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Una multa a chi non vuota il piatto

By Redazione

Mentre in Europa si sente ripetere il mantra «Spegnete la luce!», a Hong Kong la litania è un ordine e impone di «Vuotare la scodella!».
La tensione ecologista è la stessa e uguale è la preoccupazione di dare un taglio agli sprechi, energetici in un caso e alimentari nell’altro. Diverso è lo stile. Nel
Vecchio Continente è una questione di eco-etichetta, nell’ex colonia di Sua Maestà Elisabetta, invece, sono appena scattate le maniere forti. Chi abbandona cibo sbocconcellato sul
tavolo, piatti semipieni e tazze ancora ingombre di zuppe di verdure e pesci rischia di dover pagare una multa: si tratta di poca cosa – l’equivalente di mezzo euro, fino a un massimo di due –
ma comunque di un’imposizione umiliante.
Ha cominciato un gruppo di self-service, ristoranti a buffet e sushi bar alla moda e il trend potrebbe presto allargarsi. «Abbiamo scritto l’avviso sui menu. E vogliamo che serva da
deterrente – ha spiegato ai media il signor Simon Wong, portavoce dell’Associazione dei ristoratori -. E’ chiaro che nessuno pensa di spaventare i clienti e tantomeno di perderli». Ma il
segnale è chiaro. Gli eccessi non saranno più ammissibili e per due ragioni.
Una ha a che fare con ciò che non si può non vedere e l’altra con la dimensione terrorizzante dell’invisibilità. La prima è la massa di rifiuti che ingolfano la
metropoli dei fantagrattacieli e le 700 tonnellate quotidiane di carni, pesci, verdura e frutta buttata nella spazzatura e l’altra è legata alla massa di batteri e virus che trovano nel
cibo sprecato l’habitat ideale per riprodursi e diffondersi, avvelenando sempre più persone.
Certo, Hong Kong è ancora uno dei paradisi culinari dell’Asia e del mondo. Lì – secondo il celebre principio cinese – tutto ciò che si muove, vola, nuota o resta
tenacemente attaccato alla terra può essere trasformato in fantasia gastronomica e in cervellotica rarità. Ma si allarga anche la paura, perfino paranoica, ripetono i 430 tecnici
del noenato Dipartimento di Igiene Alimentare: è il timore non solo dei comuni mal di pancia, ma di lasciarci le penne per colpa dei tanti veleni che i test sanitari individuano con
crescente frequenza nelle 300 mila tonnellate di riso e nelle 169 mila di maiale importate ogni anno per riempire stomaci famelici insieme con altre potenziali «bombe
batteriologiche» come i 17 milioni di polli e il miliardo e mezzo di uova provenienti dal cuore (tutt’altro che incontaminato) della Cina.
Hanno trovato di tutto, una fiera dell’orrido che va dai pesticidi ai batteri e l’anno scorso il solo nonovirus – tanto per fare un esempio – ha colpito quasi 2800 persone, mobilitando molti
ospedali e spingendo le autorità sanitarie a previsioni nere sui trend del futuro prossimo.
E allora se le istruzioni alla prudenza compaiono dappertutto – come «Non comprate da magiare per strada», «Cuocete bene il cibo», «Scegliete con attenzione il
sushi e il sashimi», «Toglietevi dalla testa che il vino e il wasabi uccidano i batteri» – le minacce di multe per gli spreconi a tavola non faranno che aumentare la paranoia
collettiva. Il cibo sembra trasformarsi in un nemico e la tradizionale bulimia orientale è in pericolo.
«Ci vogliono più controlli», ammonisce il Centre for Food Safety. Vuotare la scodella non basta.

Fonte: www.lastampa.it

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