Prosciutto di Parma, Giovani di Federalimentare: “Troppi ostacoli per l’export”

22 Novembre 2012
Una situazione paradossale. Il Prosciutto di Parma è uno dei migliori portabandiera del Made in Italy, simbolo di qualità e dedizione artigianale nostrana. Tuttavia, al momento
dell’export deve superare barriere di ogni tipo, dalle storture burocratiche ai controlli del veterinario.
A dirlo, Annalisa Sassi, venditrice sui mercati internazionali per i prosciuttifici San Pietro nei pressi di Langhirano e Selva a San Daniele del Friuli e presidente del Gruppo Giovani di
Federalimentare.
Occasione giusta, “Apertamente”, di Miur e Federalimentare, dove Sassi ed i suoi colleghi di settore hanno messo sul tavolo i problemi del settore.
In sintesi, spiega Sassi, si parte dagli intoppi dei singoli per sfociare nei difetti generali.
Ad esempio, il distretto di Parma subisce le conseguenze della peste suina, nonostante questa sia presente solo in Sardegna e parte della Calabria. Risultato, un “Iperburocazia alla frontiera”
che “Blocca il nostro export in un grandissimo mercato della carne suina” che è la Corea: così, la carne italiana rimane fuori, lasciando via libera a Spagna e Danimarca.
Altro handicap, la Grande distribuzione organizzata (Gdo): interamente controllata da francesi, belgi e tedeschi. Detto questo, il Prosciutto di Parma non è povero di successo: il
più notevole, forse quello in Cina. La situazione di partenza non era favorevole: nonostante l’interesse di base per il cibo tricolore, la cucina cinese non presenta prodotti crudi,
essendo dominata da alimenti cotti.
Nonostante questo, l’epilogo è positivo: conclude Sassi, “In soli due anni di presenza sul mercato cinese, il Prosciutto di Parma e quello di San Daniele sono diventati nel Celeste
Impero due simboli dell’italianità e a Pechino e Shanghai sono già entrati nel carrello della spesa di una elite della popolazione cinese”.
Matteo Clerici