“No… quello…il direttore… è un mio amico… sono tanti anni che lavoriamo insieme”
Quando queste parole escono dalla bocca di un imprenditore seduto di fronte a me al tavolo della sala riunioni, nella mia mente partono le immagini di tutti i disastri ai quali ho assistito negli ultimi anni.
“Il direttore è mio amico” è la premessa naturale di operazioni finanziarie capestro, garanzie smisurate che mettono l’imprenditore in condizione di perdere tutto al primo soffio di vento, accettazioni del debito strappate con l’inganno e accordi di rientro delle esposizioni in grado di spolpare le casse dell’azienda fino all’ultimo centesimo…
…o semplicemente di finanziamenti a condizioni particolarmente svantaggiose, per non dire ridicole.
Sia chiaro, non ho niente contro i direttori di banca. Alcuni dei miei più cari amici sono i responsabili commerciali delle filiali di due banche italiane. Solo che non può esistere il rapporto di amicizia tra un imprenditore e il suo direttore di banca.
Quell’epoca è finita e quei rapporti di amicizia si sono estinti, come i dinosauri. Ne ho le prove.
L’ultimo ad accorgersene in ordine di tempo è stato Roberto, un mio cliente di vecchia data con il quale stiamo portando avanti un processo di ristrutturazione lungo e complicato, pieno di ostacoli ed imprevisti.
L’obiettivo finale del nostro lavoro è quello di ottenere un’azienda con basi finanziarie solide, da lasciare ai suoi figli che già lavorano in azienda con lui. E ci stiamo arrivando, un passo alla volta.
Uno degli imprevisti recenti è accaduto qualche settimana fa.
Quando aveva iniziato la sua attività Roberto aveva fatto un investimento, partecipando ad un consorzio di acquisto che riuniva molti appartenenti alla sua categoria. I colleghi, come li chiama lui.
A differenza di tanti altri, il consorzio ha funzionato bene, negli anni i soci si sono moltiplicati e i servizi sono sempre stati erogati agli associati. Sono stati così bravi da attirare l’attenzione di un grosso player mondiale, che ha deciso di acquistare tutte le quote per espandere la propria rete di affiliati.
Il risultato è stata un’offerta di acquisto riservata ai primi soci del consorzio, tra i quali il mio cliente.
In pratica, un investimento fatto circa 30 anni fa ha portato all’improvviso, nelle casse di Roberto, un incasso di circa 20 mila euro.
Erano soldi inaspettati, sui quali non abbiamo mai fatto affidamento, che non rientravano negli schemi del piano di risanamento che stiamo realizzando. Talmente inattesi da spingerlo ad agire senza pensarci su due volte.
“Ti devo chiedere scusa, mi sa che ho fatto una cazzata… Oggi mi hanno liquidato le quote, ho portato il circolare in banca alla direttrice alla quale l’avevo promesso… scusa, mi sa che ho fatto una cazzata”
Ero in macchina quando mi ha chiamato per dirmelo.
Roberto aveva raccontato alla direttrice di una delle sue banche la storia dell’acquisizione e questa “signora”, approfittando del rapporto amichevole, lo aveva convinto a portare l’assegno a lei per abbattere l’importo del fido.
Non mi aveva detto nulla dell’accordo e, essendo un uomo di parola, non appena aveva avuto quei soldi in mano era corso in banca a rispettare i suoi impegni. Senza nemmeno passare da casa. Senza avvisare nessuno.
Si è reso conto di essere finito in una trappola non appena è uscito dalla filiale.
Ma soprattutto, si è accorto di non avere nessun VERO rapporto personale con la direttrice quando, a distanza di 45 giorni dall’incasso di quella somma, proprio quella banca lo ha “invitato” a rientrare dell’intera esposizione.
La prima banca a ritirare il suo appoggio è stata quella che ha avuto di più.
Tutti gli imprenditori che cadono nella trappola del direttore-amico fanno un ragionamento di questo tipo: se io mi comporto bene con la banca, se mi sacrifico e dimostro il mio impegno, lei apprezzerà lo sforzo e si comporterà di conseguenza con me.
Come se esistesse un rapporto di scambio reciproco, quasi di amicizia, con la banca.
Ed è da questo ragionamento di base, mischiato con un paio di caffè offerti in filiale, che nascono le famose amicizie con il direttore di banca.
Quelle amicizie che rischiano di mettere a repentaglio l’esistenza della tua azienda e la tutela del tuo patrimonio.
“Incredibile, non me lo aspettavo proprio… e pensare che ho versato quei ventimila euro in unica soluzione… proprio lei mi ha voltato le spalle”
Questo è stato l’epilogo della sua amicizia con la direttrice di quella filiale.
Per quanto tu possa mantenere un rapporto amichevole con il direttore della tua banca, per quanto tu possa apprezzarne le competenze e per quanti caffè possa offrirti, ricorda sempre che nel rapporto tra la banca e l’impresa non può esistere l’amicizia.
Il direttore è il funzionario commerciale di una grande azienda per la quale le relazioni non esistono. Contano i numeri, i freddi numeri, ed è solo su quello che devi imparare a misurare la tua relazione con la banca.
La banca ti aumenta i fidi? ti abbassa i tassi di interesse? ti riduce le garanzie richieste?
Il vostro RAPPORTO è solido e sta andando nella direzione giusta.
Ti chiedono di rientrare un po’ alla volta del fido? Ti riducono la cassa? Non ti danno altro credito?
Devi prendere in mano la situazione e agire per liberarti dai debiti bancari, perché la situazione rischia di precipitare da un momento all’altro e le banche potrebbero voltarti le spalle all’improvviso.
Prima che accada devi essere già nelle condizioni di Roberto. Devi avere già indirizzato la tua azienda sul percorso che le permette di camminare sulle sue gambe.
Solo in questo modo, quando le banche ti chiuderanno i cordoni della borsa, tutto quello che dovrai subire è la delusione per la fine del tuo rapporto di amicizia con il direttore di banca, mentre la tua azienda continuerà ad andare avanti come se nulla fosse accaduto.