L’usignolo: un gorgheggio melodioso nelle notti di primavera

22 marzo 2015

Gabriele d’Annunzio, che sapeva piegare alla sua volontà creatrice tutte le sfumature della lingua italiana, in una pagina de “L’Innocente” paragona, con armonia ed echi suggestivi, il canto dell’usignolo a uno scoppio di giubilo melodioso, un getto di trilli facili che cadono nell’aria con un suono di perle rimbalzanti su per i vetri di una armonica. Il pezzo di bravura, che mette in luce il virtuosismo dell’Autore così prosegue un gorgheggio si leva agilissimo, prolungato come per una prova di forza, per un impeto di baldanza, per una sfida a un rivale sconosciuto. Un tema di tre note, con un sentimento interrogativo passa per una catena di variazioni leggere, ripetendo la piccola domanda cinque o sei volte, modulato come su un tenue flauto di canne, su una fistola pastorale. Il canto diventa elegiaco, in tono minore, si addolcisce come un sospiro, si affievolisce come un gemito, esprime la tristezza di un amante solitario, un desio accorato, un’attesa vana. Un richiamo finale, improvviso, acuto come un grido d’angoscia e si spegne.
All’inizio della primavera  gli usignoli cantano nella notte fino al mattino e in primavera avere tante persone sedute a tavola e tutt’intorno fiori disposti come quadri e oggetti belli e curiosi sistemati con finta noncuranza, è un modo naturale e spontaneo per ritrovare il ritmo delle stagioni insieme ai gusti dell’infanzia. Un mondo dove il piacere della compagnia si unisce a quella della conversazione.
La casa, calda e accogliente è il mondo quotidiano di ogni persona che ha fatto della sua vita un’arte. Il senso dell’armonia che si trasfonde nella  casa ha il valore di una coloratissima pennellata di sensazioni: un esercizio di stile per cercare di valorizzare i ricordi di un viaggio, lungo come una vita.
La Signora in Rosso
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