Il vino e la Cina, o China? Mercato Grande o Grande Mercato? Cosa fare per affrontarlo

21 Marzo 2013
Piacenza, 20 marzo 2013
Zenith Magazine, dedicato ai grandi magnati cinesi, ha dedicato un ampio articolo sull’acquisizione in Europa di imprese del vino e del cibo, con particolare attenzione ai brand
italiani, dopo le prime acquisizioni in Bourgogne e in Bordeaux.
Ora è l’Italia nel mirino, e l’Italia vuole sbarcare sul mercato del consumo cinese. Un bel binario che corre parallelo con gli stessi interessi.
La giornalista cinese ha intervistato per la prima volta un italiano, Giampietro Comolli -economista, noto esperto di vino e cibo, attualmente curatore del progetto
UnPOxExPO2015- sul mondo produttivo e sul mercato europeo del vino, delle tipologie, dei luoghi e della possibilità dei Cinesi facoltosi o di Fondi privati di investire in imprese
italiane. Newsfood.com insieme a Cino Tortorella, in rappresentanza di una grande struttura cinese, in occasione di Vinitaly presenteranno un progetto che
potrà dare un concreto contributo alle aziende vitivinicole italiane di affrontare nel giusto modo il mercato cinese.
Giuseppe Danielli
Giampietro Comolli, quale è la situazione oggi? Quale è il suo parere sul mercato del vino in Cina?
Comolli:
Italia e Francia sono leaders nell’alta qualità alimentare. L’Italia nel 2015, con Expo, sarà la patria mondiale della nutrizione e alimentazione. L’Italia ha sempre più la
leadership del vino di pregio. Sono Partner Advisor Winery della Cesare Maggi Inc. Exclusive Real Estates, fra le principali società europee nella compra-vendita di beni di lusso, dai
turist-hotels ai trophy asset, a palazzi e ville e mi interesso di seguire le acquisizioni degli investitori fuori Europa. I Cinesi, in particolare, sono alla ricerca di aziende italiane, hanno
disponibilità, chiedono brand noti, ma vogliono monetizzare al massimo il prodotto, meno il valore aggiunto. Spesso chiedono gradi marchi, solo per cercare l’affare. La nostra azione
è di dare valore alle componenti collegate al prodotto, il contesto distrettuale, la docg o dop, la localizzazione geografica e quindi sottoponiamo soluzioni chiavi in mano con un business
plan temporale a fronte di consulenze specifiche.
Dott. Comolli ma queste acquisizioni non fanno paura?
Risposta:
L’acquisizione di un marchio italiano, ovvero la perdita della proprietà italiana totale o parziale, non è il problema. Anzi. L’internazionalizzazione dei mercati e la
globalizzazione dei prodotti, se ben realizzata, porta inevitabilmente a creare aspettative e ad aprire interessi commerciali. Perdere la proprietà italiana del marchio, non vuol dire
perdere l’italianità del brand o del valore. Dipende da come si concretizza il contratto, da come viene impostata la gestione, da come l’Advisor sviluppa il piano di investimenti e lo
sviluppo nel tempo. La cessione di un bene-impresa italiano non è negativo se è ben guidato, se crea un successo reciproco, se il brand rimane un valore aggiunto italiano, se
mantiene maestranze locali, se attua investimenti a “doppio senso”. E’ proprio lo scambio e la conoscenza che possono favorire anche uno sviluppo del commercio sui mercati Cinesi.
Ma siamo sicuri che le due culture, le due lingue si capiscano?
Comolli:
sta proprio agli Advisor avere questa responsabilità e reciprocità. Compravendite dirette solo di operatori della mediazione sono molto superficiali, concentrati sull’atto di
vendita o acquisto e dell’intermediazione. Sarebbe opportuno che il Governo italiano intervenisse. Doveva già intervenire 20 anni fa con le prime acquisizioni di brand nazionali di
multinazionali spagnole, olandesi e francesi per tutelare la originalità, l’occupazione, il brevetto, la identità. Oggi è ancor più urgente che certe transazioni siano
fatte di fronte a esperi del settore, che siano richieste valutazioni e garanzie. Teniamo presente che per lo Champagne sono state proprio le acquisizioni delle principali maisons da parte
dell’aristocrazia nobiliare e industriale tedesca e anglo-olandese a dare un segnale di marketing utile per far crescere il mito nei primi anni del ‘900. Un mix, che se ben governato,
può dare grandi frutti ancora oggi. E’ la stessa cosa che già succede in Cina quando noi approdiamo sul loro mercato. Una mentalità diversa che deve essere ben conosciuta per
non fallire. Da qui l’importanza di referenti governativi sul posto che offrano garanzia, sicurezza, certezze.
Dott. Giampietro Comolli, lei è un economista ed un esperto del vino. Quale dovrebbe essere il giusto approccio col mercato cinese per i prodotti italiani
ed in particolare per il vino?
Comolli:
il mercato Cinese è molto complesso perché vastissimo, ed ovviamente molto interessante per le potenzialità e gli sviluppi. Da un punto di vista organizzativo purtroppo
l’Italia è partita in ritardo, sono partiti 15-20 anni fa solo alcuni imprenditori singoli illuminati, con ottime joint venture con altre imprese, qualcuno ha aperto uffici locali,
sicuramente molto utili per monitorare da vicino e con continuità il mercato. Purtroppo le informazioni locali non avevano fonti ufficiali. La Cina produce vino, ma non ha la stessa
cultura enoica europea. Il sistema cinese commerciale è totalmente diverso, occorre creare e organizzare un sistema collegato e collettivo: l’individualità non è
credibile.
Inoltre i numeri sono sempre con uno o due zeri superiori a qualsiasi altro Paese. Lo stesso dicasi per i rapporti di fiducia e garanzia: c’è molta precisione, attenzione catalogazione dei
prodotti e dei valori, ma secondo un loro metodo mentale che è diverso dal nostro. Molti dettagli che nel vino in Europa contano, in Cina vanno tutti spiegati, illustrati. I tempi sono
anche molto dilatati. Inoltre i canali di vendita presentano muri separatori molto alti come approccio e accesso per poi prendere nel tempo altre strade. Segue quindi una capacità di
dialogo, adattamento, burocrazia, contatti che devono seguire un loro iter, investimenti: i cinesi sanno benissimo di essere un mercato appetibile e di grande prospettiva. Vogliono dire la loro.
Solo personalità locali e personaggi ben addentro al sistema dei permessi, delle regole e dei rapporti distributivi può dare risultati certi e continui. Negli anni’90 la Francia,
con Sopexa, fece un grande lavoro di “semina e controllo”, contatti uno ad uno, investendo, facendo toccare con mano, formando al gusto.
Ci può fornire qualche dato interessante? Qualche dato economico sul mercato in Cina?
Risposta:
La Cina oggi ha impiantato 518.000 ettari, con una produzione di vino locale di 13 milioni di ettolitri. La produzione è molto popolare per prezzo, tipologia e qualità. Il vino
sfuso cinese più caro, quello miscelato e confezionato, vale 0,92 centesimi di euro al litro. Per circa il 95% la produzione è di vino rosso, con il vino bianco in continua e veloce
espansione al consumo, al punto che al consumo, il vino rosso totale, scende a sotto l’80% del mercato. Attualmente i vini bianchi più importati provengono da Australia e
Francia.
Una fetta minimale del mercato, circa il 15% del confezionato, è destinato a vini di grande pregio e valore, totalmente importati, superiori a 25 dollari americani a bottiglia, pari
a circa 120 milioni di bottiglie. La Cina importa vini per 3,940 milioni di ettolitri pari a circa 500 milioni di bottiglie per un valore alla dogana di 1,51 miliardi di dollari
americani ($) con un incremento sul 2011 del 7% in quantità e del 9% in valore globale. Il mercato cinese globale (stima) nel 2012 sia pari a 15,1 milioni di ettolitri di vino
consumato. Circa 1 litro/anno/procapite è il consumo.
Quale è il vino preferito dai consumatori Cinesi?
Giampietro Comolli:
Non è possibile definirlo. Il mercato dei vini rossi e bianchi di alta qualità è solo in alberghi, ristoranti, enoteche delle grandi città. Nelle campagne non si beve
vino assolutamente: il vino nazionale è destinato a luoghi di consumo e passaggio di lavoratori interni, come commercianti, imprenditori, venditori. Il vino bianco non deve essere
acido; il vino rosso non deve essere troppo tannico perché non si sposa con la cucina locale e abitudini, cultura, filosofia. Meglio vini abboccati e morbidi.
Quali sono i dati sul vino italiano in Cina nel 2012 ?
Comolli:
nel 2012 l’Italia è scesa al 5° posto dopo, in ordine, Francia, Australia, Spagna, Cile. su 100 bottiglie, 55 sono francesi contro le 6 italiane. Delle 6 bottiglie italiane, il
51% sono spumanti. Il vino italiano in Cina vale 100 milioni di dollari circa, con un valore di 310 dollari per ettolitro, quindi un valore medio all’origine di 3,1 dollaro a bottiglia.
L’Italia esporta anche vino sfuso, circa il 18%. Dai dati doganali nell’ultimo anno in Cina sono arrivate circa 25-28 milioni di bottiglie.
E degli spumanti italiani cosa ci può dire, sono ben accetti?
Comolli:
Il consumatore cinese benestante conosce le bollicine italiane, ma principalmente oggi beve champagne. Il Cava sta entrando bene con una campagna diffusione ben organizzata. Il valore di una
bottiglia di spumanti italiani è superiore alla media della esportazione, rasenta i 4 dollari americani a bottiglia franco destinazione doganale. Su 100 bottiglie di bollicine esportate,
le quote sono così suddivide: 45% di vini spumanti comuni classificati come VS o VSQ; 27% come Dop e Igp ( fra cui Prosecco Doc e altri Docg e Doc ) ; 22% come varietali VSQ ; 6%
come Asti Docg. In totale sono circa 11-12 milioni di bottiglie: 7 milioni di non Dop-Igp ; 4,5 milioni per sistema Prosecco Docg-Doc; 0,5 Asti docg.
In generale, che andamento ha il mercato di imprese vitivinicole in Europa?
Giampietro Comolli:
Oggi in Francia e Italia, ma anche il Spagna, in Portogallo e in Austria, sono in vendita diverse cantine “eccellenti”, non tutte sono un affare. Nei prossimi anni possono essere disponibili
circa 100 aziende collegate al vino, di valore superiore a 10 milioni di euro, cioè per grandi investitori. Il numero di aziende in vendita dipende dal numero di domande di acquisto e del
tipo di acquirente, dall’andamento commerciale, dall’investimento rurale che in Europa si preannuncia attivo, dal rapporto fra valore immobile e valore gestione. Oggi 1 ettaro vitato può
valere 1 milione di euro in una Regione, ma anche 60.000 euro in una altra Regione. Solo un advisor di fiducia e di grande esperienza può stabilire un valore giusto tenendo conto di tutti
i fattori economici, oltre ad aspetti architettonici, logistici, ambientali, regionali, etnici, culturali, faschion, mode, market.
Giuseppe Danielli
Direttore Newsfood.com