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Consumi in calo di vino e alimenti in Italia ed Europa, cause e rimedi by Giampietro Comolli

Consumi in calo di vino e alimenti in Italia ed Europa, cause e rimedi by Giampietro Comolli

By Giuseppe

Giampietro Comolli, dal suo pulpito di Osservatorio OVSE che da oltre trent’anni acquisisce ed elabora dati sui consumi, ci fa una fotografia della situazione  del calo di vino e alimenti in Italia ed Europa

Newsfood.com, 2 febbraio 2023

Testo di Giampietro Comolli,
presidente Ossevatorio.ovse.org

Negli ultimi giorni leggo che la crisi economica generale incombe anche sul consumo del vino.
Stanno uscendo i primi dati ufficiali di consumo e vendita di vini (e alimenti) nazionali sul mercato italiano e come export nell’anno 2022 con alcune ipotesi sull’andamento 2023. E’ comune considerare  la “frenata economica generale”  come causa primaria dei minori consumi anche di alimentari.

Quasi tutti gli esperti, intervistati o fautori, parlano di chiaro-scuro del mondo enoico italiano per l’anno 2022 (anche nel 2023)  ma sempre concentrandosi sulla situazione economica di crisi generale.
Come UniCeves-Ovse ( www.osservatorio.ovse.org) abbiamo analizzato anche noi i dati raccolti e diffusi da istituzioni statistiche nazionali e internazionali confrontandoli con le indagini dirette svolte. Ebbene noi crediamo che il chiaro-scuro o i minori consumi di vino (senza generalizzare) non dipendono assolutamente dalla situazione di crisi economica che si è venuta a creare ma prioritari sono altri fattori, elementi.

La riduzione del consumo di vino (e di alcuni cibi o alimenti non quotidiani e non indispensabili) appare in modo evidente, scandagliando più a fondo luoghi domestici e non senza restare in superficie, determinato dal rapporto fra singoli e collettivi, fra ex modello di vita e cambiamento attuale sociale e civile, instauratosi dopo pandemia, con  carenza di liquidità, accentuazione della precarietà del lavoro, maggiore forbice e difformità sociale dettata anche da leggi e norme che hanno indebolito o hanno modificato equilibri.

Il trentunesimo (31 anni di dati raccolti) esame analitico dei consumi e mercati dei vini (e del cibo) realizzato da UniCeves indica la non-correlazione fra PIL nazionale e consumi, come spesso citato da molti.
Sicuramente in area Euro i consumi sono in calo, ma le motivazioni sono da ricercare più in fattori non finanziari ed economici, come quelli personali, etici, empatici, di prospettiva, salutistici.

La riduzione di consumo di vino in Italia (ripetiamo non per tutte le tipologie) è estranea sia alla riduzione che alla crescita del PIL nazionale che nel 2022 è stato il migliore in Europa.  Abbiamo notato invece una diretta regressione, maggiore suscettibilità ai consumi in occasione di aumenti improvvisi, non programmati di spese fisse che si è obbligati a sostenere, in abbinamento a un senso di responsabilità diretta che coinvolge sia aspetti salutistici che aspetti di sostegno famigliare. Oggi, come anche il paniere dei prodotti che determinano l’inflazione, si sostengono priorità di spese differenti , enormemente differenti anche solo a tre anni fa, come il bisogno di riscaldamento, benzina e trasporti, medici e viaggi, scuola e asili… ma anche palestra, bellezza, apparenza.

Più spese individuali e personali meno spese conviviali e di socializzazione.

L’inflazione – ma parlerei soprattutto di speculazione per certe materie prime diventate indispensabili visto il nuovo modello di vita interattivo – ha fatto schizzare i prezzi di servizi e prodotti che dovrebbero essere calmierati e controllati in un mercato comune europeo, alla base della vita sociale, civile e lavorativa di tutti.

La spesa energetica, ma soprattutto la certezza del domani e dei figli e della salute, sono fattori che determinano  l’allentamento dei consumi. Addirittura alimenti come pane, farina, pesce, salumi sono aumentati percentualmente di più che una bottiglia di vino. Sicuramente le risorse del Pnrr destinate al comparto vino non fanno e non faranno crescere i consumi e i mercati.

Occorre una politica strategica del vino&cibo italiano con un passo e una sostanza comunicativa e formativa diversa. E’ il nostro petrolio come scrivono tanti?  L’apprendimento della cultura del consumo è come passare all’asilo dalle astine all’alfabeto: tutti i giorni bisogna applicarsi e formare chi ne è destinatario. Lo spiattamento televisivo non è formazione all’arte culinaria.

La crescita del consumo di vino ci sarà solo se esiste una passione personale, una voglia, una soddisfazione e una richiesta misurata e attenta in base alla cultura a tavola, all’inizio alla sapienza degli abbinamenti e gusti, all’edonistica collettiva e di sistema, conviviale e sociale. L’indifferenza e la solitudine, anche un calice di vino da solo in casa, possono essere cause più determinanti della crisi economica o della mancanza di liquidità in tasca.

Ultimamente, come accade a tempi alterni negli ultimi 20 anni, assistiamo alla richiesta dell’Irlanda di imporre al vino la stessa etichettatura dei pacchetti delle sigarette. Tema degno per gli aspetti salutari se non fosse che c’è uno stretto connubio con la fiscalità diversa, bilancia di pagamenti import export, rapporti fra le due irlande e all’interno dell’UK, oltre ovviamente a uno stile di vita consolidato da decenni nei paesi del nord Europa e da decenni immodificabile.

Poi le infettologhe in Tv che, senza citare la fonte ma ricerche marginali sull’alcol in generale e mirate alla sola UK, intitolano arbitrariamente anche a consumi da uccellino di vino la causa principale di una riduzione della materia grigia nel cervello, dimostrano quanta non-cultura-enoica esiste ancora in Europa e in Italia fra professori e ricercatori, a dimostrazione dell’immane lavoro istruttivo al consumo c’è da fare.

Gli attacchi istituzionali e la gratuità di pareri solo per visibilità o per altri interessi fanno più male dell’inflazione: la potente sbornia del venerdì sera (a base di alcol diversi e non di vino in primis)  si debella o si riduce solo attraverso una lenta, mirata, chiara formazione e istruzione cultuale, cosa che finora non è stato fatto.

Ma non tutti i vini sono in calo di consumo:  le bollicine, vino più conviviale ed empatico, vanno alla gande in Italia e nel mondo. Nel 2023 cresceranno ancora, ben oltre 3 miliardi di bottiglie nel mondo. Segnali di consumi diversi su cui ragionare arrivano anche da Francia e Spagna: la GD ha fatto registrare nel 2022 un calo del consumo di vino bio rispetto a quello tradizionale naturale. Il consumatore medio europeo è ancora molto ancorato al vino normale. Il bio cresce in enoteca e nei ristoranti. Nella GD francese una bottiglia di bio è venduto al pubblico in media a 6 euro, mentre il vino tranquillo normale a 3,80 sullo scaffale.

Infine. Con l’inflazione, anche se rallenta o dicono che rallenta, il costo del denaro aumenta.

Infatti più che l’inflazione, oggi in Italia, può la speculazione su alcune materie prime che sono oggi “indispensabili” per tutto,  soprattutto per l’innovazione e transizione ecologica ed energetica. Non è giusto che il consumatore finale paghi in toto inflazione e speculazione in quanto non ci sono nome o regole da rispettare all’insegna di un blocco dell’inquinamento.

C’è l’inflazione, ma il PIL cresce come il numero degli occupati. Eppure …  il costo del greggio diminuisce, la benzina alla pompa aumenta sempre. I risparmi degli italiani ( i maggiori in assoluto in tutta Europa) vengono erosi per non perdere un minimo di stile di vita. Lo spread diminuisce (ma nessun media lo cavalca eppure vuol dire creare un tesoretto sul bilancio di previsione dello Stato), ma i tassi dei mutui e dei prestiti dei consumatori non calano perché la Bce deve inseguire la Fed e i cittadini europei allora non spendono e gli italiani però hanno i risparmi che gli altri non hanno… ecc ecc…. Queste forti diversificazioni e mancanze, vedi la tassazione delle plusvalenze o dei superutili di impese pubbliche e private solo enunciate, sono fonti di indecisioni, di paure, di scommesse alla cieca. I consumi non obbligatori dipendono più dallo stato mentale, dalla tranquillità della vita che dal costo dello stesso prodotto o della crisi economica.

Oggi fattori determinanti sono sempre più i key trend e l’effetto trending, come dicono gli inglesi. Ovvero i consumi sono dettati più dallo status mentale che del portafoglio, ovviamente fino ad un certo reddito,  per cui vincono le spese oculate o quelle che soddisfano l’individuo e la sua personalità.

Si cambia più spesso il cellulare e si pagano abbonamenti alle palestre, ma si acquista meno latte e vino. Ci si sballa al pub una volta alla settimana alla grande, poi non si beve più, ma questo altera il metabolismo e la salute in negativo, non è come un giorno di digiuno dicono gli amici medici alimentaristi e nutrizionisti e non fattucchieri improvvisati davanti ad un microfono.

La pandemia, la guerra, il mutuo, la benzina  sono fattori che hanno portato i consumatori medi e medio-bassi a vivere sotto un regime di controllo comportamentale: meno startup  e più freno a mano, ma con uno status stressato, teso. Questo non fa altro che esasperare le condizioni e situazioni limite. Una situazione che va oltre il solo aspetto del consumo del vino o di cibo ma entra nella sfera dello scibile mentale che influenza più del PIL e dello spread.

Difronte a tutto questo, l’Italia è il paese meglio “messo” oggi in Europa ma nessuno lo scrive e lo dice. In particolare per l’alimentare l’export italiano procede meglio di tutti: 60 miliardi di euro il valore dell’export di cui 7,9 di vino, 7,1 cereali lavorati, 5,6 di frutta e verdura.

 

Giampietro Comolli

© Riproduzione Riservata

Giampietro Comolli

Giampietro Comolli
Economista Agronomo Enologo Giornalista
Libero Docente Distretti Produttivi-Turistici

Mob +393496575297

Editorialista Newsfood.com
Economia, Food&Beverage, Gusturismo
Curatore Rubrica Discovering in libertà
Curatore Rubrica Assaggi in libertà

 

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