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CETA chi ci guadagna davvero? E chi ci perde di più? By Avv. Fabio Squillaci
11 Ottobre 2017
By Giuseppe
Abbiamo chiesto all’Avv. Fabio squillaci di darci un suo parere sul CETA, visto che in Italia c’è chi esulta e chi grida al tradimento. La qualità percepita di questo accordo sembrerebbe buona ma , leggendo tra le righe, l’avv. Fabio Squillaci, esperto in Diritto Alimentare, ha evidenziato qualche stortura che potrebbe creare guai seri al nostro Made in Italy di eccellenza.
La firma è prevista per il 27 ottobre 2016. Quindi dopodomani. Cos’è il CETA? E’ l‘abbreviazione di Comprehensive Economic and Trade Agreement: Trattato …
Avv. Fabio Squillaci
in esclusiva per Newsfood.com
CETA chi ci guadagna davvero
Milano, 10 ottobre 2017
Il CETA è un nuovo accordo commerciale tra l’UE e il Canada che dovrebbe semplificare l’esportazione di beni e servizi, con conseguenti vantaggi per i cittadini e le imprese nell’UE e in Canada, rappresentando una sinergia tra i due Paesi che involge non solo l’imprenditoria ma anche il mondo dei professionisti.
Il 21 settembre 2017 il CETA è entrata in vigore, in via provvisoria, consentendo alla maggior parte dell’accordo di essere applicabile. Il percorso potrà dirsi concluso solo quando i Paesi UE, tra cui l’Italia, ratificheranno formalmente il Trattato, ma, e questo preme dirlo, già oggi esportare in Canada sembra più semplice.
L’accordo, si legge tra gli obiettivi:
• ridurrà le tariffe doganali e le altre barriere commerciali tra l’UE e il Canada
• sosterrà le rigorose norme europee in settori quali la sicurezza igienico-sanitaria dei prodotti alimentari, i diritti dei lavoratori e l’ambiente
• rispetterà la democrazia.
Gli obiettivi dichiarati sono ambiziosi: abbattere più del 90% dei dazi doganali (oltre che parte delle barriere non doganali) sui 60 miliardi di euro del volume di scambi tra i due Paesi, incentivare gli investimenti stranieri, liberalizzare i servizi e rafforzare la cooperazione normativa. La filosofia di fondo è quella liberista professata da Adam Smith con il chiaro intento di svincolare da rigorismi e formalismi i Paesi dell’UE.
Ma a quale prezzo per l’Italia?
Il rischio, non troppo latente, è quello di aver sostenuto e condiviso in Europa un Trattato suicida per il nostro agroalimentare e per il tessuto industriale italiano, che delinea uno scenario molto vantaggioso per le multinazionali e fortemente pregiudizievole per i prodotti di origine controllata e protetta.
Ma procediamo con ordine.
Nel manifesto UE (stranamente limitato ai vantaggi del CETA) si legge che il CETA potrebbe contribuire alla promozione della crescita nonché ad aumentare il numero di posti di lavoro in tutta Europa. Altri accordi di libero scambio recentemente conclusi dall’UE, si legge, stanno facendo proprio questo. Basti pensare, ad esempio, a quello con la Corea del Sud. Nei quattro anni successivi all’entrata in vigore dell’accordo, le esportazioni dell’UE verso la Corea del Sud sono cresciute rapidamente, con un aumento del 55 % per i beni e di oltre 40 % per i servizi.
Grazie al CETA, le imprese canadesi e dell’UE potranno realmente competere a parità di condizioni. Infatti il CETA contribuirà a ridurre i costi per le aziende dell’UE che esportano in Canada, in particolar modo per quelle più piccole, atteso che include i cosiddetti certificati di valutazione della conformità.
Tali certificati provano che un prodotto è stato testato e soddisfa le norme e i regolamenti tecnici pertinenti e qualsiasi altra norma in materia di salute, sicurezza, tutela dei consumatori o dell’ambiente applicabile. Con il CETA, l’UE e il Canada hanno concordato di accettare reciprocamente i certificati di valutazione della conformità per prodotti che vanno dalle apparecchiature elettriche ai giocattoli. Così, ad esempio, un’azienda dell’UE che intenda vendere un giocattolo in Canada dovrà testare il proprio prodotto una sola volta, in Europa, dove può ottenere un certificato valido per il Canada. In questo modo sarà possibile risparmiare tempo e denaro.
Il CETA, da ultimo, si legge che fornirà il proprio sostegno ai produttori di prodotti alimentari e bevande in tutta Europa, molti dei quali appartengono a piccole comunità rurali. Questo sarà possibile poiché il Canada ha accettato di tutelare oltre 140 indicazioni geografiche europee (IG). Si tratta di denominazioni di prodotti alimentari e di bevande di alta qualità, legate alle regioni in cui vengono prodotti.
Ma questo fascio di “rose” prospettato dal legislatore europeo adombra una miriade di spine, soprattutto con riferimento all’export di prodotti agroalimentari. Vero è che il CETA prevede un mutuo riconoscimento di certificati tra le sponde dell’Atlantico con l’affermata protezione dei diritti di privativa, ma se si legge tra le righe, i rischi per i prodotti italiani sono molteplici.
Innanzitutto il CETA compare sulla scena realizzando una deregulation sistemica nel senso di prevedere una liberalizzazione commerciale non uniforme, posto che le regole in materia di sicurezza alimentare sono profondamente diverse tra loro. Del resto la tempistica non è stata delle più felici atteso che solo di recente è stato varato il nuovo Regolamento Europeo sui controlli ufficiali che ha tra gli obiettivi quello di offrire un migliore coordinamento con i Paesi extra-UE.
Questo iato tra le due sponde dell’Oceano renderà astrattamente possibile perfino che per l’abbattimento della regolamentazione sulla qualità e la salubrità degli alimenti, si introduca in Europa carne derivante da procedimenti dove vengono usati gli ormoni della crescita, gli antibiotici e in cui si fa uso di OGM.
Le carcasse degli animali, ad esempio, vengono lavate con il cloro nel Nord America, in Italia quest’idea ci farebbe rabbrividire. I prodotti ottenuti in quella maniera invaderanno i nostri mercati e i cittadini saranno invogliati ad acquistarli perché costeranno meno a danno della salute.
Il CETA inoltre attraverso la cooperazione normativa potrebbe dunque far cadere il principio di precauzione che ha fino ad oggi ha impedito l’importazione di cibo OGM nel mercato comunitario. Ciò che diverte è l’impossibilità di fare il contrario, ovvero il CETA inibisce il percorso inverso atteso che le imprese UE comunque dovranno restare assoggettate al Regolamento 1169/2011 ed al relativo regime.
Ma forse le maggiori criticità riguardano i prodotti di nicchia. Nel nostro Paese molti prodotti sono regolati attraverso i marchi DOP, DOC, Igp, Igt, come i vini, i distillati e prodotti alimentari che vengono ottenuti attraverso procedimenti disciplinari molto severi. Ebbene, per questi prodotti, che in Europa, il CETA ne tutela poco più di 200, questo significa che l’Italia potrebbe essere esposta al rischio della contraffazione dei marchi, perché sarà legale che un’impresa canadese produca un prosciutto chiamandolo “mortadella Bologna” e lo venda sul mercato europeo senza subire conseguenze.
Un caso su tutti nato proprio ad Ottawa: il parmesan. Un prodotto canadese al 100% che richiama il nostro parmigiano reggiano ma che di reggiano ha poco o nulla.
Insomma, mentre l’Europa riconosce migliaia di prodotti agroalimentari Dop (Denominazione d’Origine Protetta), Igp (Indicazione Geografica Protetta), Stg (Specialità Tradizionale Garantita) con l’Italia che solo di prodotti Dop vanta 280 specialità sui 1500 europei, il Canada non sa cosa siano le indicazioni geografiche e giustifica in questo modo quella che noi comunemente chiamiamo pirateria agroalimentare o italian sounding che reca ai nostri produttori danni stimati in circa 26 miliardi di euro.
Fabio Squillaci è avvocato, specializzato in Professioni Legali ed allievo del Corso Galli in Napoli. Ha svolto con profitto lo stage ex art. 73 D.L. 69/2013 affiancando un giudice penale presso il Tribunale di Cosenza. Da sempre amante delle interazioni tra il diritto e le altre scienze, ha collaborato in diverse attività di ricerca. In qualità di cultore della materia collabora con i docenti per lo svolgimento di attività seminariali e di esercitazione, nonché per lo svolgimento degli esami di profitto. Autore di varie pubblicazioni su Persona e danno, diritto.it, Camminodiritto e Salvis Juribus, Newsfood.com; ha di recente pubblicato la monografia “Il diritto storto”.
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