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La guerra del latte di mucca è come il rotolone Regina… non finisce mai
15 Dicembre 2025
By Giuseppe
Il prezzo alla stalla e il prezzo al consumo del latte è una tenzone che dura da tempo…
Allevatori di vacche e casari, grandi e piccoli, sempre in lotta
Piacenza, Newsfood.com, 5 dicembre 2025
Testo di Giampietro Comolli
La questione latte, scoppiata recentemente, non è nè una notizia nè una novità. Il prezzo alla stalla e il prezzo al consumo dei due formaggi “top” italiani a pasta e grana dura, ovvero il Parmigiano Reggiano Dop e il Grana Padano Dop, sono sempre stati al centro di attenzione, di criticità, di problemi, di alti e di bassi. Ricordo nel 1983-1984 quando compilai 1850 schede di “quote latte” per una zona collinare-montana italiana per conto della Coldiretti: da quel giorno il latte italiano è stato al centro di problemi e di discussioni. Allora si discuteva addirittura anche del famoso trasporto del latte dalla montagna a grandi ditte di trasformazione (tipo Polenghi, Galbani, Parmalat ma anche piccoli caseifici) se il contributo regionale di 10 o 12 lire al litro copriva o non copriva il trasporto.
Dobbiamo abituarci a un nuovo modello, sistema, approccio. Intendo anche quelle che sono non solo le regole della UE attraverso gli Ocm e attraverso i sostegni diretti e accoppiati della nuova Pac. Fare ricorso sempre all “..aiuto del governo” diventerà sempre più difficile. Ovvio che l’agricoltura, il mondo della produzione agraria, dovrà sempre avere un sostegno perchè è nello “status esistenziale” del sistema di impresa che necessita una attenzione particolare in quanto troppo suscettibile a variazioni e variabili terze rispetto al percorso stalla-mercato.
L’agricoltura, in quanto settore economico primario per qualunque economia, necessita di una visione trasversale complessa e di filiera controllata proprio perchè in balia di variabili indefinite. ma un conto sono le variabili naturali , e un conto sono le variabili speculative che non possono nè ricadere sul produttore di latte nè sul consumatore finale italiano o non italiano.
Diciamo che gli ultimi 2-4 anni hanno visto i due formaggi Dop leader italiani e mondiali crescere in misura notevole, sia come volumi che come prezzo alla stalla: il latte è passato da 38-42 centesimi di euro al litro a 63-70 centesimi per una rincorsa delle richieste di mercato ma è anche vero che oggi tasse, imposte, accise, dazi, Pac impongono una nuova strategia sia del grande allevatore che del grande e piccolo casaro. Da vignaiolo potrei dire: magari fosse successo e succedesse al prezzo dell’uva o del vino sfuso un incremento e una variabilità di prezzo così significativa (e utile se saggiamente messa in cascina!!).
Il “furmai a grana dura” nasce nei monasteri padani fra Milano e Piacenza dove c’erano le grandi abbazie di Chiaravalle costruite da san Bernardo a metà del XII° secolo e da allora è diventato un must. I contadini producevano il latte e i monaci lo trasformavano in formaggio. Nel 2025 (ma già nel 2024) le stalle hanno iniziato a produrre di più delle quote assegnate e i caseifici a sfornare forme più o meno stagionate.
Oggi anche il mondo salutistico guarda al “furmai stagionato” non troppo come ad una fonte salutare ricca, addirittura da quando anche la questione conservati, lattosio, glutine, caglio ha subito modifiche, cambiato strategie, concesso diversi variabili tipologiche. Ci troviamo sul mercato quindi forme di Grana Dop e di Reggiano Dop “smarchiate” o destinate in origine a un mercato alternativo con prezzi decisamente interessanti sugli scaffali e sul banco degli spacci aziendali per un eccesso di latte prodotto, o per scelte industriali o per rispondere anche ad un canale di consumo alla ricerca di un “furmai” stile antico senza conservanti salutistico senza lattosio e cagliato con caglio vegetale, pronto dopo 6 mesi, fresco, profumato, digeribile. Un mercato quindi sempre meno globalizzato e sempre più segmentato. Ovvio anche che un aumento della produzione, un aumento delle forme sul mercato porta ad un ribasso del prezzo.
Ecco che sono già partiti gli allarmi: produrre meno latte, raccogliere meno latte dalle stalle, prezzo alla origine al ribasso… che determinano un cambio di visione. Ecco al di là delle condizioni base di mercato (nb: domanda e offerta) in cui anche la domanda Usa e internazionale sta frenando e la produzione di latte in nord Europa è in aumento, diventa urgente un impegno e un cambio di passo anche da parte dei mega “consorzi” italiani.
E’ di qualche giorno fa il blocco di due autostrade in Francia che uniscono il regno delle stalle da latte a Parigi e l’aumento della produzione e della domanda dei formaggi tedeschi semifreschi di nessuna Dop, ma “brand” industriali forti con il prezzo del latte in quotazione ancora buona per le stalle. Troppo il latte in circolazione fra i paesi Europei. Troppo potente il potere di qualche marchio industriale europeo. Forse poche le risposte e le idee sindacali nazionali per far fronte ad un cambio che è sempre più non solo nell’aria ma nei dati di fatto del carrello della spesa.
Bianco d’Italia
Non tanto perchè il consumatore non ha i soldi per acquistare il prodotto, quanto piuttosto per le oscillazioni e i continui cambi di condizioni. Oggi più che un sostegno al prezzo (politica Pac europea) o anche al reddito indiretto, occorre un verifica e vigilanza vera estratta lungo la filiera in modo da standardizzare la produzione Dop e non Dop senza dettare multe e sanzioni che tanto – con guadagni ottimi – si possono sopportare benissimo sia grandi imprese che piccole.
Giampietro Comolli
agronomo economista enologo accademico
presidente Osservatorio Economico Mercati e Consumi agroaslimentari
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