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Latte diventa funzionale

By Redazione

Nell’immaginario collettivo il futuro dell’alimentazione erano pillole, tubetti da spremere e capsule, contenenti tutto ciò che possa servire per il fabbisogno alimentare, un
po’ come quello che si portano nello spazio gli astronauti. Per fortuna la tecnologia alimentare si è orientata in tutt’altra direzione per migliorare la qualità
nutrizionale del cibo conservandone anche quella sensoriale. Anche perché negli anni l’alimentazione è diventata parte integrante della prevenzione primaria e secondaria di
molte malattie.
Oltre alle buone regole alimentari, eventualmente adattate alle situazioni individuali, e alla correzione degli stili di vita, la tecnologia alimentare mette a disposizione prodotti alimentari
la cui natura benefica viene amplificata grazie alle biotecnologie. La gamma di prodotti è ampia, si va dagli alimenti supplementati e/o fortificati, in cui sono state aggiunte sostanze
normalmente non presenti, proprio per integrarle nella dieta, a quelli dietetici privati di zuccheri o grassi e addizionati con sostanze che inducono sazietà.

Cibi con una marcia in più
In questo contesto da alcuni anni si sono inseriti i functional food. Tecnicamente vengono definiti tali se al di là delle proprietà nutrizionali, è scientificamente
dimostrata la loro capacità di influire positivamente su una o più funzioni fisiologiche. Possono così contribuire a preservare o migliorare lo stato di salute e di
benessere e/o a ridurre il rischio di insorgenza delle malattie correlate al regime alimentare. Le proprietà funzionali sono riconducibili a sostanze naturalmente presenti
nell’alimento, che grazie a un intervento esterno aumentano di concentrazione. Lo yogurt, ormai entrato nella normale dieta di molte persone, è il precursore dei functional food:
l’aggiunta di frementi al latte conferisce all’alimento proprietà che migliorano l’attività della flora batterica intestinale. Come lo yogurt, tutti i functional
food devono poter essere assunti come parte integrante di un normale regime alimentare e gli effetti si devono poter ottenere assumendone quantità analoghe a quelle previste da una dieta
comune. Tra gli ultimi lanciati in commercio, un latte che grazie a un particolare fermento acquisisce la possibilità di contribuire al controllo della pressione arteriosa.

Batterio efficiente
A un normale latte a basso contenuto di grassi (0,1%) è stato aggiunto il Lactobacillus helveticus LBK-16H, un ceppo che svolge durante la fermentazione un’azione proteolitica
specifica che libera frammenti di proteine costituiti da tre aminoacidi, tripeptidi, per l’appunto, IPP (ile-pro-pro) e VPP (val-pro-pro). Grazie all’azione batterica la
quantità di tali peptidi, presenti normalmente in quantità più basse nel latte aumenta.
Di queste piccole molecole è stata documentata, sia in vitro che in modelli animali, l’azione ACE inibente cioè l’inibizione dell’enzima che converte
l’angiotensina dalla forma inattiva (angiotensina I) in quella attiva (angiotensina II) che restringe i vasi del sangue e fa salire i valori pressori. L’effetto positivo del consumo di
latte funzionale sul controllo della pressione è stato osservato anche su piccoli campioni di pazienti ipertesi. Si tratta di studi piccoli, ma i risultati ottenuti incoraggiano a
proseguire la ricerca e a consigliarne il consumo, in particolare in soggetti con una modesta ipertensione. Gli esperti che hanno presentato il prodotto, Evolus, dell’azienda svizzera
Emmi, in conferenza stampa, hanno sottolineato che questo latte, come qualsiasi altro functional food, non si sostituisce al farmaco o a un regime dietetico corretto ma è un valore
aggiunto che può dare un contributo valido al controllo della pressione. Gli stessi ricercatori non sono in grado di dire in che modo i due peptidi agiscono, probabilmente grazie a un
meccanismo recettoriale, e se lo fanno in quanto parte integrante di un alimento. Ciò che gli studi hanno dimostrato è che, nell’ambito di stili di vita corretti,
l’assunzione di 65ml di prodotto, corrispondenti a 5ml di tripeptidi bioattivi, per 15 giorni, abbassavano i valori pressori massimi e minimi, rispettivamente, in media, di 6,7mmHg e
3,6mmHg.
Apparentemente poco, ma se si pensa che negli ipertesi, una riduzione della pressione di 7mmHg corrisponde a una riduzione del 38% del rischio di ictus, del 16% di infarto e del 21% della
mortalità generale, la prospettiva cambia.

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