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Giuseppe Pizzolante Leuzzi, l’enologo salentino che sussura alle vigne… (intervista)

Giuseppe Pizzolante Leuzzi, l’enologo salentino che sussura alle vigne… (intervista)

By Giuseppe

Il Vino. Scienza intuito rigore

Intervista a Giuseppe Pizzolante Leuzzi, enologo salentino

Giuseppe Pizzolante Leuzzi è un enologo che trasmette una forte sensazione di sicurezza e competenza, grazie a una pignola conoscenza delle particolarità del territorio e alla cognizione complessa del settore vitivinicolo, anche nei suoi aspetti economici, legislativi e internazionali. Dal gennaio 2010 è alla guida enologica della Cupertinum, lo abbiamo intervistato per capire il progetto qualitativo della celebre Cantina di Copertino e il territorio salentino in generale.

PizzolanteconcaliceIn una intervista di anni fa, invitato a esprimerti sulla tua esperienza di velista in rapporto alla professione di enologo, hai dichiarato che “gli insegnamenti mi vengono dall’esperienza in barca singola, che ho fatto da giovane.

La singola ti obbliga a prendere decisioni immediate scegliendo la strategia migliore. Questa esperienza di sport mi è servita molto nella professione. Si va nella direzione che dice l’istinto, che è una magia fatta di esperienza e intuizione. Il vento e il vino hanno delle analogie, vanno assecondati e accompagnati”.

Una bella definizione e analisi. Si può definire l’enologia una contaminazione tra arte e scienza, tra intuito e rigore?

Tra scienza, intuito e rigore c’è un filo conduttore che unisce queste parole al vino, sicuramente. I risultati difficilmente si raggiungono senza il rigore, con il rigore si può usare anche l’intuito, intuito sostenuto però dalla conoscenza scientifica. Per l’arte non sta a me dirlo. Però sicuramente dove c’è una scelta che implica il gusto (in tutte le sue sfumature di senso), come avviene nella degustazione, può esserci emozione e quindi in qualche misura anche arte.

Dal tuo arrivo alla Cupertinum, in cinque anni, hai reimpostato la produzione, diversificando la rosa dei vini, con la proposta di quelle che sono diventate già dei classici, come il Glykós Passito, il Primitivo, il Settantacinque, lo Spinello dei Falconi Rosato, gli Squarciafico, e consolidando la fama dei Copertino Doc e del Negramaro Igt. In cinque anni ha portato a casa molti premi prestigiosi assegnati dalle Guide e dai Concorsi più attendibili. Come saranno i vini del futuro?

Mi piacerebbe avere la sfera dei veggenti! Il lavoro che dobbiamo fare è sempre quello di stare al passo con i tempi, a contatto con il mercato, con i consumatori, capire le tendenze, è necessario per stare sul mercato. Questo non significa stravolgere i vini, che devono far parlare l’uva e il territorio. Sicuramente si dovrà lavorare per rendere meno necessario l’intervento dell’uomo, lasciando i vini quanto più naturali possibile.

Dopo la ristrutturazione della parte sotterranea della Cantina, hai approntato una splendida cantina scavata nella roccia e iniziato a usare le barrique. È Negroamaro il vino contenuto? Che prodotto hai in mente con il vino che riposa in quelle barrique?

È un Negroamaro 2014, probabilmente diventerà un Copertino Doc e sarà un vino che asseconda i gusti di una parte del mercato, quella attenta a questa elevazione. Certamente amplieremo la barricaia, ma è ancora presto per dire in che quantità. Sicuramente continueremo a fare il Copertino classico che piace tanto a migliaia di appassionati, ma questo non ci vieta di dedicare attenzione a nuove proposte.

Se fossi il Ministro delle Politiche Agricole quali provvedimenti prenderesti per il mondo del vino e per il settore agricolo in generale?

Terrei innanzitutto presente una cosa: ogni nuovo Ministro a inizio di mandato rilascia dichiarazioni importanti, ma poi i cambiamenti stentano ad arrivare, mi chiederei il perché. Credo che sia necessario capire che l’agricoltura va posta al centro della nostra economia, non considerata una parte importante, ma vada messa proprio al centro. Il mio auspicio è che non solo il Ministero dedicato deve capirne l’importanza ma l’intero  Governo. È un ribaltamento di prospettiva necessario. A volte guardando la televisione sembra che l’agricoltura sia una palla al piede, con gli agricoltori che si lamentano e chiedono i sussidi. Invece l’agricoltura è la maggiore risorsa del paese e deve essere il perno della nostra economia, è un’industria che si estende da sud a nord per 1200 chilometri. Quando parlo di agricoltura, intendo paesaggio, turismo, gastronomia, ecologia, con questa prospettiva non solo ci sarebbe il giusto reddito per chi lavora in campagna, ma anche uno sviluppo del Paese intero.

Cosa ti ha insegnato il mondo del vino?

A non avere paura. Quando ho iniziato a fare il mio mestiere era l’inesperienza a farmi preoccupare ma poi ho capito che la programmazione e la razionalità sono fondamentali nell’enologia ma anche nella vita in generale.

Ti capita di immaginare un vino, e poi pensare a come realizzarlo?

Sì, per esempio quello che mi immagino in questa cantina è di riuscire a fare un Copertino, che sia accettato da tutti come Copertino, ugualmente buono a quelli attuali, ma diverso. Ora stiamo uscendo con dei Copertino Doc d’annata molto importanti. Il futuro Copertino che sogno è altrettanto importante ma più giovane, non solo nell’annata ma anche negli aromi e nei sapori. Spero di riuscirci.

Tra logiche del mercato e qualità, qual è la tua posizione?

Per essere realisti penso sia necessario un compromesso. A volte è bello fare poesia ma poi è il mercato che decide. Il mercato non è una figura astratta ma è tante persone che ogni giorno comprano una bottiglia di vino. Una delle attenzioni dei professionisti che lavorano in questo settore è conoscere i gusti delle persone. Oggi c’è una disaffezione verso i vini più strutturati e complessi e si sta andando verso vini di qualità e nello stesso tempo anche molto bevibili.

Nella relazione tra tutti gli aspetti di produzione di un vino è più importante il terroir, il vitigno, il lavoro dell’uomo, l’annata?

Direi in primo luogo l’annata, perché ci può essere il lavoro più bello e il terroir migliore, ma se l’annata è brutta si impone sugli altri aspetti. A parità di belle annate metterei prima il terroir e poi il lavoro dell’uomo, perché comunque le espressioni del territorio devono prevaricare il lavoro dell’uomo. L’enologia ha fatto in passato degli errori pensando di annullare il terroir, oggi invece il mercato ci chiede prodotti che siano espressione del territorio. Quando dico terroir intendo ovviamente la relazione tra vitigno e territorio.

In Salento è difficile fare vini bianchi?

Non credo ci siano grandi differenze, per storia e clima siamo più portati per i vini rossi, ma con le tecniche agronomiche migliori, con la raccolta anticipata per ottenere una buona acidità, che i bianchi devono avere, con l’individuazione del vitigno più adatto, e con le nuove tecnologie del freddo in cantina ormai riusciamo a produrre vini bianchi importanti.

…e poi c’è il salentinissimo Rosato, lo Spinello dei Falconi nel caso della Cupertinum.

Il Rosato è il vino più difficile da fare. Chi come noi l’ha sempre fatto, ha un rapporto particolare con questo vino, che ha bisogno di cure particolari, mezz’ora in più o in meno del mosto con le bucce e la tonalità cambia, il profumo cambia. È il vino di una notte, in una notte ci si gioca la sua qualità. Il Rosato del Salento è simbolo del territorio e dobbiamo sempre rivendicarne la paternità. Bisogna stare attenti alle mode (per esempio non mi convincono i rosati color pel di carota o quasi bianchi macchiati) perché rischiano di snaturare la salentinità del Rosato da negroamaro, che ha questa bella nuance marcata rosso corallo.

Infine qualche parola sul progetto del Vigneto sul Castello di Copertino.

È un progetto divenuto una realtà che continua a interessare ed entusiasmare tutti, nato dalla Cupertinum, che riempie d’orgoglio i nostri soci, ma che mi piacerebbe diventasse sempre più l’orgoglio di tutti i copertinesi, il simbolo della Copertino operosa. È un vero e proprio circuito virtuoso territoriale e planetario tra produzione di qualità, cultura, turismo, non per niente sta riscuotendo un’attenzione straordinaria dai media generalisti e di settore.  È un progetto unico al mondo, nato dalla collaborazione tra la Cupertinum,  la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Lecce, la Direzione del Castello di Copertino e il Polo Museale della Puglia. Il Vigneto sul Castello sta facendo rivivere la storia. Documenti storici testimoniano che i bastioni del Castello di Copertino – uno dei più belli della Puglia – erano utilizzati anche come giardini pensili e coltivati a vigneto e oliveto. Il nuovo vigneto, posto sui bastioni, è stato impiantato nell’aprile del 2014 con sistema di allevamento ad alberello pugliese e disposizione dei filari a quinquonce. Per ora sono duecento i ceppi che coprono il bastione ovest. La cultivar è il Negroamaro Cannellino. Mi piace ricordare la storia della scoperta del Negroamaro Cannellino e la sua valorizzazione: durante gli anni ‘90, la Camera di Commercio di Lecce patrocinò una ricerca – a cui partecipai – che constatò che si trattava di un genotipo distinto dal Negroamaro, anche se aveva caratteristiche analoghe e per molti aspetti migliori, tanto che nel 2000 è stato iscritto al Registro nazionale delle varietà come vitigno autonomo (distinto, omogeneo e stabile) con il nome di Negroamaro precoce e con il sinonimo di Negroamaro Cannellino. Nel 2007 è stata ottenuta la protezione con l’acquisizione del brevetto vegetale internazionale. Per la sua storia e le sue caratteristiche mi è sembrata la varietà che doveva essere impiantata nel Vigneto sul Castello.

Intervista di Marco Tibaldi
in esclusiva per Newsfood.com

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