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Crisi di Impresa e Irregolarità bancarie: le consulenze eccellenti di Carlo Oriani e Michelangelo Bassi

Crisi di Impresa e Irregolarità bancarie: le consulenze eccellenti di Carlo Oriani e Michelangelo Bassi

By Giuseppe

Crisi di Impresa e Irregolarità bancarie
Una nuova realtà professionale ha fatto da alcuni mesi capolino nel panorama delle società di consulenza Aziendale del nostro paese. La gestione della crisi d’impresa è il focus di Tutela Impresa Srl, società di consulenza di recente costituzione nata per la tutela del “Diritto della crisi d’Impresa” e patrocinata da Assotutela Imprese.
La chiave di lettura adottata dai suoi due fondatori, il rag. Carlo Oriani, precursore ed esperto nel campo delle irregolarità bancarie, ed il dott. Michelangelo Bassi, Dottore Commercialista ed esperto in Crisi aziendali, è quella della gestione della crisi e della salvaguardia dei posti di lavoro usufruendo degli strumenti forniti dal legislatore ed introdotti nel nostro ordinamento giuridico a partire dal 2006, rispetto a quanto normato dal previgente diritto fallimentare regolato dal Regio Decreto 16 Marzo 1942, nr. 267.
Gli strumenti forniti da questa “copernicana” riforma, vengono enormemente potenziati dall’analisi delle Irregolarità Bancarie: e qui sta l’aspetto innovativo che i fondatori hanno voluto imprimere alla propria attività consulenziale.
Le sfide che oggi le imprese sono chiamate ad affrontare sono quanto mai pressanti, sotto ogni aspetto. Un mercato in continuo ed imprevedibile mutamento impone agli imprenditori di ripensare i modelli di sviluppo canonici e di introdurre elementi d’innovazione nella strategia aziendale. Occorre altresì essere preparati ad affrontare situazioni di crisi dalle quali può dipendere la vita stessa dell’impresa.
La riforma della legge Fallimentare ha riguardato soprattutto il diverso approccio di mentalità introdotto dal Legislatore, il quale ha inteso salvaguardare le possibilità di prosecuzione dell’attività dell’impresa ed il mantenimento dei livelli occupazionali anche nei casi di crisi più profonda, con ciò effettuando una coraggiosa scelta di “politica economica”.
La chiave di volta adottata da Tutela Impresa risulta essere l’analisi delle irregolarità bancarie: questo è lo strumento principe per la risoluzione della crisi d’impresa o per l’implementazione della maggior parte delle operazioni straordinarie che l’imprenditore intenda pianificare. La maggior parte delle aziende ha come principale creditore il Sistema Bancario ed inevitabilmente, qualora l’imprenditore intenda portare a termine qualsivoglia progetto di natura straordinaria (che può andare da una parziale o totale delocalizzazione fino ad eventuali Piani di Risanamento, Accordo di Ristrutturazione o Concordato Preventivo ma anche la rinegoziazione delle garanzie nel corso degli anni prestate e la conseguente tutela del patrimonio personale dell’imprenditore) non può esimersi dal sedersi con gli Istituti di Credito.
L’analisi delle irregolarità bancarie, ed il conseguente accertamento negativo del credito promosso nei confronti del ceto bancario consente all’imprenditore di sedersi al tavolo con una forza maggiore.
Nello specifico, l’analisi delle irregolarità bancarie verte principalmente su:
I – ANATOCISMO
Dal greco anà- di nuovo e takos – interesse. L’anatocismo dunque si sostanzia nella capitalizzazione composta, anziché la capitalizzazione semplice.
L’anatocismo è il fenomeno che per decenni ha improntato i rapporti di conto corrente, poiché le Banche, come si sa, hanno praticato su detti rapporti la capitalizzazione trimestrale (o in rari casi semestrale) degli interessi dovuti dal cliente, riconoscendo invece gli interessi creditori per il cliente soltanto in occasione della chiusura annuale al 31 dicembre.
Questa situazione si è radicalmente modificata quando nel 1999 la Cassazione ha iniziato a modificare il proprio orientamento (prima non contrario all’anatocismo), dichiarando la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito del correntista.
Nell’agosto dello stesso anno (DL n. 342/1999) il legislatore interveniva (modificando l’art. 120 del TUB) su un duplice piano:
Da una parte stabiliva un principio di reciprocità e dunque di pari cadenza nella maturazione degli interessi attivi e passivi a valere sul c/c;
Dall’altra, tramite una norma transitoria, salvava il pregresso, riconoscendo come validi i contratti con clausola di capitalizzazione trimestrale stipulati ante entrata in vigore del provvedimento normativo.
Il decreto denominato per tale suo contenuto -“salvabanche”-, veniva invalidato da una sentenza della Corte Costituzionale.
Venuto così meno questo escamotage legislativo, la Cassazione, nel solco della sentenza del 1999 (n. 2374/1999), ha continuato a sanzionare tramite le proprie decisioni la contabilizzazione anatocistica degli interessi, stabilendo in buona sostanza un principio definitivo con una sentenza a Sezioni unite (4 novembre 2004 n. 21095), secondo cui:
Viene confermata la nullità delle clausole anatocistiche a valere sul conteggio interessi del c/c a debito del cliente;
Dette clausole sono nulle anche se contratte e sottoscritte prima dell’anno 1999.
Dal canto suo il legislatore proprio con DL sopra citato delegava al Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio – CICR, il compito di stabilire modalità e criteri di produzione degli interessi prevedendo come regola fondamentale la stessa periodicità nel conteggio degli interessi debitori e creditori.
Si aveva così la delibera CICR del 9.02.2000 che, recependo appunto tale principio di reciprocità, è diventato per i rapporti di c/c una sorta di linea di confine tra i contratti sottoscritti prima e dopo l’entrata in vigore della delibera stessa.
Contratti stipulati post delibera CICR
Indipendentemente dalla possibilità che sussistano altri vizi, in questi contratti di norma il vizio anatocistico non dovrebbe sussistere, sempre che ovviamente la Banca si sia attenuta correttamente alla delibera e gli interessi creditori e debitori vengano appunto conteggiati con pari periodicità.
Tuttavia, anche alla luce della giurisprudenza formatasi, è fondamentale verificare che la clausola di capitalizzazione degli interessi sia stata validamente pattuita, vale a dire approvata specificatamente per iscritto dal correntista.
Qualora una valida pattuizione manchi, la clausola sarà inefficace (art. 6 delibera CICR) e dunque la capitalizzazione operata dalla Banca dovrà essere contestata ed oggetto di ripetizione da parte del correntista.
Pertanto ai fini della validità non sarà sufficiente ad esempio una mera comunicazione scritta da parte della Banca al cliente.
Contratti stipulati prima della delibera CICR
Alla luce delle plurime sentenze di Cassazione pronunciate sulla questione dell’anatocismo, le clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi ante adeguamento delle Banche alla delibera del CICR sono senz’altro nulle e tale nullità è rilevabile d’ufficio, nel senso che il giudice la rileva anche senza che in giudizio il correntista debba farla valere (Cass. Sez. Unite n. 21095/2004).
Tale nullità rende anche impossibile per la Banca di procedere ad un ricalcolo degli interessi debitori per il correntista con capitalizzazione annuale (così come si procedeva per la capitalizzazione degli interessi creditori), sulla base del ragionamento che dovesse allora essere applicato un criterio di reciprocità.
In realtà la nullità della clausola rende impraticabile l’applicazione di tale criterio, sicché gli “…interessi a debito del correntista debbono essere (ri) calcolati senza operare capitalizzazione alcuna”.
Evidentemente la nullità delle clausole anatocistiche e dunque la necessità di ricalcolare gli interessi debitori che la Banca abbia conteggiato fino all’entrata in vigore della delibera CICR influiscono sull’ammontare del saldo debitore di c/c a partire dal quale poi gli interessi sono conteggiati con pari reciprocità. In altre parole per effetto dell’anatocismo, la base di partenza sui cui poi gli interessi vengono conteggiati con reciprocità risulta falsata.
Ne consegue che in realtà per i contratti sottoscritti ante delibera CICR, tutto lo svolgimento del rapporto (salvo quanto si dirà in tema di prescrizione) dovrà essere contabilmente riconsiderato e riconteggiato in tema di interessi.
Fondamentale per il ricalcolo degli interessi è l’esame degli estratti conto, vale dire quel documento di uno o più fogli nel quale è periodicamente riportata per date e per valuta tutta la movimentazione del conto corrente. Tale documento deve poi essere integrato dal cosiddetto conto scalare, il foglio contabile cioè nel quale sono riportati i saldi giornalieri del periodo sulla base dei quali vengono conteggiati gli interessi.
Il Testo Unico Bancario (TUB) prescrive l’obbligo della Banca di inviare periodicamente l’estratto conto alla clientela, prevedendo che in mancanza di contestazione da parte del correntista entro 60 giorni, l’estratto conto si intende approvato.
A questo riguardo però la giurisprudenza (es. Cass. n. 26318/2008) ha più volte chiarito come la mancata contestazione dell’estratto conto entro il sopra citato termine di 60 giorni non può comportare che un debito fondato su una clausola nulla diventi incontestabile. Pertanto l’approvazione e/o la mancata contestazione degli estratti conto non preclude in alcun modo il diritto del correntista di veder depurato il proprio corrente dal fenomeno anatocistico.
Da ultimo la legge di stabilità 2014 (legge 147/2013) ha disposto espressamente:
Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione degli interessi ……. prevedendo in ogni caso che:
Nelle operazioni in c/c sia assicurata ……. la stessa periodicità di conteggio;
Gli interessi periodicamente capitalizzati non possono produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale.
Con ciò in pratica viene posto fine all’anatocismo, anche se spetterà appunto al CICR impartire le istruzioni operative per dar corso in concreto a quanto disposto dal legislatore. Sotto questo profilo sarà molto importante verificare poi come le Banche si regoleranno.
II – PATTUIZIONE DEL TASSO
Fondamentale per la verifica della correttezza dei conteggi degli interessi debitori effettuati dalla Banca, a prescindere dall’anatocismo, è poi che il tasso in percentuale risulti nel contratto pattuito per iscritto.
Tale pattuizione deve risultare, o per l’aver determinato una cifra numerica (es. 3%), o per l’aver indicato un criterio tale da rendere la quantificazione del tasso determinabile in modo certo (es. un punto percentuale in più rispetto al prime rate).
Un tempo le Banche usavano quantificare nei contratti di c/c il tasso a debito dei Clienti con la clausola che letteralmente recitava: “Secondo gli usi di piazza”.
Tuttavia l’art. 117 TUB ha sancito che “Sono nulle e si considerano non apposte le clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi d’interesse e di ogni altro prezzo e condizioni praticate …”.
La stessa norma prevede inoltre che in questo caso alla Banca siano dovuti, in sostituzione di quelli conteggiati, gli interessi calcolati al tasso nominale minimo dei BOT annuali.
Occorre però considerare che la giurisprudenza nel corso degli anni non solo:
ha più volte confermato la nullità delle clausole “uso piazza”(es. Cass. 25.2.2005 n. 4095 – T. Brescia 18.1.2010 – T. Torino 21.1.2010 – T. Piacenza 22.12.2010);
ma ha pure precisato che il criterio sostitutivo di conteggio indicato dall’art. 117 del TUB, vale unicamente per i contratti sottoscritti dopo l’entrata in vigore del TUB (legge 154/1992- d.lgs. 385/1993), proprio in quanto per  tale normativa è prescritta la irretroattività.
Per i contratti invece sottoscritti ante anno 1992, la giurisprudenza è divisa:
Secondo taluni Tribunali (es. T. Lecce 9.7.2009 – T. Mondovì 30.1.2007 – T. Pescara 5.1.2006) il conteggio degli interessi deve essere effettuato al tasso legale fino all’entrata in vigore del TUB e solo successivamente secondo il criterio indicato dall’art. 117 di detta normativa;
Secondo altri Tribunali e/o Corti (es. App. Aquila 16.7.2008 – T. Monza 12.12.2005 – T. Brescia 18.1.2010), invece il riconteggio degli interessi debitori deve avvenire al tasso legale ex art. 1284 cod. civ. per tutta la durata del rapporto.
Resta comunque assodato che il vizio costituito dalla apposizione in contratto della clausola “uso piazza” non può essere sanato, né, come si è già scritto, dalla mancata contestazione dell’estratto conto da parte del Cliente, né tramite comunicazione unilaterale del tasso da parte della Banca al cliente stesso.
II bis – LO IUS VARIANDI
Come viene chiarito dalle Istruzioni di Bankitalia, lo ius variandi è la facoltà riservata ad un soggetto (detto soggetto attivo) di poter modificare alcune condizioni contrattuali anche dopo la conclusione del contratto e cioè in pratica durante la sua esecuzione.
La regolamentazione normativa di tale istituto risiede nel dettato dell’art. 118 TUB.
Fondamentale, perché la Banca possa esercitare lo ius variandi durante la vita del contratto, è che tale potere unilaterale dell’Istituto di credito sia stato preventivamente pattuito con il Cliente e che la variazione si fondi su una motivazione giustificata.
Alla luce di svariate decisioni dell’ABF (arbitro bancario e finanziario) sia di Milano che di Roma, si possono trarre alcuni principi di riferimento nella valutazione delle variazioni che intervenissero nel rapporto bancario del Cliente:
L’esercizio dello ius variandi non è idoneo ad introdurre nuove clausole, potendo solo variare al massimo quelle esistenti;
La motivazione giustificata non può consistere in un mero richiamo della Banca “all’andamento del rapporto creditizio” oppure “all’attuale crisi economica e finanziaria”; in pratica non può risolversi in una affermazione e giustificazione generica che non si fondi appunto su fatti circonstanziati e ben precisi.
III – Mancanza del contratto di c/c e/o mancata sottoscrizione del Cliente in calce al contratto
L’art. 117 del TUB tra l’altro dispone che “i contratti sono redatti per iscritto ed un esemplare è consegnato ai clienti ……. in caso di inosservanza della forma prescritta il contratto è nullo”.
Ne discende che qualora la Banca non sia in grado di produrre (perché smarrito o perché mai sottoscritto) il contratto di c/c recante la sottoscrizione del Cliente, ogni interesse, spesa o commissione rivendicata dalla Banca stessa è affetto da nullità.
Altra eventuale lacuna formale da valutare con grande attenzione è quella costituita dal caso in cui nel documento contrattuale sia stato omesso, per dimenticanza, il numero di c/c. In questo caso, anche se sarà precipuo compito dell’avvocato ben valutare l’impatto giuridico di tale omissione, si potrebbe ipotizzare l’inesistenza di un effettivo rapporto contrattuale alle condizioni (tassi, spese competenze e quant’altro) pattuite ed indicate dal documento, per mancata individuazione del rapporto.
IV – Mancata sottoscrizione del contratto di c/c da parte della Banca
Il T. Mantova con sentenza 13.3.2006 ha precisato che con l’entrata in vigore del TUB “…. tutti i contratti bancari devono necessariamente stipularsi per iscritto a pena di nullità, requisito questo che non può ritenersi rispettato nel caso di sottoscrizione della scheda negoziale unicamente dal cliente”.
Naturalmente tale decisione ha dato il via ad una serie di contestazioni da parte dei Correntisti nei confronti delle Banche, tenuto conto che di solito la Banca produce appunto in giudizio la copia del contratto con la sola sottoscrizione del Cliente.
Su questo aspetto è però opportuno considerare che recentemente il T. Monza con sentenza del 13.5.2012, conformandosi ad una sentenza della Cassazione resa in tema di intermediazione finanziaria (Cass. n. 4564/2012), ha chiarito che in simili casi il Cliente non può eccepire la presunta nullità del negozio giuridico per difetto di forma. Infatti la sottoscrizione del correntista è sufficiente a rispettare i requisiti di forma del contratto prescritti dalla legge, posto che la volontà della Banca, in quanto proponente, è già espressa nel contratto tipo da essa predisposto e di cui entrambe le parti hanno dato nel tempo attuazione.
Dunque tale presunto vizio parrebbe al momento non prestarsi a contestazioni che ragionevolmente sortiscano risultati economicamente vantaggiosi per il Cliente, anche se sarà poi compito dell’Avvocato, valutare caso per caso se ci siano spazi di lite sotto questo profilo.
V – La CMS ovvero La Commissione di massimo scoperto
Per Commissione di massimo scoperto si intende l’onere economico aggiuntivo che la Banca periodicamente addebita al cliente correntista che sia affidato, quale rimunerazione dovuta per il fatto di tenergli a disposizione una determinata somma per un determinato periodo.
Occorre da subito precisare che sull’argomento non è stata ancora acquisita sufficiente chiarezza e ciò per almeno tre motivi:
Le banche nel passato hanno applicato la cms con criteri contabili spesso molto differenti da istituto ad istituto;
Il successivo intervento del legislatore non è stato improntato a criteri di chiarezza ed univocità di interpretazione;
Le stesse banche nel recepire ed attuare le indicazioni della nuova normativa hanno attuato scelte gestionali ed operative molto diverse tra loro.
Resta però indubitabile che l’art. 2 bis della legge 28/1/2009 n. 2 ha dichiarato la nullità della cms, nullità peraltro già sostenuta dalla giurisprudenza (in primis Cass. 14.5.2005 n. 10127) con varie motivazioni e cioè per mancanza di espresso patto al riguardo con il cliente affidato, per eccessiva genericità in ordine a quali periodi e per quali importi essa venga applicata (da ultimo es. T.  Verbania 24.4.2013 – T. Catanzaro 21.3.2013 – T. Taranto 14.2.2013), per essere una forma occulta di costo a carico del Cliente (T. Mondovì ord. 30.1.2007).
Solo in alcuni casi i giudici (es T. Mantova 21.4.2007 – T. Mondovì 17.2.2009) nel confermare la nullità della commissione di massimo scoperto intesa come onere calcolato sugli importi entro il fido concesso (non sussiste infatti “scoperto”), ne hanno invece riconosciuto la legittimità se calcolata sulle somme utilizzate extra fido.
Come si è detto, con l’art. 2 bis della legge 28/1/2009 (che convertiva il d.l. 28.11.2008 n. 185), il legislatore:
sanciva in linea generale la nullità delle “vecchie” clausole aventi per oggetto la cms;
ne consentiva peraltro la sussistenza, a condizione che la medesima, purché espressamente pattuita, fosse addebitata in presenza di un fido ed a fronte di un saldo debitore per un periodo continuativo (cioè senza interruzioni) non inferiore a trenta giorni; il corrispettivo inoltre doveva essere calcolato in modo proporzionale rispetto all’importo del fido ed alla sua durata.
In un momento successivo (legge 3.8.2009 n. 102) lo stesso legislatore precisava che la commissione per la messa a disposizione dei fondi, oltre ad essere omnicomprensiva, non poteva superare lo 0,5% trimestrale calcolato sull’importo dell’affidamento, a pena di nullità del patto di rimunerazione.
Infine con la legge 22.12.2011 n. 201 veniva introdotto l’art. 117 bis del TUB il cui titolo è di per sé altamente esplicativo: “Remunerazione degli affidamenti e degli sconfinamenti”.
Tale articolo ha per contenuto:
la previsione che, interessi debitori a parte, alla Banca è consentita soltanto l’applicazione di una commissione omnicomprensiva;
la proporzionalità di tale  commissione rispetto all’ammontare del fido e alla durata dell’affidamento;
la conferma del limite dello 0,5% trimestrale calcolato sull’ammontare del fido;
una specifica disciplina nel caso di sconfinamenti, distinguendo l’ipotesi che il Cliente utilizzi oltre il fido (extrafido), dall’ipotesi che il Cliente non abbia fido (sconfinamento senza fido).
Tralasciando per comodità espositiva la particolare disciplina nel caso di assenza di fido (commissione di istruttoria veloce, casi di esenzione  previsti da decreto CICR 30.6.2012 ecc. ecc.), il concetto fondamentale ora vigente è che attualmente è sancita la nullità di tutte le clausole che prevedano commissioni a fronte della concessione di fidi, loro mantenimento e  loro utilizzo, oppure anche a fronte di sconfinamenti oltre e/o senza fido, stipulate in violazione dell’art. 117 bis TUB e disposizioni applicative.
Da quanto sopra se ne deduce che la materia inerente l’applicazione della CMS è alquanto delicata e costituisce sicuramente una degli aspetti che devono essere necessariamente oggetto di valutazione, in aggiunta al fenomeno anatocistico, in sede di Preverifica e tanto più in sede di Perizia Econometrica. In entrambi i casi, oltre all’esame del contratto di c/c ed eventuali patti aggiuntivi, sarà fondamentale la lettura degli estratti conto scalari.
VI – USURA e TASSO SOGLIA
Si tratta di un contesto estremamente delicato, poiché le eventuali contestazioni non si muovono più su di un piano prettamente civilistico, bensì penale.
Il nostro codice penale difatti all’art. 644 (come riformato dalla legge 7 marzo 1996 n. 108) prevede il delitto di usura che stabilisce la pena della reclusione e multa a carico di chi sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, si fa dare o promettere, quale corrispettivo di una somma di denaro, interessi od altri vantaggi usurari. Lo stesso articolo precisa, tra l’altro, che la legge determina il limite oltre il quale gli interessi devono intendersi sempre usurari.
E questo limite (che viene fissato trimestralmente categoria per categoria dal Ministero Tesoro) era inizialmente stabilito “… nel tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale ……. relativamente alla categoria di operazioni il cui credito è compreso, aumentato della metà”.
Successivamente con il D.L. 13 maggio 2011 n. 70 poi legge 12 luglio n. 106 il tasso medio, inteso quale limite, deve essere aumentato di un quarto a cui poi devono essere aggiunti altri quattro punti percentuali. In ogni caso la differenza tra il limite ed il tasso medio non può essere superiore ad otto punti percentuali.
Non è questa la sede per approfondire nei suoi vari aspetti sia giuridici che tecnico contabili una fattispecie così complessa e spinosa quale la sussistenza o meno del reato di usura. Soltanto un’accurata analisi degli estratti conto bancari e degli scalari consente al consulente tecnico di appurare misura e periodicità degli eventuali superamenti del tasso soglia da parte della Banca nella gestione del rapporto bancario.
Tuttavia alla luce della normativa in vigore e della giurisprudenza formatasi in materia, possono enuclearsi alcuni punti fondamentali, intesi quali linee guida:
L’ipotesi di usura, proprio perché trattasi di reato penale, deve essere agitata con cautela e soprattutto con cognizione di causa, evitando accuse tanto di facile presa nei confronti del Cliente, quanto poi infondate alla realtà dei fatti.
La Cassazione con sentenza 19 febbraio 2010 n. 12028 ha confermato un orientamento giurisprudenziale precedentemente formatosi che, ai fini del calcolo del tasso effettivo globale, faceva anche rientrare le commissioni di massimo scoperto.
Con tale sentenza la Cassazione precisava anche che la segnalazione trimestrale effettuata da Bankitalia agli Istituti di credito in tema di tasso soglia (“Istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sulla usura”) non doveva ritenersi conforme all’art. 644 codice penale, proprio perché nel metodo di calcolo non teneva conto della commissione di massimo scoperto.
Qualora dalle verifiche contabili emerga che il tasso soglia è stato superato, che questo superamento trova ragione nella cms, la sussistenza del reato di usura, almeno sotto il profilo soggettivo, sarà da escludersi proprio perché le Banche si sono attenute in buona fede alle Istruzioni di cui sopra (Cass. pen. 19.12.2011 n. 46669).
Ciò in pratica significa che nessun esponente bancario potrà essere incriminato, anche se il reato di usura oggettivamente comunque dovrà considerarsi sussistere e dunque, responsabilità penale esclusa, permarrà pur sempre l’obbligo di restituzione della Banca per gli interessi indebitamente percepiti.
La precisazione in ordine all’esclusione di responsabilità penale di cui al punto sub. d) è operante per tutte le fattispecie sino all’entrata in vigore dell’art. 2 bis D.L. n. 185/2008, con cui il legislatore ha chiarito che la prassi amministrativa di calcolo (Le Istruzioni, appunto) era errata e che tutti gli oneri, cms compresa dovevano rientrare nei calcoli dei tassi soglia.
Da ultimo è opportuno sottolineare come per giurisprudenza costante il momento di consumazione del reato è quello in cui gli interessi sono stati pattuiti.
Ne consegue che fuori dalla previsione normativa dovrebbero risultare tutti i contratti stipulati ante anno 1996 anche se con condizioni ora non più conformi alla legge n. 108/1996 che appunto ha riformato, come si è scritto, l’art. 644 codice penale.
Tuttavia recentemente (Cass. 11.1.2013 n. 893) la Suprema Corte pare aver dato cittadinanza giuridica alla cosiddetta “usura sopravvenuta”, stabilendo che detti contratti devono essere assoggettati ad una automatica sostituzione delle clausole che non appaiono più in linea con la normativa antiusura.
VII – LA PRESCRIZIONE
Esaminati seppur sommariamente una serie di vizi di cui i rapporti bancari (precipuamente il rapporto di c/c) possono essere affetti, resta da evadere un quesito fondamentale:
Dato per scontato che il Cliente vanti nei confronti della Banca un diritto di restituzione somme (per anatocismo-per mancata pattuizione tasso- per cms ecc. ecc.), fino a che data si può retroagire rispetto alla data di apertura del rapporto?
In altre parole il signor Rossi che ha aperto un conto corrente nell’anno 1995 e che ha riscontrato anomalie fin dalla apertura del rapporto, trovandosi ora ad es. al 30 novembre 2013, fino a che data potrà retroagire nella sua pretesa restitutoria?
Sul punto la giurisprudenza di merito è stata a lungo divisa.
Secondo taluni giudici (es. App. Brescia 16.1.2008) l’ordinario termine di prescrizione decennale decorreva dalla singola data in cui ciascuna operazione che viene contestata era stata compiuta. Alla luce di questa decisione ne derivava che ad es. se oggi il correntista Rossi avviava una causa restitutoria nei confronti della Banca, non poteva far rientrare nella domanda tutte le operazioni ante 06 maggio 2004.
Secondo invece molti altri giudici, la prescrizione decennale decorreva dalla data di chiusura del rapporto. Nel nostro caso esemplificativo quindi il correntista Rossi (che avesse chiuso il conto il 30 giugno 2013) poteva avanzare la sua domanda restitutoria sino al 30 giugno 2023 e per tutte le operazioni registrate sul conto stesso dalla sua apertura.
Interveniva allora la Cassazione a Sezioni unite (sentenza n. 24418 del 2.12.2010) che, ragionando in tema di unitarietà del rapporto bancario e mutuando alcuni concetti dal contesto attinente l’azione revocatoria fallimentare, affermava, seppur con alcuni importanti distinguo, che di massima il termine di prescrizione decennale si intende decorrere dalla data di chiusura del rapporto e non dalla data di compimento di ciascuna operazione contestata dal Cliente.
A fronte di una decisione così economicamente significativa interveniva il Governo che, nell’ambito di uno dei decreti definiti “milleproroghe” (art. 2 DL n. 225/2010), ribaltava il quadro giuridico, stabilendo al contrario, che la prescrizione decennale iniziava a decorrere dalla data di annotazione in conto della operazione che si intendeva contestare.
Tuttavia:
La Corte Costituzionale con sentenza n. 078 del 2.4.2012 dichiarava incostituzionale tale norma contenuta nel succitato decreto milleproroghe, sicché allo stato attuale si intende come assodato il criterio enunciato dalle Sezioni Unite della Cassazione sopra citato.
Nello specifico le Sezioni Unite con tale sentenza operano una distinzione fondamentale, che, pur riguardando principalmente i consulenti preposti alla ricostruzione contabile del rapporto, può essere così riassunta:
Per le operazioni che siano semplicemente ripristinatorie del fido (cioè movimentazione che si mantiene all’interno della somma massima accordata come affidamento dalla Banca), il termine di prescrizione decennale decorrerà dalla data di chiusura del conto;
Per le operazioni extra fido (cioè movimentazione in assenza di fido o movimentazione tramite cui il correntista ha oltrepassato i limiti massimi di fido), la prescrizione decorrerà dalla data di annotazione di ciascuna di tali operazioni.
IN CONCLUSIONE:
Rimesse solutorie quando il saldo debitore è oltre il fido o il conto non è affidato
Rimesse ripristinatorie quando il conto risulta entro i limiti di fido
Rimessa ripristinatoria decorrenza prescrizione dalla chiusura del rapporto
Rimessa solutoria decorrenza prescrizione dalla data della rimessa
Addebito di competenze non dovute su c/c attivo decorrenza prescrizione data dell’addebito.
VIII – MUTUI E LEASING
Le criticità sopra esposte non possono spesso che riflettersi anche su queste due figure contrattuali che vedono quali parti, la Banca e l’Imprenditore e che possono risultare viziate sotto un duplice diverso aspetto:
o per anatocismo;
o comunque perché il tasso effettivo pagato dal Cliente risulti all’atto pratico diverso da quello espressamente pattuito.
Anche in questi casi, fondamentale è la ricostruzione contabile effettuata dagli esperti.
Eventuali profili critici dei mutui
In questa sede è soltanto opportuno precisare che la sussistenza di un contratto di mutuo in capo al Cliente deve essere evidenziata come una possibile fonte di vizi e dunque di diritti restitutori.
a1) Come noto a tutti, nell’ambito del mutuo il mutuatario restituisce alla Banca mutuante la somma mutuata tramite rate periodiche, comprensive sia degli interessi pattuiti, che di una quota del capitale, secondo una metodologia prestabilita nel piano di ammortamento.
In particolare il piano di ammortamento può prevedere:
O quote in conto capitale costanti con rate descrescenti a seguito della progressiva contrazione degli interessi che maturano;
Oppure (ammortamento alla francese, molto utilizzato anche dalle Banche italiane), con rimborso a rate costanti, con la quota in conto capitale crescente e quota interessi calcolata con la formula dell’interesse composto, vale a dire calcolo degli interessi sugli interessi.
In questo secondo caso, taluni Tribunali (es. T. Bari, sentenza n. 113/2008) ritengono che vi sia una duplice violazione:
In primo luogo, con tale metodo di ammortamento il mutuo risulterebbe avere un tasso di interesse concretamente molto più oneroso rispetto a quello formalmente pattuito; più numerose sono le rate, più il mutuo costa e ciò appunto perché con i mutui alla francese viene applicato la regola matematica dell’interesse composto e non di quello semplice;
In secondo luogo, violazione degli artt. 1283-4 cod.civ. che consentono caso mai la capitalizzazione composta sia successiva alla maturazione dell’interesse e mai precedente, come appunto avviene in questa tipologia di mutui, nonché stabiliscono l’applicazione del tasso legale qualora vi sia indeterminatezza in quello pattuito.
a2) Molta attenzione dovrà essere altresì prestata qualora la Banca, nel corso del mutuo eserciti lo ius variandi, vale a dire, come sopra chiarito, operi una variazione che spesso si traduce in un aumento  del tasso applicato sulla base di clausole contrattuali sottoscritte dal cliente all’atto della stipula; in taluni casi la giurisprudenza (es. T. Pescara 23.3.2006) ha sancito la nullità di simili clausole quando esse siano affette da indeterminatezza ed in quanto espressione della arbitrarietà della Banca.
a3) Recentemente con sentenza 9.1.2013 n. 350 la Cassazione ha affrontato il tema degli interessi usurari sui mutui, stabilendo che al fine di stabilire il superamento o meno del tasso soglia rileva anche il tasso degli interessi di mora e tutte le altre spese sostenute dalla parte mutuataria.
a4) Del resto la stessa Cassazione (Cass. n. 2593/2003) già da tempo aveva specificato il divieto di anatocismo sugli interessi dei mutui, non essendo consentito che gli interessi di mora maturino sull’intera rata impagata, anziché, come sarebbe corretto, unicamente sulla quota capitale.
a5) Infine particolare attenzione deve essere prestata allorché il Cliente risulta titolare di un mutuo non stipulato al fine di ricevere ed utilizzare un vero e proprio finanziamento, bensì erogato dalla Banca soltanto per ripianare una pregressa esposizione di c/c. Come evidente, in questi casi la Banca con tale contratto ha una utilità immediata, perché trasforma il proprio credito da chirografario a prelazionato (trattandosi quasi sempre di mutui ipotecari).
Tuttavia:
Se il saldo debitore di c/c così ripianato era viziato da anatocismo, parimenti il contratto di mutuo è invalido;
La giurisprudenza di merito (es. T. S. Maria Capua Vetere 14.10.2011 – T. Latina 16.12.2009 – T. Busto A. ord. 9.7.2012 in tema di mutuo fondiario) ha più volte sancito la nullità di simili contratti in cui manchi la effettiva erogazione (se non a fini compensativi rispetto al debito di c/c) della somma mutuata.
La stessa Cassazione (Cass. n. 8564/2009) affrontando la fattispecie del mutuo di scopo, ha sancito la nullità del contratto, in cui l’erogazione in realtà serviva a ripianare una precedente esposizione.

Eventuali profili critici nel leasing
Anche il contratto di leasing può essere a sua volta fonte di criticità.
Sappiamo tutti che il leasing è un contratto che consente, a fronte del pagamento di un canone periodico, di avere il godimento di un bene per l’esercizio della propria attività professionale e/o imprenditoriale, con la possibilità al termine del contratto di acquistare la proprietà del bene stesso.
Tale figura contrattuale prevede di solito un utilizzatore- il soggetto che concede il leasing e che dunque acquista il bene scelto e ne conserva la proprietà sino alla scadenza del contratto il fornitore che vende il bene alla società di leasing.
Esiste (poco frequente) un leasing operativo in cui la società che produce il bene lo cede in leasing al soggetto che lo utilizza.
La forma invece più abituale è quella del leasing finanziario che appunto comporta come sopra specificato, la presenza di tre parti.
Tipico elemento quindi del contratto di leasing è il canone che viene determinato sulla base del valore del bene oggetto del leasing, dai rischi e dalla durata del contratto.
Proprio in relazione al canone così come pattuito in contratto, si potranno valutare: costi occulti- tasso effettivo difforme da quello pattuito- fenomeni di anatocismo-superamento tasso soglia; tali vizi saranno più facilmente riscontrabili nel caso in cui (del resto è il più frequente) il canone di locazione non sia fisso, ma variabile in quanto indicizzato rispetto ad un determinato parametro.
Seppure non propriamente pertinente ai temi qui trattati, dovrà poi prestarsi una particolare attenzione al leasing traslativo che è una forma particolare di leasing finanziario, in quanto il bene oggetto del leasing di norma è destinato ad avere alla fine del contratto anche un valore superiore a quello iniziale ed il leasing in pratica serve solo a differire nel tempo il passaggio di proprietà in capo all’utilizzatore con pagamento del prezzo del bene a rate. Anche in questo caso sia i meccanismi di determinazione delle rate, così come la regolazione dei rapporti dare/avere tra concedente ed utilizzatore in caso di risoluzione del contratto, dovranno essere oggetto di attenta valutazione, tenuto conto che:
la Cassazione (Cass. 19.4.2010 n. 13418) ritiene doversi applicare in questi casi la disciplina prevista per la vendita con riserva di proprietà;
nel più frequente caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, tenuto conto che i ratei comprendono già una quota parte del prezzo, il Concedente avrà diritto alla restituzione del bene ed ad un compenso per l’utilizzo dello stesso, mentre l’Utilizzatore avrà diritto alla restituzione dei canoni corrisposti (vedasi da ultimo Cass. 7.2.2012 n. 1695); si tratta, come è intuitivo, di una definizione del rapporto assai complessa che richiede una attenta analisi sotto l’aspetto contabile ed economico.
IX – GARANZIE
Un approccio, anche se sommario, alla posizione bancaria globale del Cliente, non potrà comunque prescindere da una verifica sulle garanzie rilasciate dal Cliente stesso e/o da terzi (moglie/marito-parenti- soci- società collegate, ecc. ecc.) a fronte degli affidamenti ottenuti. Difatti sia la Preverifica, sia la Perizia Econometrica possono avere, a seconda delle risultanze, un impatto significativo anche su tali negozi.
Ricordiamo in estrema sintesi che le garanzie possono essere personali o reali:
La garanzia personale per antonomasia è la fideiussione, cioè il contratto con cui un soggetto garantisce con il proprio patrimonio i debiti propri o altrui; la fideiussione bancaria è caratterizzata dalla necessità che l’ammontare della garanzia sia prestabilito, essendo cioè sanzionata come nulla la fideiussione di importo indeterminato.
Garanzie reali sono il pegno (garanzia nei ns. casi soprattutto su beni mobili quali denaro-titoli di credito) e l’ipoteca (garanzia su beni immobili).
In ordine a tali garanzie ed in funzione di quanto sino ad ora esposto, si possono svolgere alcune fondamentali considerazioni:
È ovvio che qualora il credito risulti in realtà inesistente e/o inferiore a quello apparente e/o di dubbia quantificazione, anche la garanzia che è stata rilasciata a suo presidio ne verrà travolta, o quantomeno ridimensionata nell’importo. In altre parole bisognerà sempre ricordare che ogni vizio che colpisce il debito verso la Banca, andrà di norma ad impattare anche sulla validità della garanzia.
Nel caso di mutui concessi (come sopra accennato) a ripianamento di pregresse esposizioni debitorie, la possibile invalidità del mutuo si estenderà ovviamente anche alla eventuale ipoteca iscritta a garanzia.
Particolare attenzione dovrà poi essere prestata in tema di pegni, onde verificare ad es. se parte delle somme erogate dalla Banca, siano state destinate in realtà, direttamente od indirettamente, all’acquisto di titoli da porre in garanzia a favore della Banca stessa, con particolare riguardo anche alla tipologia dei titoli in questione (es. obbligazioni subordinate) in funzione della MIFID, vale a dire la normativa vigente in tema di servizi di investimento.
Da ultimo, anche se si tratta di analisi riservata precipuamente all’ avvocato, il tema delle garanzie, con particolare riferimento alle modalità con cui esse sono state acquisite dalla Banca, potrebbe far emergere una fattispecie molto delicata e pregiudizievole per il Cliente, vale a dire l’approfittamento dello stato di bisogno (art. 1448 cod. civ.) che tuttavia è soggetto ad un termine di prescrizione molto breve.
X – CENTRALE RISCHI
Molto frequentemente il Cliente che si trova ad avere un problematico rapporto con la propria Banca (od anche più Banche) si troverà ad essere segnalato a “Sofferenza” in Centrale Rischi.
La Centrale Rischi è in pratica un sistema informativo sull’indebitamento della clientela verso le Banche e gli altri intermediari finanziari vigilati dalla Banca d’Italia. Ogni Banca è tenuta mensilmente a segnalare in Centrale Rischi la posizione dei propri clienti ed ogni mese tramite essa è in grado di valutare la posizione debitoria complessiva del proprio cliente nei confronti del sistema. Dunque la Centrale Rischi è uno strumento fondamentale per la valutazione del merito creditizio.
Si parla di “Sofferenza” invece, come spiega Bankitalia, allorchè “…. il cliente è valutato in stato di insolvenza…….anche se questo non è stato accertato in sede giudiziaria.”
E’ evidente che la segnalazione in Centrale Rischi di un Cliente a Sofferenza (inserito cioè nella cosidetta black list), comporta di solito per il medesimo una reazione a catena che può definirsi disastrosa, poiché in conseguenza della segnalazione:
Il Cliente si vedrà revocato ogni affidamento in essere con le Banche e non potrà accedere ad ulteriore credito;
Il Cliente ed i suoi eventuali garanti si troveranno esposti agli atti giudiziali del sistema in funzione recuperatoria dei crediti da questo vantati.
Tale situazione in genere avrà poi un effetto “domino” nei confronti ad es. dei fornitori e di tutte le altre controparti contrattuali.
Molto spesso in conseguenza di ciò il Cliente dovrà optare per soluzioni concorsuali.
Tuttavia:
La giurisprudenza di merito (T. Bari 26.3.2012 – T. Novara 18.5.2010 – T.Lecce 12.7.210) ha delineato una responsabilità per danni a carico della Banca, non solo quando la segnalazione avvenga per errore, ma anche quando vi sia errore nella segnalazione della quantificazione della presunta esposizione
La stessa Bankitalia prescrive (circolare n. 139/1991 aggiornamento 29.4.2011) l’obbligo per le Banche di segnalare se il credito in sofferenza è contestato e per contestato si intende il credito per il quale sia stata adita una qualsivoglia Autorità terza rispetto alle parti. A tale riguardo però ad es. il Tribunale di Pescara (ord. 21.12.2006) ha stabilito che è contraria ai principi di buona fede generale la segnalazione a Sofferenza di un credito contestato, qualora la contestazione non sia manifestamente infondata.
Quanto sopra, oltre ovviamente i casi in cui la segnalazione sia avvenuta fuori dai casi previsti, oppure qualora essa sia utilizzata dalla Banca (caso altrettanto sanzionato dalla giurisprudenza) come forma di pressione nei confronti del Cliente.
E’ comunque indubbio che l’esatto accertamento contabile di quanto eventualmente dovuto o non dovuto dal Cliente, potrà spesso costituire:
per l’Istituto di credito una forte remora ad una segnalazione in Centrale Rischi non ben ponderata, essendovi forti probabilità che tale iniziativa sia poi foriera di una responsabilità risarcitoria per danni.
per il Cliente ed il suo Avvocato, un efficace strumento su cui fondare la richiesta al Magistrato di un provvedimento d’urgenza (ex art. 700 cpc), volto ad ottenere l’eliminazione della segnalazione per mancanza dei presupposti.
Come nel mondo dell’impresa, che non ha visto diffondersi una cultura (per il vero nemmeno adeguate informazioni) degli strumenti di risanamento, anche nel mondo della consulenza tardano a formarsi nel studi professionali altamente qualificati nella crisi d’impresa. La materia richiede non solo una profonda esperienza e conoscenza tecnica della normativa di riferimento, ma anche strutture professionali di adeguate dimensioni, che siano in grado di garantire all’imprenditore l’ampia e concorrente prestazione dei servizi dedicati che la situazione di crisi richiede, e che contempla competenze di natura concorsuale, societaria, giuslavoristica, contabile e fiscale, che debbono essere riversate in modo coordinato e rapido nel processo di ristrutturazione dell’impresa in crisi.
Il servizio viene esteso anche ai privati con la gestione dell’esdebitazione e la salvaguardia del patrimonio.
Questo è il “buco di offerta” che Tutela Impresa si prefigge di colmare, con il suo network di professionisti di primario livello e la dislocazione su tutto il territorio nazionale.
Cav. Franco Antonio Pinardi

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