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Siria, il vino dei Saadé sfida la guerra

Siria, il vino dei Saadé sfida la guerra

By Redazione

Un vino come simbolo di pace, la vendemmia come simbolo di resistenza, bottiglie di qualità internazionale per unire un Medio Oriente tormentato.

Questa la storia della famiglia Saadé, marchio storico recentemente protagonista di un articolo de “The Atlantic”.

Come ricorda il giornale, la vita dei Saadé non è stata facile: d’origine greco-ortodossa, nati come industriali, nel 1960 subiscono l’esproprio dei beni. Decisi a ricominciare,
decidono per il business del vino, tentando di riportare in vita l’antica vinicoltura siriana, abbandonata dopo la diffusione dell’Islam.

Nel 2003, il primo traguardo raggiunto, con la semina delle viti alle pendici dei monti Al-Ansariyah, nel Nord-Ovest del Paese. Nel 2006, la prima vendemmia, capace di attirare l’interesse di
Stéphane Derenoncourt, consulente di aziende prestigiose come quella di Francis Ford Coppola, Napa Valley, Tenuta Bolgheri, Toscana, e Bordeaux.

Oggi, la famiglia ha due principali zone di produzione, Château Marsia nella Bekaa Valley, in Libano, e Château Bargylus vicino a Latakia, in Siria. Dalle cantine escono 600.000
bottiglie l’anno, tra cui rossi e bianchi capaci di farsi apprezzare a livello internazionale: tra i grandi chef che li utilizzano, Gordon Ramsey.

Secondo gli esperti, come Eric Pfanner del “New York Times”, il segreto sta nella zona
del produzione: nati da coltivazioni del Mediterraneo, i vini della famiglia vantano profumi tipici come cedro ed eucalipto ed un sapore fresco e salino.

Poi l’arrivo della guerra, con i combattimenti arrivati pericolosamente vicini alle zone di lavoro ma, spiega il titolare Karim Sadé, la fuga non è un’opzione: “Dobbiamo andare
avanti. Dobbiamo restare qui e superare le difficoltà, come abbiamo sempre fatto”.

Così, i lavoratori stagionali per la vendemmia sono rimasti, 60 stagionali in aggiunta ai dipendenti fissi, le operazioni previste tra ottobre-novembre. E, per assicurare la
qualità del prodotto, le uve saranno spedite in Libano, per farle analizzare da esperti, attraversando una zona infestata da rifugiati, predoni ed estremisti islamici.

Anzi, conclude Saadè, sono previste ulteriori espansioni della vigna: perchè “Il vino ci ha legato a questa terra. Non possiamo fare i bagagli e chiudere tutto”

Matteo Clerici

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