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Intervista a Dario Dongo sulla petizione Great Italian Food Trade per salvare il Made in Italy alimentare

Intervista a Dario Dongo sulla petizione Great Italian Food Trade per salvare il Made in Italy alimentare

By Giuseppe

Milano, Lunedì 9 febbraio 2015

Giuseppe Danielli:
Siamo a Identità Golose, il Congresso di Cucina dei grandi Chef; abbiamo chiesto a Davide Scabin, Claudio Sadler e Pietro Leemann cosa sia per loro l’Identità del Made in Italy e nel frattempo ci è pervenuta una email dall’amico Dario Dongo, con richiesta di firmare una petizione. E’ un tentativo di salvaguardare il Made in Italy e le imprese italiane.

Abbiamo chiamato Dario Dongo e questo è ciò che ci ha detto:

Dario ongoDario Dongo

Dario Dongo, sei un avvocato esperto di ‘international food law’ che, dopo 10 anni di militanza in Federalimentare, lascia Confindustria per dedicarsi a un progetto personale che è rivolto a un obiettivo comune, ‘Great Italian Food Trade’. Ci puoi spiegare di che si tratta?

“Partiamo da un presupposto. L’indice demografico in Italia come in Europa ha raggiunto i minimi storici, e l’austerity non ha esattamente stimolato i consumi nel vecchio Continente. La produzione agroalimentare italiana deve perciò trovare nuovi sbocchi, a rischio di soccombere altrimenti, anche a causa del progressivo sgretolamento della Politica Agricola Comune. Personalmente dubito che valga la pena di insistere più di tanto sui mercati storici – come Stati Uniti, Canada, Australia – ove le imitazioni di alimenti italiani hanno ampiamente superato quelli originali, grazie all’assenza di regole e di tutele. Credo invece ci si debba riferire al nuovo ordine mondiale già manifesto: Cina, prima economia mondiale, Russia, prima economia europea, Brasile ma anche Messico, Turchia, Nigeria e altri mercati ove la crescita annua è prossima alle due cifre.
Il progetto di internazionalizzazione ‘Great Italian Food Trade’ nasce da tali premesse, con l’obiettivo di promuovere sui nuovi mercati la Cultura alimentare italiana più autentica e sana, improntata a criteri di sviluppo sostenibile a 360′. Dalla produzione agricola primaria fino al consumo consapevole, abbiamo ottimi esempi di tutela degli eco-sistemi flori-faunistici, equi redditi e diritti ai lavoratori nell’intero ambito della filiera ovunque originata, attenzione verso le comunità locali.
Ciò richiede, a mio umile avviso, uno sforzo di comunicazione quanto possibile obiettiva e indipendente, nelle lingue dei diversi popoli. Ed è perciò che ‘Great Italian Food Trade’ si sviluppa in otto idiomi, parlati da 3,8 miliardi di consumatori di cui un terzo ha regolare accesso a internet. Utilizzando il web, appunto, come primo strumento di informazione.”

Le imprese alimentari italiane, come si collocano in questo percorso?

“L’impressione, a due anni dal lancio della prima edizione di ‘Great Italian Food Trade’, é che le imprese italiane siano ancora immature rispetto al percorso proposto. Molti continuano a indulgere sulla pubblicità televisiva nazionale, investono nelle fiere internazionali somme anche cospicue, confidando nell’utilità del contatto diretto con i ‘buyer’ internazionali. Tutto ciò ha le sue ragioni, fuor di dubbio, ma alla scarsa attenzione degli imprenditori italiani verso l’internazionalizzazione sul web corrisponde l’attivazione su questi strumenti di operatori stranieri che, fregiandosi del c.d. ‘Italian sounding’ dei loro prodotti pur realizzati altrove, traggono invece gran beneficio dal crescente interesse dei consumatori globali verso l’idea di italianità. Di fatto, la filiera produttiva italiana sta perdendo quote di mercato su un canale vincente. Basti pensare al fatto che gli oltre 360 milioni di consumatori cinesi che effettuano regolarmente acquisti sul web, su base settimanale, inseguono il ‘Made in Italy’ su portali locali di ecommerce che raramente offrono prodotti autentici. E non ricevono offerte alternative atteso che, al di fuori di ‘Great Italian Food Trade’, esistono ben pochi siti nella loro lingua dedicati all’alimentare italiano.”

E allora, tu lanci una petizione internazionale per la tutela del ‘Made in Italy’?

“Non esageriamo, io mi limito ad affermare il valore cruciale dell’indicazione della sede dello stabilimento su tutti i prodotti realizzati in Italia e ovunque destinati. Non mi illudo che ciò possa salvare il ‘Made in Italy’ alimentare sul pianeta, ma credo si tratti di uno strumento utile ai consumatori globali per riconoscere in un colpo d’occhio i prodotti italiani autentici. Se questa misura verrà effettivamente adottata, con uno strumento legislativo peraltro già disponibile da 23 anni – il decreto legislativo 109/92, appunto, che attende solo di venire notificato a Bruxelles – le autorità italiane deputate al controllo pubblico ufficiale potranno effettivamente garantirne l’applicazione. Con il duplice vantaggio di facilitare la protezione della salute dei consumatori, nelle pur remote ipotesi di gestione delle crisi di sicurezza alimentare, e di tutelare i consumatori stessi rispetto ad eventuali frodi che possono occorrere in tutti i casi di prodotti commercializzati con ‘apparenza italiana’ eppure realizzati altrove”.

E nel resto del mondo, chi ci garantisce che migliorerà la tutela del ‘Made in Italy’ rispetto al cosiddetto ‘Italian sounding’?

“È difficile fare previsioni, e il caso del ‘Parmesan’ in Germania é anzi emblematico di come le autorità di controllo locali tendano a privilegiare gli interessi nazionali – quando anche si tratti di delinquenza e contraffazione – rispetto a quelli di altri paesi. In ogni caso, la garanzia legale della sede dello stabilimento produttivo offre alle autorità e alle associazioni dell’intero globo uno strumento certo di identificazione del prodotto originale italiano. E tanto più questa garanzia sarà resa nota, nei cinque continenti, tanto più potrà accrescere l’interesse di tutti verso il prodotto italiano autentico.”

Una tesi suggestiva, cosa manca?

“La determinazione condivisa verso l’obiettivo, anzitutto. É questo il senso della petizione che ‘Great Italian Food Trade’ ha rilanciato, sulla scia della brillante iniziativa a suo tempo proposta sul blog ‘Io leggo l’Etichetta’. Poiché siamo in molti – dall’agricoltura all’artigianato, la trasformazione industriale, la distribuzione, i consumatori e i cittadini – a credere nel valore unico del ‘Made in Italy’ alimentare, dobbiamo far sentire le nostre voci! In Italia, in Europa e nel mondo. Perché le pseudo-informazioni del tipo ‘Distributed by …’ sono del tutto prive di significato. Non servono alla gestione di crisi di sicurezza alimentare, la cui efficacia è legata alla tempestività di interventi che non possono attendere i tempi di risposta di importatori e distributori localizzati chissà dove. E non servono a valorizzare le produzioni dei diversi distretti, ciascuna delle quali ha un’identità propria e per definizione meritevole di riconoscimento del Valore del Lavoro, della manifattura, della tradizione e dell’innovazione. Tenendo a mente che si tratta di alimenti, ingredienti di salute del nostro organismo, e non di microchip o di bulloni.”

 etichette

 

E quindi?

“Quindi bisogna aderire tutti alla petizione, con un semplice clic sulla parola ‘petizione’ nell’articolo ‘etichette trasparenti’, sulla homepage di http://www.greatitalianfoodtrade.it. Ed é utile guardare oltre, iniziare a interessarsi ai nuovi mercati di cui é stato offerto breve spunto, senza timore. La nostra squadra si occupa di assistere le imprese italiane in tutto ciò che serve per affacciarsi su questi mercati, dalla tutela dei diritti di proprietà intellettuale alle autorizzazioni, la c.d. ‘compliance’, le etichette. Avanti tutta!”

Giuseppe danielli
Direttore Newsfood.com

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