Cina Economia, obiettivi al 2022: stabilità, sviluppo, riforme, ma tutto sotto il Partito

15 Marzo 2014
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Date: Sat, 15 Mar 2014 08:37:06
Subject: CINA ECONOMIA – China Economy – ISPI, Conferenza Annuale sulla Cina – Dati interscambio commerciale 2013 – Istituto Europa Asia informa
All’ISPI di Milano la quarta Conferenza annuale, sugli obiettivi della Cina al 2022
STABILITA’, SVILUPPO, RIFORME. E SU TUTTO IL PARTITO
Colombo Clerici: “Il confronto culturale resta la nostra migliore chiave di collaborazione”
I dati dell’interscambio commerciale 2013 con USA, UE, RUSSIA, UK, ITALIA, FRANCIA, GERMANIA, OLANDA
Benito Sicchiero
Se l’economia è un uccello e il partito è una gabbia, lasciare aperta la gabbia vuol dire far scappare l’uccello; una gabbia troppo piccola significa ucciderlo.
La Cina, primo esportatore e secondo importatore al mondo, da oggi al 2022, quando Xi Jinping, segretario generale del Partito comunista e presidente della Repubblica popolare concluderà il mandato decennale, vedrà il rafforzamento controllato del partito su tutte le infrastrutture del grande Paese i cui vertici sono terrorizzati da quanto successe all’Urss di Gorbaciov: riforme radicali in una realtà impreparata ad accoglierle e dissoluzione dell’ Unione.
Stabilità interna a tutti i costi, quindi, anche usando il pugno di ferro nei confronti dei dissidenti e delle minoranze ostili.
Se aggiungiamo che i cinesi soffrono la sindrome dell’accerchiamento (prodromo dell’allargamento della seconda guerra mondiale fu la cintura di basi americane per fermare l’espansionismo economico e militare del Giappone) comprendiamo bene che la democrazia – come da noi occidentali viene intesa – sia in Cina di là da venire.
Mentre l’economia, fermamente guidata, non presenta problemi: e i nostri uomini d’affari capitalisti possono continuare ad operare alla grande facendo finta che il comunismo sia soltanto il rosso della bandiera.
Ma non soltanto dell’ulteriore sviluppo dell’ economia si interesserà il partito con il suo segretario Xi: altri importanti obiettivi sono l’abbattimento dell’inquinamento, la lotta alla corruzione, il rallentamento dell’inurbamento (ogni anno 15-16 milioni di cinesi lasciano le campagne per le città), la modernizzazione dell’agricoltura, la fine della politica del figlio unico, l’allargamento del welfare a platee più numerose: ed anche confronto culturale.
Se gli Usa limitano l’apertura di Istituti Confucio nel loro territorio, la Cina è aperta perché sicura di essere, sotto questo aspetto, più forte.
Cultura che si accompagna alla riscoperta dell’orgoglio nazionale di cui Xi è alfiere: “E proprio il confronto tra le due civiltà millenarie di Italia e Cina – afferma il presidente dell’Istituto Europa Asia Achille Colombo Clerici – rimane la chiave più importante per lo sviluppo dei rapporti, anche economici, tra i due Paesi”.
Xi, pur dotato di grande potere, non intende imporre il proprio pensiero, ma utilizzare le strutture della politica per ottenere consenso e quindi realizzare gli obiettivi che si prefigge.
Efficace propaganda e pragmatismo economico, quindi.
Se ne è parlato nella sede Ispi di Milano alla quarta edizione della Conferenza annuale sulla Cina dedicata alla memoria di Maria Weber docente all’ Università Bocconi, autrice di importanti saggi sulla Cina, responsabile dell’ Istituto italiano di cultura di Pechino, studiosa di grandi qualità umane e di capacità scientifiche non comuni.
Apertura dei lavori affidata a Franco Bruni, vicepresidente di ISPI e professore di Teoria e Politica monetaria internazionale nell’Università Bocconi di Milano; e a Cesare Romiti, presidente della Fondazione Italia Cina che ha promosso l’iniziativa con ISPI, AgiChina24, Mandarin Capital Partners.
Quindi interventi di Steve Tsang, professore di Studi contemporanei cinesi e direttore di China Policy Institute dell’Università di Nottingham; di Axel Berkofsky, associate senior research fellow dell’ISPI e docente nell’Università di Pavia; Thomas Rosenthal, direttore CeSIF, Centro studi per l’impresa Fondazione Italia Cina; Alessandra Spalletta, giornalista AgiChina24, sinologa; Marco del Corona, giornalista del Corriere della Sera, moderatore; Davide Cucino, presidente della Camera di Commercio dell’Unione Europea in Cina; Lorenzo Stanca, vicepresidente Dagong Europe; Umberto Angeloni, presidente e amministratore delegato della Caruso; Jenny Gao, managing partner di Mandarin Capital Partners; Marcello Sala, vicepresidente esecutivo del Consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo; Zhemin Zhu, amministratore delegato Genertech Italia; moderatore Giuliano Noci, prorettore del Polo Territoriale Cinese del Politecnico di Milano.
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I rapporti con Usa, Europa e potenze dell’area del Pacifico, tra cui Giappone e Filippine rispecchiano la forza militare dei protagonisti: primari con gli Usa, meno rilevanti con l’Europa – che non riesce a dotarsi di forze armate comuni ed appare troppo adagiata sulle posizioni americane -, tesi con Filippine e soprattutto Giappone per via delle contese isole Diaoyutai o Senkaku: ma, è parere degli esperti, nessun pericolo di conflitto.
Il mercato resta la migliore garanzia di cannoni silenti.
Anche se una guerra ci sarà, ma sarà condotta negli ultramoderni uffici delle borse e delle finanziarie di Wall Street e di Shanghai.
Un cenno di cronaca di questi giorni: la Cina non appoggerà la Russia sulla questione Crimea, l’indipendenza della penisola ucraina sarebbe una tentazione troppo forte per Hong Kong.
L’interscambio con l’Italia e il suo confronto con l’Unione Europea. L’export italiano in Cina è cresciuto nel 2013 rispetto al 2012 di oltre 1,3 miliardi di dollari (+8,13%), recuperando così quasi interamente il calo del 2012 rispetto al 2011.
Anche l’import italiano dalla Cina è tornato a crescere l’anno scorso dopo il calo di 8 miliardi registrato nel 2012.
Il disavanzo della bilancia commerciale è sceso a 8,17 miliardi di dollari con un calo del 13,04% rispetto al 2012 e del 49,27% nel 2011.
Tuttavia il saldo della bilancia resta negativo per l’Italia.
L’anno appena chiuso segna, dunque, una ripresa dell’interscambio tra i due Paesi che passa così dai 41,91 ai 43,33 miliardi di dollari (+3,38%), sebbene al di sotto dei 51,3 miliardi di dollari del 2011.
In crescita anche l’interscambio Ue-Cina con un import dalla Cina a quota 338,27 miliardi di dollari (+1,24%) e un export a quota 220,06 miliardi (+3,42%).
Il Centro Studi per l’Impresa segnala, inoltre, tassi di crescita in entrambe le direzioni anche in Regno Unito (export in Cina a + 13,52% rispetto al 2012, import a +10,04%, quasi il doppio di quello italiano); e in Olanda (import dalla Cina a +2,37%, export cresce del 12,8%).
Caso a parte per la Germania dove calano le importazioni (-2,63%) e cresce l’export (+2,38%): “La bilancia commerciale – si legge nello studio – è dunque ancor più in positivo, con un import pari a 2,5 volte quello italiano, ma un export di oltre cinque volte superiore”.
Segni contrari per la Russia, che ha un interscambio pari all’incirca al doppio di quello italiano: calo dell’export (-9,96%) e crescita dell’import (+12,55%), dati che vanno a modificare una bilancia commerciale in sostanziale parità negli ultimi due anni.
Doppio segno negativo, invece, per la Francia che chiude il 2013 con un import a -0,69% (valori assoluti simili a quelli italiani), e un export a -4,64% (circa un quarto superiore a quello italiano).
Foto: Achille Colombo Clerici con il Console Generale di Cina Signora Liang Hui