Coronavirus, WWF Italia: Legame strettissimo tra pandemie e perdita di natura

14 Marzo 2020
Esiste un legame strettissimo tra le malattie che stanno terrorizzando il Pianeta e le dimensioni epocali della perdita di natura.
Virus, batteri e altri microrganismi nella maggior parte dei casi sono innocui, anzi, spesso essenziali per gli ecosistemi e l’uomo. Tuttavia, alcuni di essi, come il coronavirus SARS-COV-2 all’origine del Covid-19, possono provocare impatti estremamente negativi sulla salute umana, sui sistemi sociali ed economici, come quelli a cui stiamo assistendo nell’attuale emergenza sanitaria che ha raggiunto la portata di una vera e propria pandemia, avendo già colpito oltre 129 paesi in ogni continente con oltre 5.000 vittime.
Quella provocata dal Coronavirus fa parte delle cosiddette “malattie emergenti” – come ad esempio Ebola, AIDS, SARS, influenza aviaria o suina – che non sono catastrofi del tutto casuali ma mostrano numerosi elementi comuni. Spesso infatti le zoonosi, ovvero le malattie trasmesse dagli animali all’uomo (esattamente come il Covid-19), sono conseguenza di nostri comportamenti errati tra cui il commercio illegale o non controllato di specie selvatiche e, più in generale, l’impatto dell’uomo sugli ecosistemi naturali.
Foreste, il nostro antivirus. I cambiamenti di uso del suolo e la distruzione di habitat naturali come le foreste sono responsabili dell’insorgenza di almeno la metà delle zoonosi emergenti. La distruzione delle foreste può quindi esporre l’uomo a nuove forme di contatto con microbi e con specie selvatiche che li ospitano. Nelle foreste incontaminate dell’Africa occidentale, ad esempio, vivono alcuni pipistrelli portatori del virus Ebola. Il cambiamento di uso del territorio come le strade di accesso alla foresta, l’espansione di territori di caccia e la raccolta di carne di animali selvatici (bushmeat), lo sviluppo di villaggi e altri insediamenti in territori prima selvaggi, hanno portato la popolazione umana a un contatto più stretto con nuovi virus, favorendo l’insorgenza di nuove epidemie. Lo stesso è accaduto con patologie come la febbre gialla (che viene trasmessa, attraverso le zanzare, da scimmie infette), la leishmaniosi o l’HIV, che si è adattato all’uomo a partire dalla variante presente nelle scimmie delle foreste dell’Africa Centrale. Il consumo di bushmeat è in drammatica crescita in diverse parti del mondo – non solo in Africa – e mette terribilmente a rischio la salute umana, così come il commercio di fauna selvatica o di parti di essa (wildlife trafficking) che, oltre ad essere causa primaria di perdita di biodiversità, amplifica potenzialmente la diffusione di patogeni.
Clicca QUI per scaricare le infografiche
L’IPBES (Intergovernamental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services dell’ONU), nel 2019 ha segnalato che l’azione distruttiva dell’uomo verso la natura ha raggiunto livelli senza precedenti. Il 75% dell’ambiente terrestre e circa il 66% di quello marino sono stati modificati in modo significativo e circa 1 milione di specie animali e vegetali, come mai prima si era verificato nella storia dell’umanità, rischiano l’estinzione; mentre secondo i dati del Living Planet Report redatto dal WWF nel 2018, in poco più di 40 anni il pianeta ha perso in media il 60% delle popolazioni di vertebrati.
In 50 anni la popolazione mondiale è raddoppiata, così come dal 1980 sono raddoppiate le emissioni di gas serra, provocando un aumento delle temperature medie globali di un 1°C rispetto all’epoca preindustriale e causando un aumento del livello medio globale del mare tra i 16 e i 21 centimetri dal 1900. Oggi inoltre abbiamo perso circa il 50% della superficie delle foreste, che ospitano circa l’80% della biodiversità terrestre, contribuiscono alla lotta al cambiamento climatico, proteggono la nostra salute e garantiscono la nostra sopravvivenza: secondo dati più recenti, infatti, le foreste pluviali producono da sole oltre il 40% dell’ossigeno atmosferico.
Costi umani ed economici. Come è possibile vedere dalla mappa, le principali minacce alla salute non solo hanno un bilancio pesante in termini di vite umane, ma rappresentano anche un costo economico altissimo. Oltre alla portata sanitaria e alla conseguente mortalità dovuta a queste zoonosi, il cui valore è chiaramente incalcolabile, è infatti indicativo valutare anche il loro impatto socio-economico. Ad esempio, a fronte di circa 8.000 persone infette, la perdita economica dovuta all’esplosione della SARS nel 2003 è costata all’economia globale tra i 30 e i 50 miliardi di dollari. Altre zoonosi, meno prese in considerazione dai media, come ad esempio l’echinococco (che viene trasmesso all’uomo dai cani e che ha alcuni ungulati come ospiti intermedi), costa ogni anno in analisi e farmaci ben 4 miliardi di dollari. Cifre che l’emergenza legata ai contagi del SARS-CoV-2, per gli effetti sulla salute pubblica, l’economia e la finanza, sembra avere già superato in maniera significativa.