BREXIT-ITALIA : i dubbi di un europeista

4 Marzo 2019
NO-DEAL BREXIT: RITORNO AL PASSATO CON IL WTO
In mancanza di un accodo condiviso, ritorna in vigore fra UE e UK il sistema WTO per il commercio mondiale internazionale, ovvero il sistema di scambi di prodotti fra paesi con monete e regole diverse, condizioni commerciali e mercantili dettati da politiche interne, anche protezionistiche che spesso hanno visto embarghi, sanzioni, blocchi creando non pochi problemi economici e finanziari. Anche la attuale situazione venezuelana, almeno per il settore alimentare e il farmaceutico, ne è un chiare esempio non solo composto da veti incrociati ma anche da blocchi diretti e indiretti. Le tariffe dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) si applicheranno a tutte le importazioni dell’Ue provenienti dal Regno Unito, così come si applicano oggi alle importazioni dai paesi terzi. Ciò porterà i fornitori britannici a perdere l’accesso al mercato dell’UE, ma una parte del danno sarà compensata da un ulteriore indebolimento della moneta, ma che migliorerà la loro posizione competitiva. Le imprese saranno chiamate a rivoluzioni organizzative e amministrative con costi aggiuntivi non previsti da spalmare su più anni….è una catena di sant’antonio lunga e pericolosa. La Sterlina sarà suscettibile di forti sbalzi con deprezzamento dell’odine del 15% circa dicono gli analisti finanziari mondiali, soprattutto quelli che sono legati alle società di Rating. L’UK è un importatore netto di materie prime agricole per il fabbisogno interno. Una Brexit non concordata farà alzare anche i prezzi del made in UK a totale svantaggio dei consumatori inglesi. Aree già con una marcata depressione di consumi generali e alimentari in particolare e a rischio occupazione in UK (e ce ne sono anche più che in Italia) subiranno un ulteriore tracollo perdendo fra il 20-30% del potere di acquisto. Un indebolimento della Sterlina comporta un inflazione automatica dei prezzi alimentari al consumo…ma questo inciderà anche sulla contrazione dei consumi in generale e ridurrà drasticamente le uscite al ristorante.
BREXIT SI-NO-NI: COSA SUCCEDE ALLE AZIENDE AGRICOLE
Una no-Brexit concordata, guidata, piotata, gestita porterà sicuramente a un aumento generale di tutti i prodotti di origine interna, dicono gli analisti. Gli agricoltori del Regno Unito avranno sicuramente da un lato un aumento dei costi dei fattori produttivi importati dell’impresa ( energia, fertilizzanti, macchinari agricoli, prodotti sanitari e presidi chimici per le colture in campo, ma dall’atro lato beneficeranno dell’aumento incassando di più a scapito dei clienti e consumatori che vedranno improvvisamente crescere i prezzi dei prodotti alimentari. Ma per esempio il settore agricolo britannico produttore di zucchero potrebbe avere dei vantaggi da un NO-deal per il fatto che non sarà più soggetto ai limiti dell’importazione del grezzo. Il solo problema può essere dato dall’importazione di zucchero a basso prezzo. Inoltre tutte le produzioni e allevamenti certificati in UK non saranno più riconosciuti dall’UE. Tutte le imprese britanniche agricole dovranno dotarsi di nuove autorizzazioni singole per poter esportare nei paesi UE. Anche il settore ittico sarebbe succube del blocco con gravi danni sia per le industrie UK che per quelle UE: il già delicato accordo globale, con quelli bilaterali nel settore dell’accesso alle acque e dei diritti alla pesca in mari confinanti, avrà bisogno di una revisione completa e questo comporterà anni di analisi e valutazioni. E nel frattempo? Per quanto riguarda i cereali vale la stessa cosa poichè il Regno Unito è deficitario per certe varietà e ne esporta altre, in ogni caso un ingente volume di cereali attualmente trasformati in etanolo si renderebbe libero sul mercato britannico creando non pochi problemi se non verrà immediatamente formulata una nuova regola del Regno Unito: ciò potrebbe portare a un’offerta aggiuntiva di cereali e a prezzi più bassi, a beneficio di altre industrie come quelle di mangimi per animali. Un altro caos nel settore
BREXIT: LOGISTICA DELLE MERCI E SUPERLAVORO DOGANALE
Abbiamo già constatato che – come annunciato da Paolo De Castro primo vice Commissario UE all’Agricoltura – la logistica è strettamente connessa con i problemi che possono insorgere a seconda del tipo di accodo o NO-accordo con la UE, fra questi gli elevati e incrementati oneri amministrativi derivanti dal commercio fra i vari paesi: se passa il NO-deal l’attuale “unico” scambio di passaggio di confine si trasformerebbe in 27 accordi bilaterali, uno diverso dall’altro, ognuno con pesi e misure differenti. I controlli doganali non solo porteranno a maggiori costi di attraversamento delle frontiere, ma aumenterà anche il tempo trascorso alla frontiera, il che risulterebbe oltremodo dannoso per la qualità e il valore dei prodotti freschi. Diverse le preoccupazioni sul fatto che i controlli della sicurezza alimentare e sanitaria alle frontiere possano condurre molto rapidamente a interruzioni e ritardi nei porti di ingresso nel Regno Unito, poiché i carichi dovranno essere visionati uno a uno. Anche un controllo di pochi minuti potrebbe causare rapidamente una congestione. Su questo tema si innesta l’antico problema del confine fra Belfast e Dublino, fra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda. Un NO-deal determinerebbe un eccessivo aumento di costi per acquistare prodotti come il latte, animali vivi, orzo e alcolici oltre il confine. Tutte le società operative, le aziende di distribuzione e di importazioni, sempre irlandesi, operanti oggi sui due versanti di un confine che potrebbe anche essere “ più chiuso” e più o meno evidenziato ( tema cruciale e vero, ben superiore a tutti gli altri, che sta tenendo in sospeso ogni decisione e in sospeso tutti i paesi europei) , sarebbero costrette a dividersi, a duplicarsi, a separare le attività con costi enormi.
BREXIT: COSA STA FACENDO LA SPAGNA
Il ministro dell’agricoltura spagnolo ha già dichiarato di avere sul suo tavolo soluzioni attive pronte per qualunque scenario. E intende arrivare fra i primi a chiudere eventuali nuovi accordi da solo o insieme ad altri paesi europei. Il Regno Unito è un mercato particolarmente importante per le esportazioni spagnole: si piazza al quinto posto dopo Francia, Germania, Italia e Portogallo, e rappresenta l’8% del volume totale del commercio estero iberico, con un ruolo chiave svolto dai prodotti dell’agricoltura come frutta e verdura fresca, vino, olio d’oliva e carne di maiale. La Spagna assorbe invece il 3% dell’export britannico, costituito principalmente da alcolici e pesce. E’ interesse ridurre al minimo l’impatto Brexit. C’è un piano spagnolo pe un NO-deal per preservare la propria bilancia export e degli scambi, in particolare il settore ittico su cui la Spagna sta puntando da anni: volumi, qualità e costi contenuti. Ci sono 200 barche spagnole che pescano in acque inglesi, quindi è prioritario difendere flotta e aree di pesca. In ogni caso la Spagna ha previsto un investimento cospicuo per rafforzare la presenza commerciale in paesi terzi e nuovi paesi lontani. Sono attivate misure eccezionali per correggere il libero mercato attraverso accordi separati per la difesa delle proprietà intellettuali collettive e l’origine in primis per i prodotti caseari, miele, olio di oliva. I più colpiti sarebbero i settori ortofrutticoli di Andalusia, Murcia e Valencia soprattutto per la mole di “carta” e nuove ispezioni e licenze fitosanitarie che l’UK potrebbe richiedere proprio come “filtro” aggiuntivo a tariffe e dazi, questo il pensiero degli spagnoli. La task foce spagnola già attivata sta lavorando sulla ipotesi Brexit peggiore a un tavolo logistico dei ministeri agricoltura, economia, finanza, sviluppo, trasporti puntando alla creazione di una linea, se necessaria, Santander – Playmouth soprattutto per le merci fresche e deperibili nel caso di blocco.
BREXIT NO-DEAL: LA FRANCIA ALLARMATA E IN ALLARME
L’uscita del Regno Unito dall’Ue senza un accordo potrebbe avere un grave impatto sulle esportazioni agricole francesi, dice il presidente della unica federazione nazionale degli agricoltori che rappresenta tutti e che partecipa, da solo, a tutti i tavoli agricoli esistenti: una forza in più francese. Un unico interlocutore per tutti gli agricoltori francesi. Non poca cosa. per la Francia i più penalizzati da un No-accordo sarebbero i produttori di vino e alcolici, soprattutto i brand alti, i brand dop-igp: da solo questo settore ha registrato ricavi annuali di 1,3 miliardi di euro nel commercio con il Regno Unito. Nel settore carni per la Francia può esserci un forte tensione fra importazione ed esportazione triangolare: Irlanda-Francia-Uk molta più carne bovina irlandese potrebbe entrare in Francia e verso la Ue destabilizzando i prezzi ed abbassando i redditi degli allevatori francesi. La Francia perderebbe solo fra formaggi e frutta cica 1 mld di euro l’anno, con spinte in basso di prezzi cibo e bevande. La Francia punta anche il dito verso la Commissione UE: urge predisporre, discutere approvare una nuova legislazione comunitaria difronte ai nuovi scenari, troppo importante l’export verso la UK che è il secondo mercato al mondo dopo gli Usa con 281 mln di bottiglie. La Francia vince nella bilancia dei pagamenti per un attivo di 10 mld euro l’anno, di cui 3 mld derivati da esportazioni agricole (in primis Camembert e Brie oltre a tutti i caseari, le mele, ortaggi e cereali) che potrebbe sparire causa nuovi controlli, tariffe, dazi per le barriere doganali aggiuntive. A fronte di un UK che può diventare un paese terzo a tutti gli effetti per il NO-deal, è già stato studiato un piano di emergenza nazionale a 360 gradi, non settoriale che parte addirittura dall’incremento degli “addetti” al controllo nelle diverse dogane soprattutto portuali. Stanziati già 50 mio euro. Calais è il fulcro di tutto. difronte anche alla certezza che non si conosce un piano BB. L’unica soluzione è quella sul tavolo. Forse la UE scopre che non si può vivere più di solo business-finanza-economia in UE, ma che certe questioni storiche, civili, sociali e di convenzione europea spesso accantonati e non trattati…sono poi i punti salienti e disgreganti (vedi confine fra le due Irlanda).
BREXIT: MERCATO E PAC NUOVA
Per il mondo agricolo, agroalimentare enogastronomico europeo la soluzione positiva della Brexit, cioè un accordo condiviso e accettato prima possibile e in vigore subito, vale circa 40 mld di euro l’anno in termine di scambi commerciali dai 27 Paesi europei verso il Regno Unito con una bilancia dei pagamenti fortemente a vantaggio di tutti i paesi europei, chi più chi meno. Certamente Francia e Germania in testa seguita dall’Italia. Ricordiamo, come paragone e per inquadrare l’importanza della Brexit, che il blocco delle esportazioni del settore agroalimentare, ovvero l’embargo, verso la Federazione Russa è pari a circa 6 miliardi di euro. L’Italia vende annualmente al Regno Unito un controvalore di merci pari a 3,4 mld di euro, soprattutto vini e alcolici (circa 1 mld di euro) e ortofrutticoli, a seguire lattiero caseari e salumi. In questo contesto la PAC è uno strumento operativo costruito nei decenni che ha consentito da un lato di far crescere le produzioni, di aiutarle e indirizzarle, di calmierarle e governarle al fine di un vantaggio economico per la produzione e una sicurezza della qualità per il consumatore. Di questa politica hanno usufruito anche gli agricoltori inglesi e i primi effetti si vedono già nel settore ovino e capino. Per cui la questione PAC è al centro del dibattito non solo perché rappresenta il tema cardine della UE fra gli stati membri, ma anche perché la PAC è una fonte importante di contributi e finanziamenti che rientrano nei PSR nazionali, toccando tutti i settori dell’agroalimentare, dalla promozione alla commercializzazione. Una hard Brexit, dicono, comporta aiuti e misure di emergenza della UE verso tutti i paesi per colmare il gap delle tariffe aumentate e il ripristino dei controlli e certificazione degli stand richiesti dalla UK. Una modifica della logistica attuale con nuove procedure e tempi può essere catastrofica per l’industria ma anche per i cittadini inglesi. L’eventuale barriera doganale e il non riconoscimento degli attuali accordi potrebbe colpire tutti gli alimenti Dop-Igp-Stg che verrebbero automaticamente equiparati a quelli generici e comuni. Se a questo si aggiungessero eventuali misure protezionistiche di tipo normativo, di contenuti, di confezionamento, di dosaggio alcuni prodotti per entrare nel mercato UK aumenterebbero il costo in modo esponenziale limitando l’esportazione dal paese di origine. Danni ai consumatori inglesi, danni ai produttori italiani di Dop e Igp. In caso di disaccordo con l’UE potrebbe esserci anche una legislazione molto restrittiva sulla etichettatura dei prodotti che cancella il regolamento 1169/2011
BREXIT-ITALIA: L’AGROALIMENTARE PRIMO SETTORE IN CRISI
Grana Padano, Parmigiano Reggiano e Prosecco guidano la pattuglia dell’esportazione, nell’ambito del mercato unico europeo, dall’Italia verso il Regno Unito. Cui aggiungere un altro flusso importante di prodotti Dop e Igp, fiore all’occhiello del made in Italy, fortemente richiesto dal mercato inglese, come i prosciutti, gli oli d’oliva, l’aceto balsamico, la mortadella, le mozzarelle fino ai pomodori pelati ed altri ortaggi come cipolle e aglio. L’UK è la destinazione di circa il 19% di tutte le esportazioni italiane, di cui il 30% solo Dop-Igp. Il mancato accordo potrebbe far perdere all’Italia per il solo export agroalimentare circa 3,4 mld di Euro all’anno e per sempre, causa più dazi e più tariffe, ma potrebbe aumentare causa perdita di volumi. Mi sembra – ma è una affermazione fuori tema – che questo è un aspetto economico-finanziario ben più importante che rispettare supinamente i vincoli di bilancio, l’austerity del debito, il blocco del sostegno alle famiglie italiane più bisognose. Ma e’ un altro mondo! Ottimo il pacchetto del Mef in merito alle misure da adottare per dare continuità dei mercati. Per esempio, l’export di Prosecco Docg-Doc in UK nel 2018 è stato circa di 350 mln di euro all’interno dei quasi 900 mln totali del vino italiano e rischia di subire uno stop o una diminuzione di volumi causa l’incremento delle tariffe che potrebbero oscillare fra il 15-25% in più del prezzo attuale alla dogana. La Coldiretti evidenzia un altro scenario molto negativo per l’agroalimentare italiano di qualità derivante da un NO-deal: l’accordo Ceta in Canada potrebbe favorire, visto le uguaglianze degli standard esportativi, le relazioni rimaste in essere fra gli ex paesi del Commonwealth e gli accordi bilaterali già attivi e assimilati con il Regno Unito, l’ingresso di formaggio “parmesan” sul mercato UK – libero dall’Ocm – a discapito dei marchi Dop italiani
BREXIT: COLDIRETTI CONTRO IL BOLLINO A SEMAFORO
La Coldiretti è chiara: in assenza di un accordo UE-UK lo scenario è preoccupante e molto alto il rischio di un danno orizzontale per tutti i paesi e per tutti i prodotti oggi presenti nello scambio commerciale del mercato unico. Il rischio peggiore potrebbe essere quella addirittura di una legislazione britannica ad hoc che colmi il buco legislativo, post hard Brexit. Urge anticipare ogni mossa o soluzione con degli accordi bilaterali come quello già inserito nella proposta di soft Brexit qualche mese fa approvato all’unanimità dagli Stati membri. Già oggi inizia a diffondersi l’uso di un bollino-semaforo in diversi grandi supermercati inglesi, seppur non approvato dalla UE, per decretare in modo assoluto, matematico e senza alcuna valutazione dei valori energetici, sulle quantità minime o massime consumate e sulle diverse caratteristiche anche coadiuvanti di certi elementi organici (si veda la tipica complessità di molti alimenti della dieta mediterranea e della biodiversità nutrizionale), attraverso solo la quantità di alcune sostanze giudicate critiche come i grassi, i sali, gli zuccheri. Il risultato sarebbe quello di far entrare nel mercato UK solo i cibi, alimenti, bevande che superano lo schema astratto del semaforo-bollino. Questo porterebbe a dare il bollino “verde” di ingresso nel mercato UK a una bevanda colorata e gassata di ricetta e provenienza sconosciuta o un superalcolico e a colpire con il “bollo rosso” Grana Padano, Coppa Piacentina, Culatello, Prosciutto, Fiocco, Provolone nonché gli EVO notoriamente utili come antiossidanti.
Giampietro Comolli
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Giampietro Comolli
Economista Agronomo Enologo Giornalista
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Editorialista Newsfood.com
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