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Pirati, ribelli ed artigiani: breve storia dei marchi di alcolici

Pirati, ribelli ed artigiani: breve storia dei marchi di alcolici

By Redazione

Un alcolico è più di un prodotto chimico: spesso è il risultato di storie, decisioni e leggende interessanti, riassunte (e sfruttate) dalle loro etichette.

Una linea di rum prodotto a Porto Rico ed in Jamaica prende così il nome del corsaro britannico Henry Morgan.

Morgan (1663? – 1674) fu uno dei principali protagonisti della guerra di corsa tra Gran Bretagna e Spagna, predone abile e spregiudicato la cui impresa principale fu la conquista ed il sacco di
Panama, all’epoca fiore all’occhiello della colonie iberiche d’oltremare. Prendendo il suo nome, il rum vuole rievocare quell’epoca di avventure, arrembaggi e ricchezze guadagnate e perdute con
violenza e facilità.

Il whisky Jonny Walker ricorda una vicenda di patriottismo scozzese.

Nel XVIII° secolo, i funzionari della Corona britannica decisero di tassare il whisky scozzese. Sdegnati, i produttori della bevanda iniziarono a lavorare in maniera clandestina: tuttavia,
i necessari limiti di segretezza e di rapidità limitavano grandemente la qualità della merce. Il problema fu risolto da John (Jonny) Walker, droghiere di Kilmarnock, che
miscelò vari tipi di malto allo stesso modo con cui miscelava le foglie di tè per creare una varietà composita. Il risultato fu il primo whisky miscelato, subito
apprezzato.

La tequila Josè Cuervo inizia la sua storia nel 1758, quando il re di Spagna cede ad Antonio de Cuervo un pezzo di terra nello stato messicano del Jalisco. Successivamente, José
María Guadalupe Cuervo usa il terreno come sede di una distilleria, poi chiamata Fabrica La Rojeña. Nel 1873, il liquore inizia a diffondersi negli Stati Uniti e dal 1900 prende
il nome di Josè Cuervo. Attualmente, la compagnia è gestita dai Beckmann, gli eredi dei Cuervo.

Anche senza descrivere vicende specifiche, un marchio di nome è sempre utile. Leggendo Jack Daniel’s sulla bottiglia, il consumatore rievoca un mondo di qualità artigianale, di
maestri che creano con costanza e pazienza, di sistemi di lavorazione “umani” e rimasti immutati nel tempo.

Infine, l’importante è che il marchio sia suggestivo, non che dietro vi siano persone realmente esistite: a proposito, illuminante la storia del whisky Bailey’s. Nel 1970, i produttori
del il gin Gilbey’s decisero di lanciare un alcolico che rappresentasse l’Irlanda. Fu così creata una crema di whisky dal sapore gradevole, che necessitava però di un nome
interessante per il mercato. Inizialmente, il team di sviluppo diretto da David Dand prese in esame la firma presente sulle bottiglie di Gilbey’s: W & A Gilbey, dove le 2 lettere erano le
iniziali dei fratelli fondatori. I creativi cambiarono la W in R e nacque così la prima parte della firma R & A.

Riguardo al nome, il team di Dublino che seguiva il progetto si incontrava al Bailey Pub dopo le impegnative giornate di lavoro, mentre il team di Londra soggiornava presso il Bailey Hotel. Il
nome piacque e rimase: nacque così la la firma “R & A Bailey”.

Fonte: “In Depth: Behind The Booze Brands”, Forbes.com, Giugno 2008

Matteo Clerici

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