Destituzione di diritto del pubblico dipendente e riammissione in servizio
6 Dicembre 2007
Con la sentenza dell’11 ottobre 2007, n. 5339, il la sesta sezione del Consiglio di Stato ha rigettato l’appello di un agente di polizia che rivendicava l’applicazione del principio della
ricostruzione della carriera nel caso di sentenza sopravvenuta che riconosca l’illegittima interruzione del rapporto di lavoro tra privato e P.A.
Fatto e diritto – Un dipendente del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza era stato sospeso cautelarmente dal servizio e destituito di diritto dall’impiego a seguito della sentenza
penale di condanna a quattro mesi di reclusione e alla interdizione dai pubblici uffici per la durata di un anno perché ritenuto responsabile del reato di oltraggio a pubblico ufficiale
pluriaggravato.
Successivamente, in seguito alla richiesta inoltrata al Ministero, era stato riammesso in servizio e, dopo 4 anni, era stato promosso agente scelto della Polizia di Stato e assistente.
L’agente, però, aveva diffidato il Ministero dell’Interno a ricostruirgli la carriera ai fini giuridico – economici.
Per la Corte Costituzionale, che aveva al riguardo sancito l’illegittimità costituzionale della destituzione di diritto del pubblico dipendente (e pertanto per “l’implicita statuizione”
del venir meno del rapporto di impiego dell’interessato per “un fatto unicamente imputabile alla Pubblica Amministrazione”) sarebbe stata legittima la richiesta di restituzione
dell’agente.
Il TAR, nel frattempo, aveva respinto il ricorso dell’istante per l’accertamento del silenzio – inadempimento formatosi a seguito della mancata risposta alla sua diffida e per l’accertamento
del suo diritto soggettivo alla ricostruzione della carriera e alla corresponsione delle retribuzioni non percepite e dei relativi accessori, nonché alla ricostruzione della base
previdenziale secondo l’anzianità di servizio e al ricalcolo “ora per allora” del trattamento di fine rapporto (il tutto con interessi e rivalutazione).
Le ragioni dell’agente  – L’agente aveva chiesto alla Amministrazione, rimasta silente, la ricostruzione della carriera, con ogni conseguenza economica e previdenziale, per
il periodo intercorso tra la decorrenza della destituzione di diritto e la data di riammissione in servizio. Per tali motivi aveva proposto ricorso giurisdizionale avverso il silenzio
inadempimento e per l’accertamento del suo diritto soggettivo ad ottenere la reclamata “restituito in integrum”.
Al riguardo, l’agente aveva lamentato di aver “subito la sanzione più grave ed irreversibile, successivamente rivelatasi affetta da illegittimità costituzionale, essendo stata
disposta in assenza di procedimento disciplinare”, e, quindi, sosteneva che la ricostruzione della posizione giuridica ed economica “si configurasse come doverosa”.
Per il dipendente, si doveva imputare all’amministrazione la non effettuazione della prestazione lavorativa e su tale premessa, aveva reclamato l’applicazione dell’orientamento
giurisprudenziale, secondo il quale, qualora sopravvenga una sentenza che dichiari l’illegittimità dell’interruzione del rapporto di impiego, è “consentita” la ricostruzione di
carriera.
La decisione del Consiglio di Stato – Secondo il Consiglio di Stato, la domanda di restituito in integrum dell’interessato è infondata in quanto il fatto che l’interessato sia
stato riammesso in servizio è dovuto alla esplicita previsione di cui agli articoli 9 e 10 della legge n. 19 del 1990, la quale ha fissato le modalità (domanda del dipendente
destituito e procedimento disciplinare) e i limiti della riammissione (riconoscimento del livello e dell’anzianità alla data di cessazione del servizio), per cui, ad eccezione di questi
limiti, nessuna continuità tra la precedente e la nuova situazione lavorativa è legittima.
Per il Consiglio di Stato, inoltre, non è pertinente il richiamo dell’orientamento giurisprudenziale che ammette la ricostruzione della carriera “allorquando sopravvenga una sentenza che
riconosca l’illegittima interruzione del rapporto di lavoro in essere tra privato e p.a.”.
Nella specie, infatti, non sussiste alcuna pronuncia che abbia dichiarato illegittima “l’interruzione del rapporto di lavoro”, ma vi è stato un atto di riammissione in servizio (a
seguito di domanda e di procedimento disciplinare) che ha ricostituito il rapporto di impiego dell’istante.
Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza n. 5339 dell’ 11 ottobre 2007
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