetto della tradizione di ricette italiane, che sarebbe dannoso “snaturare”, possa generare spunti utili per le nostre imprese. A parere degli esperti, l’azienda Bertagni rappresenta un caso di successo capace di interpretare la sensibilità di gusto statunitense senza compromettere l’eccellenza “italiana” della sua offerta.
Figura 38: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014
Altro punto centrale segnalato per avere successo in questa categoria e’ legata alla logistica. Gli esperti ritengono importantissimo che ci si possa dotare di un magazzino negli USA. I compratori USA preferiscono un prodotto meno buono che dia assolute garanzie sulla tempestività delle consegne rispetto a uno eccellente che non offra queste garanzie.
La tavola sotto riporta infine le segmentazioni di prezzo rilevate presso i trend setting retailers esaminati.
Figura 39: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014
5. Parmigiano Reggiano
Overview e diffusione dell’Italian sounding
Nel corso degli ultimi quarant’anni, il consumo di formaggio procapite negli USA e’ più che triplicato; e il consumo di formaggi “di tipo italiano”
(italian-type) e’ aumentato in proporzioni molto maggiori di quelle di altri segmenti di prodotto.
Figura 40: fonte Wisconsin Marketing Board, 2013
Oggi, il mercato dei formaggi di specialita’ in America vale 3,6 miliardi (prezzi al pubblico). Dopo una leggera flessione nel 2009, le esportazioni italiane in USA di formaggi e latticini sono cresciute negli ultimi anni.
Figura 41: fonte elaborazioni MRA da fonti varie, 2013
Il fenomeno imitativo e’ ancora molto presente anche nel segmento alto di mercato (trend setting retailers) ed esistono grandi quote di mercato che possono essere sottratte all’italian sounding. Come evidenziato dal grafico sotto, ancora quasi la metà del totale dei facings conteggiati presso i trend setting retailers e’ imitativo!
Figura 42: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o “ufficialità”
Tuttavia, un’analisi di maggiore dettaglio fa registrare differenze profonde nella commercializzazione in USA del Parmigiano Reggiano tra il prodotto venduto in forme o spicchi e il prodotto venduto grattugiato. Come emerge dalla tavola sotto riportata, infatti, quest’ultima categoria di prodotto e’ quella che risente ancora grandemente del fenomeno imitativo.
Figura 43: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o “ufficialità”
Il problema delle imitazioni sembra meno urgente nel caso delle forme/spicchi, che pure presentano differenti criticità. In particolare, rilevazioni nei punti vendita (e il parere degli esperti) hanno evidenziato una ancora insufficiente cultura del personale in negozio riguardo al prodotto; che si manifesta al momento di tagliare e di presentare una forma di Parmigiano Reggiano nel punto vendita. Questo aspetto rappresenta un problema da correggere, anche perché la grande maggioranza (circa il 75% dei facings) di Parmigiano Reggiano in forme rilevato nei punti vendita e’ tagliato direttamente in negozio. Il Parmigiano Reggiano venduto in packaging come il cryovac rappresenta ancora oggi una esigua minoranza.
Spesso anche nelle insegne più avanzate si registra una grave confusione di nomi (es. “Reggiano Parmesan”) e una fuorviante commistione di parmesan imitativo e Parmigiano Reggiano.
Figura 44: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014
L’arena competitiva, l’offerta e i casi di successo
Il settore dairy negli USA conta oltre 700 aziende e 1,000 stabilimenti di produzione. La grande maggioranza dei produttori locali si concentra nel Wisconin (MidWest).
La competizione domestica quindi esiste e in questi anni la produzione del Wisconsin ha prodotto numerose azioni di sistema, quali per esempio aggressive campagne promozionali, per migliorare la propria immagine agli occhi del foodie. Tuttavia, il livello qualitativo percepito è ancora lontanissimo da quello del nostro prodotto autentico e questo si riflette in una distinzione di prezzo ancora netta tra Parmigiano Reggiano e parmesan.
Come già rilevato, nel settore del Parmigiano Reggiano in forme il private label svolge un ruolo dominante.
Figura 45: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o “ufficialità”
Nel caso del Parmigiano Reggiano grattugiato, si regista invece una maggiore presenza di brand, alcuni dei quali (come Kraft) offrono ancora oggi sul mercato una massiccia produzione di prodotto imitativo. Il formaggio grattugiato vale la grande maggioranza del segmento (circa il 70%) dei facings rilevati; altre tipologie quali shredded o flakes valgono ancora per percentuali marginali.
Figura 46: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o “ufficialità”
6. Prodotti ittici
Overview e diffusione dell’Italian sounding
Per esigenze di chiarezza, si distingue nel corso di questo capitolo tra le due categorie del tonno in scatola e degli altri prodotti ittici quali sardine, acciughe, salmone in scatola. Nel caso del tonno, la provenienza dei prodotti e’ altamente diversificata e spesso non viene indicata nella latta. I mari di provenienza dei prodotti sono soprattutto quelli del Sud-Est asiatico (Indonesia e Thailandia) e in alcuni casi il Mediterraneo o il Mare del Nord.
Figura 47: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o “ufficialità”
In questo settore a differenza di quasi tutti gli altri, non si può parlare di associazione forte con il nostro Paese, e il fenomeno dell’italian sounding ha dimensioni modeste rispetto ad altre categorie di prodotto. Tuttavia esistono casi imitativi da parte dei grandi produttori (una varietà di tonno Bumble Bee “Italian Style” e un brand “Tonno Genova”) che testimoniano il fatto che la qualità del tonno italiano e’ conosciuta e apprezzata anche negli USA.
Figura 48: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o “ufficialità”
L’arena competitiva, l’offerta e i casi di successo
Rispetto ad altre categorie di prodotto esaminate, il segmento del tonno in USA appare ancora dominato dai grandi brand mainstream come Bumble Bee o Chicken of the Sea, che non infrequentemente inscatolano il prodotto con l’aggiunta di pirofosfati.
Figura 49: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o “ufficialità”
Anche in questo caso, appare tuttavia in corso di maturazione un segmento premium/di specialita’, al quale si affacciano oggi diversi brand di varia provenienza.
Figura 50: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014
Parzialmente differente è il caso di altri prodotti seafood (come sardine, aringhe, acciughe); nel quale segmento si registra una minore posizione dominante da parte dei grandi player USA.
Figura 51: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o “ufficialità”
L’offerta di tonno in scatola è in particolare caratterizzata da prodotto in “chuncks” (briciole), che rappresenta circa un terzo del totale dei facings rilevati.
Figura 52: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o “ufficialità”
I claim insistono con grande forza sulle proprietà nutrizionali dei prodotti e in particolare sulla presenza di Omega 3. Il packaging, nella grande maggioranza dei casi (85% dei facings rilevati) e’ la tradizionale latta. Il segmento di specialita’ si sta aprendo al vasetto in vetro, che ancora tuttavia registra una diffusione molto limitata.
Grande parte del tonno in scatola oggi venduto presso i trend setting retailers e’ in acqua (53% dei facings rilevati). Questo e’ grandemente dovuto alle abitudini di consumo del prodotto negli USA, che sono ancora poco legate al consumo di prodotto “in sé”, ma piuttosto orientate a costituire base per insalate o mix con l’aggiunta di numerosi altri condimenti (maionese, salse).
Per quanto riguarda il seafood diverso dal tonno, il grafico sotto riporta uno spaccato delle categorie di prodotto rilevate nei trend setting retailers.
Figura 53: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o “ufficialità”
Anche nel caso del seafood diverso dal tonno, si registra l’affacciarsi sul mercato di alcuni brand di specialita’ capaci di differenziare la propria offerta soprattutto ringiovanendo l’immagine della categoria e proponendo prodotti in una varietà intriganti di salse, anziché presentarli come da tradizione in olio o in acqua.
Figura 54: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014
Le tavole sotto riportano infine il sistema di prezzi rilevati nei trend setting retailers per questa categoria di prodotti.
Figura 55: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014
7. Prosciutto, salami e altri salumi Premessa: le categorie di prodotto rilevate
Le rilevazioni nei punti vendita per la categoria di prodotto dei salumi si sono concentrate sul segmento degli affettati di specialita’ in vasca frigo e sui salumi di specialita’ venduti a scaffale (quindi non all’interno del banco deli). Questa scelta di metodo e’ legata ad aspetti “tecnici” di conteggio dei facings (impossibile nel caso dei salumi venduti a banco deli); in aggiunta, si ritiene che solo l’analisi delle referenze vendute direttamente al pubblico (senza mediazione del personale di vendita) renda possibile stimare il fenomeno imitativo in questa categoria di prodotto. Tali rilevazioni sono dunque da considerarsi un’approssimazione dell’offerta complessiva di salumi all’interno del punto vendita, sia pure sufficientemente esaustiva e rappresentativa della realtà dell’offerta negli specialty stores americani.
I risultati, in termini di categorie di prodotto, sono riportati nel grafico che segue:
Figura 56: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o “ufficialità”
Come si può vedere dal grafico, le categorie combinate di “Salame” e “Prosciutto” valgono da sole circa il 70% dei facings rilevati. Se ad esse si aggiungono categorie di prodotto molto attigue (quali la soppressata e chorizo per i salami e l’hamon per i prosciutti) si raggiungono circa il 90% dei facings.
Figura 57: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014
Overview e diffusione dell’Italian sounding
Negli ultimi anni, il mercato USA è cresciuto stabilmente a tassi annui di circa il 2%. Si stima il mercato degli affettati di specialita’ in vasca frigo e dei salumi venduti a scaffale in quasi 2 miliardi di dollarixvii. Dopo una leggera flessione nel 2009, l’esportazione di carni italiane in USA è cresciuta a tassi davvero significativi, passando tra 2009 e 2012 da circa 60 milioni di dollari a quasi 90 milioni di dollari.
Prosciutto e salami sono insomma ben presenti sulle tavole degli americani, con funzione d’uso che variano da serate con amici e/o ricevimenti formali, come antipasto o ingrediente per le salse, a un consumo più immediato e personale, come companatico.
La categoria risente grandemente delle limitazioni alle esportazioni ancora oggi vigenti per molti nostri prodotti (si veda la sezione relativa alle procedure per esportare per un dettaglio a questo proposito). In attesa che la situazioni si sblocchi, risulta evidente un fortissimo legame tra la categoria dei salumi e il nostro Paese nel percepito del mercato USA. Questo ha dato e continua a dare adito a meccanismi di imitazione e prodotti italian sounding, riferito a brand USA tradizionali, ma anche a una nuova generazione di salumi di specialita’ che si sta affacciando con forza sul mercato.
Figura 58: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o “ufficialità”
Tra “prima e seconda generazione”, il fenomeno dell’italian sounding e’ diffusissimo e permea la grande maggioranza della produzione locale. Queste quote di mercato possono essere guadagnate dai nostri brand, a condizioni che (una volta che la liberalizzazione sarà in atto) si esporti il meglio della nostra produzione.
Fonte: elaborazioni MRA su dati Market Research, 2013
Per quanto riguarda la diffusione del prodotto che già oggi si può esportare, si registra una significativa differenza di copertura tra l’area del Nord Est del Paese e trend setting retailers localizzati nel Mid-West.
Figura 59: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o “ufficialità”
L’arena competitiva, l’offerta e i casi di successo
Il segmento mainstream e’ dominato da tre produttori (Oscar Mayer, Hiilshire Farm e Hormel) che valgono da soli quasi la metà del mercato e spesso si riforniscono degli stessi identici suini.
L’offerta di prodotti di salumeria nel segmento alto è in rapido e visibile incremento nel corso di questi anni. In altre parole, il segmento premium della produzione domestica in fortissimo sviluppo e uno dei casi più lampanti di “italian sounding di seconda generazione”. In questi anni si sono affacciati sul mercato nuovi brand di produttori USA sia nel campo dei salami (Olli, Creminelli, FraMani), sia nel campo del prosciutto affettato (come La Quercia) che godono di un’alta qualità percepita. Il prosciutto americano di La Quercia e’ posizionato su livelli di prezzi simili a quelli del Prosciutto di Parma DOP.
Figura 60: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014
Nel caso del prosciutto affettato e degli altri affettati di specialita’ in vasca frigo, leader di mercato del segmento di specialita’ e’ Citterio. Il private label rappresenta una quota marginale in questo segmento.
Figura 61: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o “ufficialità”
Si riporta nella prossima tavola uno spaccato dei differenti tipi di prosciutto rilevato:
Figura 62: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o “ufficialità”
Per quanto riguarda i salami, leader di mercato nel segmento alto appare Olli.
Figura 63: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o “ufficialità”
Figura 64: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014
I claim insistono in particolare sul trattamento “umano” riservato ai suini e sull’assenza di amministrazione di antibiotici/ormoni. I brand a migliore qualità percepita insistono inoltre sul fatto di non usare nitriti o nitrati nelle loro produzioni. La grande maggioranza dei brand in USA offre il prodotto in atmosfera modificata.
Le diverse fasce di prezzo sono rappresentate nella piramide sotto.
Figura 65: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014
8. Il fenomeno dell’Italian sounding: una stima
Come chiarito all’inizio di questa sezione, il fenomeno dell’italian sounding rappresenta non solo una minaccia ma anche una straordinaria
opportunità per le nostre imprese. Questo e’ vero perché prodotti “falsi italiani” hanno infatti contribuito a creare e/o rafforzare un legame forte tra la categoria di prodotto e il nostro Paese. In altre parole, e’ anche grazie all’italian sounding se oggi l’Italia “domina” diverse categorie di prodotto nel percepito del consumatore USA.
Su queste basi, oggi e’ possibile per le nostre imprese guadagnare quote di mercato sottraendole ai prodotti imitativi. E’ possibile perché oggi come si e’ visto tanto dal lato della domanda (i foodies) quanto da quello dell’offerta (i trend setting retailers) esiste oggi un target in USA che e’ sensibile alla qualità del prodotto e al tema dell’autenticità’.
Si e’ ritenuto quindi utile tentare l’esercizio di stimare il potenziale di mercato aggredibile da parte delle nostre imprese. Si tiene particolarmente, in sede di premessa, a sottolineare che quanto viene presentato deve essere considerato come un semplice esperimento, una stima del tutto empirica e senza nessuna pretesa di “scientificità”.
Il dato di partenza sono stati i facings di prodotto autentico e di prodotti imitativi che abbiamo contato nelle rilevazioni sul campo. Si riporta in tabella una tavola riassuntiva delle diverse categorie di prodotto esaminate.
Figura 66: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o “ufficialità”
Seguendo una metodologia già “testata” con buoni risultati in passati progetti di ricerca (in particolare il rapporto “Autenticità e imitazione dei prodotti alimentari italiani in Nord America”, 2006) abbiamo ritenuto fosse possibile stimare in primissima approssimazione il valore di mercato del falso moltiplicando il valore di mercato USA per le percentuali di prodotti imitativi rilevati a scaffale.
I risultati sono presentati nella tavola seguentexviii. Come si può vedere, secondo queste stime se le nostre aziende aggredissero il mercato dei
xviii Le fonti utilizzate per la stima del valore di mercato sono state: Sughi per pasta a base di pomodoro: elaborazioni MRA da dato National Association for the Specialty Food Trade (NASFT), The State of the Specialty Food Industry 2012. Il dato in tabella e’ stato decurtato del 15% per prodotti imitativi, potrebbero arrivare a triplicare le proprie vendite negli Stati Uniti!
Figura 67: fonte rilevazioni MRA nei “trend setter retailers”, 2014. Il dato si basa sul conteggio dei facings di prodotto nei diversi punti vendita e per questo va inteso come una stima di primissima approssimazione, senza pretesa di completezza o “ufficialità” eliminare la presenza di salse bianche e sughi per pizza; Pomodori in scatola: elaborazioni MRA da dato USDA. Il dato originale riporta il valore totale alla produzione; per avere un dato omogeneo (prezzi al consumo) sono stati considerati margini del 25% per il distributore, del 35% per il retailer e commissione del 5% per il broker; Paste fresche ripiene: NASFT, The State of the Specialty Food Industry 2012; Parmigiano Reggiano e parmesan: Elaborazione MRA da fonti varie. Il dato intendeva sommare il valore di mercato al consumo del Parmigiano Reggiano importato a quello del parmesan imitativo. Non esistendo alcuna statistica al riguardo, si e’ proceduto a sommare due voci. Il dato sul parmesan ha fonte International Dairy Deli Bakery Association (IDDBA), What’s in store 2010. Il dato sul Parmigiano Reggiano ha fonte CLAL con le seguenti assumptions: 60% quota Parmigiano Reggiano rispetto al Grana Padano, tasso di cambio medio euro/dollaro 1,35 , percentuale di Parmigiano Reggiano destinato a segmento retail 56%, margine distributore 25%, commissione broker 5%, margine retail 35%; Tonno in scatola: Progressive Grocer, 2013; Prosciutto in vasca frigo e salami: il totale mercato dei “Deli and other refrigerated processed meats” e’ stato stimato a partire da fonte Packaged Facts, 2012, a 17,6 miliardi di dollari. Tale valore e’ stato poi moltiplicato per 11%, che e’ la quota di facings rispetto al totale della categoria afferente a prosciutto e salami (stima MRA sulla base deil rapporto “Autenticita’ e imitazione dei prodotti alimentari italiani in Nord America); Olio d’oliva: elaborazion MRA da dati NASFT e International Olive Council (IOC). Il dato NASFT esprime il valore di mercato in totale per gli olii in USA; tale dato e’ stato moltiplicato per la percentuale di olio d’oliva rispetto a altri olii (es canola oil, olii vegetali) riportata dall’IOC.
SEZIONE IV: COME VENDERE Negoziazione con i buyer, “regole del gioco” e promozione
Negoziazione con i buyer, “regole del gioco” e promozione
Scopo di questo capitolo sarà quello di riassumere le principali indicazioni emerse dalle interviste con esperti in relazione a due aspetti chiave per una strategia di ingresso sul mercato americano: il flusso di prodotto e la promozione. La prima parte, relativa al flusso di prodotto, cercherà di chiarire le variabili critiche nella negoziazione con i buyer. Il secondo capitolo raccoglierà testimonianze a tema, da parte di esperti che operano ogni giorno in questo settore, su come più efficacemente promuovere il proprio prodotto sul mercato americano.
La trattativa con l’importatore
Trovare un importatore per il mercato USA è un’operazione in linea teorica non difficile, per esempio partecipando ai lavori di Fiere come il Fancy Food Showxix. Questo premesso, si ritiene utile elencare alcuni rischi tipici nella trattativa con un importatore. In primo luogo, gli esperti sconsigliano di affidare “in toto” le sorti del prodotto all’importatore, delegando a quest’ultimo anche tutte le funzioni del marketing. L’importatore indipendente, se non è legato da un contratto molto lungo, tende, infatti, a non “legarsi” alla marca abbastanza da spendere più del minimo necessario, e spesso neanche quello, in attività di marketing. In altre parole: l’importatore indipendente spesso pensa al margine, non al marketing.
In secondo luogo, è raccomandabile accertarsi in grande dettaglio durante la fase negoziale su quali siano i canali di vendita effettivamente coperti dall’importatore. In altre parole, è fortemente raccomandato imbastire sin dalle fasi di negoziazione un dialogo molto franco, che ponga il candidato di fronte a domande più specifiche possibile: quali catene, dove, con quali prodotti.
La negoziazione più delicata si presenta infine nel caso in cui esista una pluralità di importatori che richiedano esclusive territoriali (una simile richiesta e’ spesso “ineliminabile”, in particolare nel caso di primo approccio al mercato USA). Il tema di possibili overlap nelle competenze dei diversi importatori è delicato, perché queste intersezioni spesso sono molto dannose per il business, sfociando in situazioni conflittuali e difficilmente gestibili. Può valere allora la pena di una politica di piccoli passi, che dal prodotto, selezioni in fasi successive gli importatori per differenti aree geografiche.
xix Il Fancy Food Show e’ la più importante fiera alimentare negli USA. Si tiene in due sessioni principali, una estiva nel Nord Est (tipicamente a New York) e una invernale sulla costa Ovest degli Stati Uniti (tipicamente a San Francisco). Per maggiori informazioni si invita a consultare l’indirizzo web http://www.specialtyfood.com/fancy-food-show
Le slotting allowances
Le slotting allowances sono un fee che i produttori riconoscono “una tantum” a distributori e punti vendita negli USA, per introdurre i propri prodotti all’interno del portfolio trattato da queste categorie.
La pratica si è imposta e oggi è diffusissima. Interpretate come “garanzie” contro il rischio di insuccesso nel lancio di nuovi prodotti, le slotting allowances, di conseguenza, aumentano o diminuiscono al variare di quattro parametri:
– la storia di vendita di un prodotto,
– la presenza o meno di test sui consumatori,
– la presenza di prodotti simili sul mercato,
– la presenza e il valore di un adeguato supporto promozionale e pubblicitario.
La distribuzione retail e il ruolo del broker
Nel caso della distribuzione retail, la negoziazione avviene spesso direttamente tra l’importatore e i rappresentanti della catena. Una volta confermato l’interesse da parte della catena nei confronti del prodotto, e’ spesso il buyer a indicare all’importatore a quale struttura distributiva fare riferimento, scelta tra quelle da cui la catena si serve abitualmente.
In questo processo, acquista un ruolo di primaria importanza la figura del broker, ovvero del professionista indipendente che “apre le porte” agli importatori per presentare nuove linee di prodotto alle insegne. Negli USA esistono migliaia di broker operativi nella distribuzione alimentare, le cui dimensioni variano da aziende individuali fino a colossi del fatturato di miliardi di dollari. Esistono broker specializzati nella produzione di specialita’ italiana e broker generalisti. Lavorano in media a percentuali variabili dal 3% al 10%. Il ruolo centrale della figura del broker nella distribuzione alimentare USA e’ riconosciuto in primo luogo dalle grandi catene, che in alcuni casi arrivano a ospitare permanentemente presso le proprie strutture broker di fiducia (“in-house brokers”).
Figura 68: principali importatori/distributori nel canale retail per le aree Nord Est e Midwest
La distribuzione del fuori casa
Nel canale del fuori casa (detto foodservice negli USA) la distribuzione avviene secondo meccanismi in parte differenti rispetto al retail. Nel foodservice, l’azione di vendita viene spesso portata avanti dal distributore, in contatto costante con il ristorante e la catena e in grado di registrarne gli ordini con frequenza regolare. In altre parole, il manager del ristorante chiama o scrive al proprio distributore segnalando le richieste con cadenza regolare (settimanale o giornaliera) e questo crea regolari occasioni di contatto durante le quali il distributore può presentare al ristorante nuovi prodotti e impostare azioni di vendita. Il processo va presidiato con grande attenzione da parte dell’importatore, dal momento che spesso la forza vendita del distributore (in particolare nel caso di grandi distributori generalisti) spesso non e’ sufficientemente attrezzata per “spiegare” al meglio le caratteristiche dei prodotti di specialita’ italiane. L’aspetto chiave da presidiare da parte dell’importatore e’ quindi l’affiancamento alla forza vendita del distributore nel momento della presentazione di nuovi prodotti. Il distributore è tendenzialmente aperto e motivato alla definizione di accordi di collaborazione con l’importatore che aiutino la propria forza vendita a presentare al meglio nuovi prodotti di specialita’; molto spesso le occasioni migliori per collaborare con il distributore sono rappresentate dai vendor show. I vendor show sono organizzate a cadenza regolari (ogni mese o ogni due mesi) dai principali distributori foodservice come occasioni di incontro con la propria base clienti (ristoranti) per presentare le principali novità nel loro portfolio prodotti.
Trainata dalla domanda dei foodies, anche la distribuzione nel fuori casa sta rapidamente evolvendo in questi anni negli USA. Il fenomeno più visibile e’ la creazione, da parte dei migliori distributori, di una rete di vendita interna con particolare focus sui prodotti di specialita’ importati; in altre parole, nella creazione di una rete più ristretta di venditori maggiormente attrezzati a spiegare le caratteristiche distintive dei prodotti di specialita’. Questo processo rappresenta una grande opportunità per le nostre aziende, perché consente di uscire dalla nicchia “etnica” della distribuzione italiane e di aprirsi ai grandi player oggi operativi sul mercato. La tavola sotto riporta alcuni tra i riferimenti di distribuzione più autorevole nelle aree Nord Est e Midwest del Paese.
Figura 69: principali importatori/distributori nel canale retail per le aree Nord Est e Midwest
Le politiche promozionali: raccomandazioni operative
In sede di premessa, e’ opportuno citare il grande movimento di italofilia che anima in questi anni il consumatore USA (i foodies). Il nostro Paese e’ amato per la sua bellezza dei suoi paesaggi, l’ospitalità’ dei suoi abitanti, la forza delle sue tradizioni. In altre parole, il grande apprezzamento per la cucina italiana ha radici in USA che vanno oltre il puro riconoscimento della bontà e qualità dei cibi, ma anzi si legano all’ammirazione più generale per il lifestyle italiano.
Questo grandissimo punto di forza va sfruttato, dalle singole aziende e con azioni di sistema che, mai come ora, sono fortemente raccomandabili. Si tratta in altre parole di una vera finestra di opportunità da cogliere in tempi rapidi, anche perché non esistono assicurazioni che l’amore verso l’Italia e il suo cibo duri per sempre.
La promozione nel prodotto
Il primo e più efficace veicolo promozionale e’ certamente il packaging del prodotto. Si raccomanda con forza di prestare grandissima attenzione a questo aspetto e soprattutto di dedicare a un mercato competitivo e
ricco di opportunità come quello USA una confezione dedicata, evitando dove possibile packaging multilingue adatte a una pluralità di Paesi export.
L’origine italiana va adeguatamente valorizzata, perché costituisce sempre un punto di forza sensibile rispetto alla competizione locale. Si osserva a questo proposito quanto la sensibilità “italiana” porti spesso alla creazione di packaging di grande eleganza, ma in cui l’origine del prodotto e’ presentata in una forma che i foodies giudicano timida. Al contrario, prodotti italian sounding fatti negli Stati Uniti offrono richiami al nostro Paese particolarmente aggressivi e fuorvianti. Competere in America significa anche, secondo il parere degli esperti, sapere abbinare l’eleganza del packaging all’efficacia della comunicazione che si tratta di un autentico prodotto italiano.
Il foodies e’ un consumatore curioso. Questa curiosità va soddisfatta in primo luogo nel package, che deve raccontare la storia dietro al prodotto, le materie prime utilizzate, proporre ricette per utilizzarlo. In altre parole, un packaging efficace e’ quello che valorizza attraverso le storie l’unicità’ del prodotto e offre spunti “razionali” sui motivi per cui la produzione in Italia aggiunge valore. Di pari, la storia dell’azienda (in particolare nel caso di aziende a conduzione familiare attive da generazione) offre spunti di grande interesse che inducono il consumatore USA ad acquistare il prodotto.
La promozione nel punto vendita
La promozione di gran lunga preferita dai foodies sono le prove di assaggio nei punti vendita. E’ una pratica molto diffusa nei “trend setting retailers” USA e che contribuisce a creare un’eccellente esperienza di acquisto per il consumatore nel punto vendita. Prove di assaggio sono importanti sempre, ma in particolare nel caso di prodotti nuovi o per i quali le potenzialità in applicazione, o le differenti ricette, non siano immediatamente evidenti ai foodies. Offrire al foodie la possibilità’ di soffermarsi su un prodotto offerto, assaggiarlo e condividerne i punti di forza è in altre parole un metodo di promozione efficacissimo negli Stati Uniti.
Di pari, alcune pratiche di sconti e couponing sono particolarmente utilizzate in USA e possono contribuire efficacemente a fidelizzare il consumatore nei confronti di un brand. Il coupon e’ tipicamente presentato nel punto vendita (a scaffale o presso i registratori di cassa) o online nel sito dell’insegna. Negli USA sono diffuse forme di couponing che abbinano l’acquisto di un prodotto alla promozione offerta su un prodotto differente. Esempi sono il “Catalina coupon” (offerto dopo che il consumatore ha pagato alla cassa, sulla base dei prodotti che ha comprato) o il “Cross ruff coupon” (offerto al momento dell’acquisto). Queste pratiche consentono di creare e valorizzare sinergie tra prodotti di natura differente ma compatibili per proprietà (per esempio entrambi gluten free) o per funzione d’uso (per esempio formaggio e crackers). Offerte e coupon sono pubblicate su flyer dell’insegna, che vengono distribuite gratuitamente in modo capillare e sono uno strumento molto usato dai foodies per decidere cosa acquistare.
Figura 70: esempio di flyer distribuito dall’insegna Trader Joe’s
Negli USA, un consumatore su cinque afferma di rivolgersi al personale in store per consigli sui prodotti da acquistare. Per questo motivo, l’educazione del personale in store assume una rilievo di grande importanza in ottica promozionale. I “trend setting retailers” offrono non infrequentemente occasioni di interazione con il personale e/o con chef, per esempio in occasione di corsi di cucina o seminari che sono attività tipiche di questi punti vendita. Si ritiene che queste costituiscano eccellenti occasioni da presidiare per promuovere il prodotto con efficacia e secondo pratiche particolarmente apprezzate dai foodies.
La promozione sui media
I consumatori statunitensi, forse più di quanto non accada in altri Paesi, fanno grande utilizzo delle tecnologie di rete per informarsi circa a nuovi prodotti e decidere cosa comprare. Appare quindi di primaria importanza per questo mercato sapere presidiare al meglio il canale internet, a partire dal sito che se possibile dovrebbe essere strutturato ad hoc per il mercato americano. Grande attenzione va riservata ai social network, soprattutto facebook, che rappresenta anche un potente strumento per “targettizare” la fascia di consumatori potenzialmente più interessata al prodotto e raggiungerla attraverso azioni promozionali mirate. Di pari, e’ fortemente raccomandata una presenza sui blog nei quali i foodies si ritrovano per discutere nuovi prodotti e trend del mercatoxx.
I media tradizionali sono comunque un importantissimo strumento di comunicazione. Questo e’ vero anche perché i foodies tendono ad avere abitudini consolidate che possono essere sfruttate per fare in modo che il messaggio raggiunga il segmento di consumo più interessato ad ascoltarlo. Per quanto riguarda il canale televisivo, grandissimo e’ l’interesse presso i foodies a programmi di cucina mandati in onda da food channels. Questi programmi sono condotti da vere e proprie celebrità (come Lidia Bastianich, o Giada De Laurentis) specializzate nella promozione delle specialita’ alimentari italiane. Per quanto riguarda la stampa, esiste in USA una varietà di newsmagazine specializzata nell’ambito cucina (gli esempi più autorevoli sono forse Gourmet Magazine e Bon Appetit) regolarmente acquistati da parte dei consumatori. Uno spazio pubblicitario su questi magazine costituisce certamente un investimento da considerare, a condizione che il messaggio anche in questo contesto sia in grado di “raccontare una storia”, della quale i foodies sono curiosissimi, piuttosto che proporre una pubblicità accattivante ma povera di contenuti. Infine, grande credito presso i consumatori USA hanno inserti settimanali di autorevoli quotidiani (come il New York Times) a tema sull’offerta di specialita’ alimentari negli Stati Uniti.