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Ristorazione, la crisi dei consumi fuori casa

Ristorazione, la crisi dei consumi fuori casa

By Redazione

La crisi, seppur molti segnali annunciavano l’arrivo, è scoppiata improvvisa, come la collisione del Titanic con l’iceberg e la conseguente apertura d’alcune falle lungo la fiancata del
transatlantico. Fermiamoci qui perché può essere di cattivo augurio continuare con la similitudine.

La crisi ha anche un crescendo per fattori emozionali: la paura che ha il nostro vicino, ci contagia. Quello che capita a lui ci mette paura e da sempre la paura genera comportamenti
irrazionali, ma anche, per fortuna funge da stimolo alla creazione d’anticorpi.

Non è, però, nelle nostre intenzioni addentrarci in un discorso che ci porterebbe molto lontano dagli scopi del nostro sondaggio che ha voluto indagare come la crisi ha impattato
sul settore della ristorazione made in Italy.

Abbiamo voluto sondare la crisi del “mangiare” fuori casa.

Un sondaggio, per conoscere e capire come, e se, la crisi ha investito il settore della ristorazione italiana.

Nei Ristoranti in Italia e nei Ristoranti Italiani nel mondo.

Il Ristorante è uno dei termometri per misurare l’incidenza della congiuntura negativa sui consumi. E’ l’anello, il crocevia, il punto di confluenza, dove si registrano le
difficoltà economiche del consumatore che si ripercuotono sulla filiera che dal produttore porta all’esercente finale.

Crisi dei produttori; delle esportazioni, specie delle eccellenze eno – gastronomiche. Crisi dell’intero “comparto” agro alimentare italiano.

Alcune precisazioni:

– Il nostro sondaggio non ha alcun valore statistico, in quanto rivelazioni aperte a tutti e non basate su un campione elaborato scientificamente. Pur tuttavia questo conserva una sua
validità per l’ausilio fornitoci da un’esperta in scienze statistiche con la quale abbiamo definito ed omogeneizzato il campione e predisposto i quesiti, anche con l’inserimento di
domande “di verifica”.

– Abbiamo lanciato il sondaggio alla fine di gennaio 2009 e riceviamo ancora i questionari debitamente compilati, per effetto di un “passa parola” all’interno della categoria. Questo ha
comportato un’evoluzione nelle risposte, a nostro parere per la velocità con cui il virus, partito dagli USA, si propaga e sul diverso effetto, in termini di tempestività ed
efficacia, delle medicine propinate dai Governi.

– Rientra negli obiettivi del sondaggio non certificare uno status quo, ma ricevere e dare indicazioni, dalla diretta voce degli operatori del settore, sugli interventi da adottare e quali
richiedere alla “mano pubblica”.

Disponendo, alla data odierna, di poco più di mille risposte al sondaggio, che contempla 26 domande ed un commento facoltativo, iniziamo con l’analizzare i punti salienti evidenziati dai
Ristoratori in Italia, lasciando a successivi resoconti, rendere pubblici i dati relativi al resto del mondo dove sono presenti ristoranti di cucina italiana ( praticamente tutti i cinque
continenti).

ITALIA

Ottimisti per carattere.

C’è coscienza della crisi, forte, però è la propensione all’ottimismo, maggiore nel Nord del Paese che al Centro e al Sud.

 Registriamo, infatti, che alla domanda “Quanto durerà la crisi?”

•             60% risponde:Solo il
2009                              

•             30%  Non so  

•             10%  ritiene che durerà Più di un anno

La vitalità e l’intraprendenza degli operatori intervistati si appura da un:

•             80% che dichiara di sperimentare provvedimenti di contrasto alla crisi

•             20%  che dichiara di attendere provvedimenti dalle Istituzioni.

Soffermiamoci, prima di analizzare nel dettaglio quali sono i provvedimenti di contrasto, su alcune ricorrenti risposte “a commento libero”.

Nord Italia

•             “Le Banche dovrebbero supportare maggiormente gli elementi validi che vogliono investire”

•             “Mi ero preparato a questa crisi ed ho messo in atto una differente offerta economica, sempre d’alta
qualità, tra il menù a prezzo fisso del pranzo e della cena. Nonostante tutto, la sera si fa fatica a portare gente nel locale.”

(Ristorante di medio livello, con clientela a reddito medio, a
Milano) 
                       

•             “Nessuno è escluso dalla crisi. I più penalizzati sono, però quelli che non hanno
professionalità ed esperienza. Molti credevano che la ristorazione fosse la gallina dalle uova d’oro. Non è sufficiente avere una liquidazione o un figlio disoccupato o una nonna
brava ai fornelli, per avventurarsi nell’apertura di un ristorante. Senza esperienza, preparazione, professionalità e metodologia si mettono a rischio i propri capitali, si creano danni
al settore e alla clientela. Una ridimensionata era necessaria, anche se spiace la chiusura di molti esercizi per il coraggio, apprezzabile, dimostrato da chi ha aperto un’azienda”

•             “Elevare lo standard del locale. Prodotti di nicchia e locali di lusso fronteggiano la crisi. Stretto collegamento
tra ristoranti ed aziende turistiche”

(Ristorante di medio livello, con clientela a reddito medio, a Cortina d’Ampezzo)

•             “Il tempo è galantuomo. Sopravvivrà il locale serio”

•             “Importante non ridurre la qualità dei prodotti e del servizio”

Centro e Sud Italia

Il primo dato che emerge è l’assenza di “commento libero” per un 60% delle schede.

Dal 40% di risposte estrapoliamo:

•             “Lavoriamo e continueremo a farlo solo con prodotti locali, d’alta qualità. Non possiamo diminuire i costi,
ma proponiamo alternative convenienti (menù degustazione) e non aumentiamo i prezzi”

•             “Difficoltà nel costo del lavoro e nel reperimento di personale qualificato. Diminuzione, sia da parte del
ristoratore che del consumatore, del rapporto qualità prezzo”

•             “La liberalizzazione delle licenze ha creato disordine commerciale, perdita di professionalità nel settore,
confusione nel cliente”

•             “Non bisogna scoraggiarsi, ma continuare ad elaborare ed attuare nuove idee. Investire in prodotti nuovi e
obiettivi in grande, con l’ausilio di attrezzature professionali. Tutto cambia, tutto è cambiato nel settore. Bisogna solo credere in se stessi e presentare al cliente nuove proposte”

(Ristorante medio livello, clientela mista per ceto e reddito, a
Giarre,Sicilia)                 
    

Tra le risposte di sconforto:

•             “E’ un momento di sbandamento totale e io non so quale strada intraprendere. Resisto ancora un po’ prima di
prendere una decisione definitiva. Chi ci può indicare la via?”

•             “I legislatori ci stanno complicando la vita: controlli, normative, regole assurde. La vita del ristoratore
è stressante; loro ce la rendono impossibile. E’ proprio vero il detto: Vuoi augurare del male a qualcuno auguragli di diventare ristoratore”.

Chi risponde sono:

•             Per il 75%  Chef del Ristorante di cui sono proprietari e/o gestori

•             Solo il 25% non sono ai fornelli

Siamo convinti, anche se il nostro sondaggio non contemplava una domanda diretta in tal senso, che l’evoluzione da chef a gestore /proprietario di ristorante, sia, per la maggioranza,
un’evoluzione della professione da dipendente ad imprenditore.

Riscontriamo che sono solo proprietari/ gestori:

– Il 10% dei locali d’alto livello ed il 30% delle Trattorie/ pizzerie e Self Service.

Questi dati ci destano un po’ di preoccupazione sulla bontà della nostra cucina.

Ci rendiamo conto che entriamo in un campo opinabile, ma se un ristorante di livello o inserito in un hotel di lusso ha la direzione manageriale in grado d’affidarsi a uno staff di cucina di
grande professionalità, non altrettanto, in generale, saprà farlo un piccolo imprenditore. Ci torna alla mente il commento, riportato sopra, del ristoratore che dice: “…Non
è sufficiente avere una liquidazione o un figlio disoccupato o  una nonna brava ai fornelli….”

Incrociamo questi dati e queste riflessioni con le risposte alle domande riguardanti, la preparazione professionale degli chef, degli aiuti cuochi e dell’altro personale del ristorante.

Chi è andato a scuola e chi No.

Gli chef hanno per il:

– 73% Frequentato una scuola di formazione o un corso d’aggiornamento 

– 24% NO

Più esattamente:

Al Centro Nord

– 69%        SI

– 31%        NO

Al Centro Sud

– 83%        SI

17%        NO

CHEF A SCUOLA

Il dato sorprendente è quello che riguarda l’altro personale del ristorante per il quale le risposte sulla frequenza ai corsi, evidenzia:

•             64% di SI

•             36% di NO

Stiamo parlando di ristoranti di medio livello ed una preparazione professionale del personale di Sala denota un’attenzione particolare ad un elemento importante per il successo del locale.

Personalmente abbiamo, infatti, valutato fondamentale, quasi quanto la cucina, la cura e la personalizzazione del servizio, per conferire uno stile ed un modello Italia, ai nostri ristoranti:

•             Il personale d’accoglienza, specie sul palcoscenico della ristorazione internazionale, deve avere oggi competenze
più vaste di quelle propriamente della mise in place e del servizio delle portate. Questo personale deve assumere sembianze diverse dal passato. Deve essere un vero e proprio punto di
riferimento, fondamentale cardine del rapporto tra offerta e cliente.

•             Il personale di Sala deve essere individuato come consigliere e persona di fiducia del cliente (ospite di
riguardo) a cui affidare le scelte legate alla preferenza o meno d’alcune pietanze, alla conoscenza degli alimenti e del territorio.

•             Un consulente della tavola.

•             Un sommelier.

•             Ma anche una guida turistica della cultura e dello svago.

L’esigenza quindi, anche per superare la crisi (ricerca primaria del sondaggio), di una maggiore preparazione professionale e di una sempre crescente competenza del personale della
ristorazione, dal proprietario/gestore, allo chef, al personale di Sala, è ben presente nelle risposte tanto da registrare alla domanda:

 “Pensi di frequentare o far frequentare al tuo personale corsi di formazione, aggiornamenti?”

•             68%  SI

•             32%  NO

Le risposte affermative indicano, con schiacciante prevalenza, come destinatari dei corsi, tutto il personale compreso il proprietario/gestore.

Indicativo inoltre è il dato se correlato alla diminuzione degli incassi del locale, registrato da tutti quelli che non danno importanza alla frequenza di corsi di formazione ed
aggiornamento.

In merito al tempo disponibile da dedicare ai corsi d’aggiornamento, che è una chiara indicazione per le scuole e la preparazione dei programmi, conteggiamo:

•             Nessuna Indicazione    44% compresi coloro che hanno risposto No ai corsi

•            
2gg./anno                       24%

•            
5gg./anno                       16%

•            
10gg./anno                      8%

•            
20gg./anno                      8%

GIORNATE / ANNO DA DEDICARE AI CORSI

Solo a titolo di curiosità, tra l’8% di chi individua in 20 giorni di corso, troviamo anche un Ristorante dell’Aquila che ha restituito il questionario prima dei noti eventi drammatici.

N.B.:  Il dettaglio delle risposte, certamente in forma anonima, è a disposizione degli istituti pubblici e privati di formazione, delle agenzie turistiche e delle Camere di
Commercio, perché, a nostro parere, forniscono utili indicazioni per l’offerta di corsi, la predisposizione dei programmi, i temi da trattare, nonché sulle sovvenzioni ed aiuti da
fornire ai Ristoratori.

I numeri della Crisi

Gli incassi denunciano che la crisi morde più al Centro Sud che al Centro Nord, localizzando al Centro/Sud un 25 % di diminuzione.

Dichiarano

– Invariati: il 16 % del campione

– Diminuiti dal 10 al 20%: il 44 % del campione

– Diminuiti oltre il 20 %: il 36 % del campione

– Aumentati: il  4 % del campione

Stante i numeri, gli incassi invariati si concentrano maggiormente nei locali d’alto livello al Nord Italia.

Si ha quindi un 80% di minori introiti che appaiono maggiormente drammatici se si considerano anche i dati sull’aumento delle spese correnti che evidenziano:

Aumento delle spese correnti

Nessuno aumento: 8%

Fino al 5%: 16%

Dal 10 al 20%: 48%

Oltre il 20%: 20%

Non risponde: 8%

Tali risultati sono dovuti principalmente all’aumento dei prezzi delle materie prime che sono stati avvertiti dal

76% degli intervistati come aumentati

16% invariati

4% degli intervistati sono diminuiti

4% non risponde

La categoria trattiene la clientela facendosi carico della crisi, almeno fino ad oggi, non apportando rincari. Dal sondaggio risulta infatti che:

•             Il 64% ha lascito invariati i prezzi del menù

•             Il 24% li ha ridotti di un 5%

•             Il 12% li  ha ridotti di un 10%

Si tratta di valori macro che solo rendendo pubblici tutti i dati scaturiti dal sondaggio sono in grado di evidenziare a quanto la crisi incide sulla “stabilità” dell’esercizio.

Quanto era, prima della crisi, il margine di guadagno?

Con quali criteri era gestito l’esercizio?

Si tratta di un esercizio a gestione famigliare?

Occorrerebbe vedere il bilancio degli anni precedenti, gli investimenti effettuati, il conto patrimonio e così via.

Al momento ci accontentiamo di una fotografia panoramica e come un medico auscultiamo il respiro del paziente, il battito del polso, la temperatura corporea, quali sintomi accusa e quali rimedi
autonomamente ha già adottato.

Ancora alcuni dati significativi:

Non ha modificato il menù e la composizione della cantina: il 77% del campione

Diminuisce la quantità nel piatto, ma aumenta l’offerta di prodotti di nicchia e la qualità dei prodotti: il 72% degli intervistati

Investire

Un dato confortante e che giudichiamo molto positivamente è quello che emerge dalle risposte alla domanda “In cosa investiresti per affrontare la crisi?”

•             Secondo  il 35% in attrezzature, arredamento, rinnovo locale.

Il dato denota fiducia nel futuro perché la crisi passerà e il ristorante dovrà essere pronto alla ripresa a presentarsi esteticamente all’altezza e tecnologicamente
all’avanguardia.

•             C’è anche un 24% che ritiene fondamentale investire sulla pubblicità – da sempre anima del commercio
–  anche se tra questi il 37% sottolinea l’importanza, insieme alla pubblicità, di investire nel rinnovo del locale.

•             Il 16% investirebbe sul personale. Ci auguriamo intendano curarne la preparazione e la professionalità

•             Il 10% pensa all’offerta della cucina per renderla più creativa o con una ristorazione alternativa o con
proposte diverse.

Per la verità non siamo sicuri d’interpretare al meglio queste risposte. C’è voglia di cambiamento, di dare al cliente una cucina diversa da quella della concorrenza, ma si
è all’altezza dei propositi? Si sta programmando la partecipazione a corsi di aggiornamento? Si stanno attuando sperimentazioni e si raccoglie il parere del cliente?Ed ancora, il cliente
cosa ti chiede?

Il 15% non investirebbe, ma tra questi c’è chi per “mancanza di disponibilità finanziarie” e  chi perché non sa in cosa è  conveniente investire.

I CANALI PUBBLICITARI

I dati che emergono dalle risposte sono utili anche per chi pianifica e sviluppa il business in questo settore, visto che il mercato della ristorazione è rilevante e si presta a forme di
pubblicità “collegata”, tipo turismo/gastronomia/prodotti.

•             Internet vince senza storia la sfida delle preferenze, indicato come canale preferito dal 43% degli
intervistati. 

Le restanti preferenze vanno:

•             per il 19% ai giornali

•             per il 14%  ai volantini

•             il 7% indica di preferire il passa parola

•             il 2,5% l’inserimento nelle
guide                                 

•             il 2,5% la cartellonistica stradale

•             Accoglienza/buona cucina/professionalità raccoglie, insieme, un 4,5%.

•             Il 7,5% non indica alcuna preferenza.

LA CUCINA

Vediamo, per finire, cosa c’è in tavola.

Innanzi tutto: come i ristoratori definiscono “La cucina italiana è…”

Dalle risposte rileviamo un dato sorprendente, non perché non lo condividiamo, ma perché ci conferma l’avanzata di una moderna cucina italiana, capace d’inventarsi ogni giorno
dietro lo stimolo dei suoi chef d’ogni livello.

Una cucina che, partendo dal passato, ripercorre strade che l’hanno resa unica e famosa nel mondo.

Una cucina, per la stragrande maggioranza, povera. Una cucina di e per contadini, montanari, pescatori. Una cucina che si arricchisce per la fantasia delle donne ai fornelli. Una cucina aperta
e disponibile ad integrarsi con usi, prodotti e costumi provenienti dagli itinerari commerciali o imposti, nei diversi territori d’Italia, dalle dominazioni straniere. Una cucina mai ferma, ma
che si evolve con la società e si modella con questa. La tradizione culinaria settentrionale si è formata separatamente da quella meridionale e le differenze climatiche sono state
la causa indiretta dell’affermazione e divulgazione di nuove pietanze, elaborate con l’introduzione di nuovi prodotti.

Interessante il caso della polenta affermatasi, per volontà degli Asburgo, in quella parte del Nord Italia da loro dominata. Ancor più come e perché la polenta si sia
arricchita, con l’aggiunta di formaggio o burro, ed accompagnata con altri cibi molto salati (acciughe, salame piccante,selvaggina,fegatini).

Ci rendiamo conto che ci stiamo allontanando dal sondaggio, ma è questo che ci fornisce gli elementi per le nostre digressioni, che saranno magari il tema d’altri momenti
d’approfondimento. In altre occasioni discetteremo sul perché andiamo a mangiare al ristorante. Soddisfiamo più l’esigenza di nutrirci o di degustare? Il piacere della
convivialità, della meditazione o un desiderio di conoscenza o d’attenzione per noi stessi, per il nostro ospite o, perfino, una forma di corteggiamento ed un preliminare indispensabile
a piaceri…diciamo profondi.     

Quante cose può dirci un sondaggio sulla crisi!

•             Il 64% del campione definisce, la cucina italiana, come quella che si evolve e cambia con la società

•             Anche se il 24% risponde “quella dei nostri padri”, notiamo che mitiga la nostalgia con una doppia risposta (il
50% tra questi l’accoppia al “si evolve…”)

•             In modo analogo si comporta chi risponde, ed è il 40%, “tradizionale regionale”, accoppiando la risposta,
per il 60%, al si  evolve.

•             C’è chi segue, sono il 16%, i grandi chef, facendo coincidere la cucina italiana con quella elaborata dai
grandi chef italiani, seppur anch’essi, per più della metà, danno una doppia risposta accoppiandola con il si evolve…

Siamo già in piena rivoluzione e la crisi non farà altro che accelerare l’affermarsi del nuovo. Siamo sicuri che, passato questo critico periodo, la cucina italiana sarà
pronta a nuovi successi.

Ci domandiamo se altrettanto sarà capace di fare la ristorazione italiana all’estero, ma questo si esaminerà commentando le risposte forniteci dai ristoratori italiani diffusi in
tutto il mondo.

Molte risposte devono essere lette in modo incrociato e tra queste quelle riguardanti i comportamenti dei clienti con crisi in atto e le conseguenti strategie dei ristoratori.

Cambierà, la crisi, abitudini, usi, costumi, anche dei clienti?

•             Si:
56%                                   

•             Abbastanza: 20%

•             Poco: 24%

Cambierà l’offerta della cucina?

•             Aumenterà l’offerta dei prodotti di nicchia e di
qualità              44%

•             Aumenterà la quantità delle
porzioni                                           
32%

•             Diminuirà l’offerta dei prodotti di
nicchia                                   
20%

•             Diminuirà la quantità delle
porzioni                                               
4%

“Assodato che la stragrande maggioranza è convinta che la crisi cambierà il comportamento del cliente (sommando Si  e Abbastanza siamo al
76%), ci troviamo in presenza di due strategie di contrasto. La prima, per fortuna maggioritaria, punta sull’aumento della qualità e dei prodotti di nicchia, di conseguenza aumenta i
costi della cucina. Non sappiamo, però se li scarica sui prezzi praticati al cliente o sulle altre voci di gestione o se sacrifica una parte del guadagno. Vogliamo credere, confidando in
quel 64% di risposte che hanno lasciato invariato il costo del menù, che questa volta il vantaggio è del consumatore. Ci rimette il ristoratore? Non crediamo proprio, se
sarà capace d essere oculato e manageriale nella gestione e se saprà, nonostante la crisi, aumentare la clientela. L’altra strategia è l’abbuffata e prodotti meno costosi.
E’ chiaro con chi stiamo noi. Prima che “rilevatori d’opinioni” siamo clienti”
. dott.sa Lorella Del Grosso & ing. Cirino Carroccio

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