Raffaella Curiel nel libro strenna “Giovanissima e Immensa”

29 Dicembre 2020
“Giovanissima e immensa”. Ritratto della nostra società alle soglie del new normal.
Libro di Achille Colombo Clerici ediz. Casagrande Lugano Milano. Interviste di Antonio Armano. Nelle librerie da Natale.
Anticipiamo uno stralcio del libro in cui si parla di Raffaella Curiel:
Negli anni Cinquanta e Sessanta della rinascita sulle macerie dei bombardamenti, il nome Curiel viene associato alle prime della Scala – quindi agli abiti di alta moda delle grandi occasioni –, ma anche ai “curiellini”, i vestiti semplici ed eleganti che accompagnavano la moderna donna di classe nella vita di tutti i giorni che si faceva sempre più frenetica durante il boom industriale di una città che diventava sempre più produttiva.
È l’epoca della mamma di Lella, Gigliola, delle serate mondane che si sostituivano alle notti belliche del coprifuoco.
Come nasce il curiellino?, chiedo a Lella Curiel.
«Negli anni Quaranta e Cinquanta, nel dopoguerra, c’era un abito per la
mattina, uno per il pranzo, uno per la sera, uno per il galà… Lei ha detto: no,
ci vuole un vestito solo, che vada bene dalla mattina alla sera. Un piccolo
vestitino nero. Non c’era una donna in Italia che non avesse il curiellino…
E in America. Sai quegli abitini con un piccolo dettaglio, tagliati divinamente bene?»
Anche in linea con lo spirito milanese della sobrietà…
«Con la sobrietà, ma anche con questo mondo milanese in cui le donne
iniziavano a lavorare.»
Nel salotto di Gigliola Curiel arrivavano personaggi come Rubinstein
e Benedetti Michelangeli, Remarque e Paulette Goddard, la Pampanini,
Montale, Wanda Osiris, Macario, Remigio Paone, oltre a tanti industriali
come Moratti e Rizzoli. Alcuni nomi sono associati alle ricette. Fiori di
zucca ripieni piacevano a Soldati. La Giulietta (Simionato), mezzo soprano,
andava matta di sformato di formaggio e pere. Allora tutti i “grandi” si
chiamavano per nome: la Maria (Callas), l’Arturo (Toscanini), la Renata
(Tebaldi), il Gaetanino (Afeltra), il Ciro (Arturo Benedetti Michelangeli).
Gigliola Curiel, prima stilista italiana ad avere un’esclusiva con Bergdorf
& Goodman, grande e lussuosissimo store di New York, andava negli Stati
Uniti due volte all’anno. Nei weekend era sempre a Riverdale, a colazione
a casa di Toscanini.
Rubinstein veniva a colazione da Gigliola Curiel, quando arrivava a Milano
per un concerto: «Era piccolo, minuto, con delle mani sproporzionatamente
lunghe per la sua altezza. Silenzioso e ritroso, ti guardava con due
occhi a spillo, ma profondi e intelligentissimi. Un giorno chiesi a mamma:
“Perché è così semplice?”. Rispose: “Tutti i grandi sono umili”. Per il lunch
mamma faceva preparare pollo in salsa bianca, oppure la “Soupe à la reine”.
Arthur mangiava come un cardellino, piccoli bocconi che masticava lentamente.
Subito dopo il desinare correvano “a far musica” nel salone dove
troneggiava un pianoforte a coda. Una volta li ho visti suonare a quattro
mani, ma una volta sola».
Remarque amava le patate. Faceva coppia con Paulette Goddard, attrice
di Charlie Chaplin: «Lui era divino e superchic, lei… in fondo uno scricciolino.
E perfida».
Nella Liguria della villeggiatura, l’incontro con il futuro marito, Gualtiero
Castellini, discendente di una famiglia di banchieri.
«Eravamo teenager a Levanto. Mamma affittava da anni la piccola
casa dei Marchelli, graziosissima in mezzo a un giardino con oleandri,
viti, alberi da frutta e un magnifico orto. Non ho mai amato andare in
spiaggia e in quel paradiso m’impigrivo e mi trastullavo fra fiori, disegni
e ortaggi. Ero bruttina, grassoccia e molto crespa, infatti mi chiamavano
“la pecora”. Un anno venne da noi ospite Adonella Colonna di Paliano:
bella, slanciata, bruna dagli occhi cerulei e, per di più, principessa. Qualche
giorno dopo il nostro arrivo, “Ado” ritornò entusiasta dalla spiaggia
raccontandomi che aveva conosciuto un cavallerizzo di fama, aitante, elegante
e fascinoso: Gualtiero Castellini. Eccitata come non mai all’idea di
vederlo, stirai i capelli e sfoggiando un paio di shorts, visto che l’unica
cosa magra erano le gambe, partii trafelata per i bagni del Casinò. Lo
conobbi… Tornai all’ora di pranzo a casa e confessai alla tata Ia: “Quello
me lo sposo com’è vero Dio!”…».
Per lasciare un segno nella maison…
FOTO: da sin. Raffaella Curiel, Achille Colombo Clerici e Iva Pavic console generale di Croazia
Redazione Newsfood.com
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